Contenti così, perché sbagliando si impara

di Monica Barisone

STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

Qualcosa ci turba, ogni mattina, al risveglio.
Si tratta forse di unansietta[1] infingarda, di una piccola peste iperattiva che si diverte a prefigurare solo scenari negativi che affollano tutti insieme la nostra mente e affannano il nostro cuore?
Da dove sia arrivata e come si sia accumulata in noi è, più o meno, chiaro a tutti: scenari apocalittici da un lato e ricerca della perfezione prestazionale, assoluta, dall’altro; fattori, entrambi, estremamente ansiogeni.

Possiamo partire dal fatto che da diversi anni, ormai, si susseguano eventi rilevanti dal punto di vista delle ricadute negative sulla nostra immagine reale e virtuale di finanza, occupazione, salute, clima, vita civile, vita sociale e scolastica; e che da questa rappresentazione della vita derivi quasi linearmente una percezione di precarietà costante e catastrofe imminente. Vissuti di tal fatta, protratti a lungo nel tempo, non possono che attivare reazioni e meccanismi difensivi di egual portata.

Ricordo d’aver seguito un corso di aggiornamento[2] in cui si indicavano, tra gli effetti collaterali delle pandemie e delle catastrofi di origine naturale o umana, gli atteggiamenti e i comportamenti complottisti. Recenti ricerche (Bowes et all., 2023) evidenziano infatti, come, l’adesione alle teorie complottiste, sembri motivata soprattutto dalla necessità di esercitare controllo e dare significato agli eventi confusi o poco compresi. Queste teorie fornirebbero, in altre parole, una spiegazione alternativa capace di offrire sicurezza e senso di controllo rispetto all’ambiente.

Ne abbiamo avuto ampio riscontro a livello individuale, sociale, civile. Il rebound è arrivato sino alla diade della coppia sentimentale o amicale. Tant’è che, tutto ciò che non ci è chiaro del comportamento dell’altro, oppure sembra contraddittorio, si traduce, abbastanza frequentemente, in micro-complottismo di coppia. Nella lettura del comportamento tra coniugi e compagni, ritroviamo situazioni tali per cui, a fronte di un buon livello affettivo, ciò che viene frainteso si traduce ad esempio in assunti del tipo ‘non vuole più stare con me ma mi iper controlla’, oppure ‘mi agita con le sue pseudo patologie per tenermi in scacco’.
Tra amici, soprattutto ‘migliori amici’, è in incremento l’aspettativa dell’esclusività di rapporto, unicità peraltro, come sempre, difficile da garantire. Gli errori di comunicazione, altrettanto fisiologici e frequenti, si traducono allora in tradimenti insanabili e fratture di difficile ricucitura.

A questa grande sfiducia nell’altro, si affianca l’ansia di non venirne a capo, un senso diffuso di impotenza relazionale e prestazionale.
Il dover stare in vetrina per piacere agli altri e dimostrare d’essere al top, d’essere perfetti nel fisico, nella mente e nelle relazioni, accerchiati dagli infiniti specchi dei social, rischia in realtà di paralizzare ogni nostra azione.

Daniele scrive nei suoi appunti: ‘Passo le giornate a guardare video su come vivere, a leggere libri o a guardare serie, ma non mi sembra di imparare o di migliorare’ e così viene a mancare ogni motivazione a provare a vivere. La necessità, anche indotta, di essere apprezzati sfocia in un grande senso di inadeguatezza e debolezza che spinge ancora più a identificare come valore ‘un’immagine ideale eccezionale, possibilmente perfetta. Ed ecco che questa immagine esterna così forte, potente, invulnerabile, invincibile, viene interiorizzata e diventa la guida e il motore che ci conduce, rischiando di travolgere noi e chi ci sta vicino. Perché è un’immagine falsa, priva di vita, morta in quanto nega … l’importanza dell’errore, che è l’esperienza fondamentale della vita nell’imparare … tutto quello che facciamo è stato acquisito per tentativi ed errori’ (Marcoli, 1999).

Suggestive, a questo punto, le riflessioni che sono derivate dalle dichiarazioni e reazioni di alcune atlete e atleti durante le Olimpiadi di quest’estate, contente e contenti anche nel perdere, nell’arrivare ad un soffio, perché neppure lo si sperava! ‘Ma guarda che meraviglia, siamo di fronte a una generazione nuova, finalmente non competitiva: non avvelenata dal desiderio di primeggiare, di nuova sintonica con lo spirito olimpico, importante partecipare’ (C. De Gregorio, Repubblica 04/08/24).
Daniele ci arriva con un altro percorso, altrettanto suggestivo: ‘Pensavo che, se cominciassi ad approvare me stesso, non avrei più un desiderio estremo dell’approvazione altrui’.

Ciò che bisogna rifuggire allora sembra essere la sensazione costante di insoddisfazione, romantica aspettativa che si possa ottenere quel qualcosa di più, quel quid che forse potrebbe finalmente sanare le nostre mancanze. E anche chi, per sua natura, in realtà, si sentirebbe anche già abbastanza contento di quello che ha e vorrebbe provare a goderselo, si ritrova accerchiato da ansie, paranoie e insoddisfazioni altrui. Bisogna stare molto attenti però perché…

A forza di respirarne
l’insoddisfazione altrui
entra dentro
contamina la tua gioia
di vivere
nonostante tutto[3]

Come sfuggire o, meglio, gestire tutte queste emozioni, sensazioni o sentimenti negativi?
Le ricerche (S. Canali 2021) ci dicono che non è sbagliato provarle, ma è preferibile controllarle, cioè, elaborarle e reagire in modo sano e utile. Suggeriscono diverse strategie: fermarsi e riprendere il controllo di sé, prendere il controllo del respiro, provare a rilassarsi o visualizzare un luogo sicuro. Quest’ultimo esercizio risulta particolarmente efficace e di facile applicazione, anche nelle sessioni dedicate ai bambini. Prediligono alcuni angoli della propria casa, tra cui lo spazio sotto il tavolo, e molti raccontano con entusiasmo della casa dei nonni, come zona franca, rifugio sereno.

Visualizzare un posto sicuro mi riporta ad un’espressione che ha accompagnato una buona parte del lavoro di ricerca di molti anni fa.
Il prof. Oddone[4], medico e psicologo del lavoro, con cui mi laureai e collaborai per una decina di anni, utilizzava il termine indovarsi[5], per riferirsi, nel suo lavoro, alla necessità di mappare le nocività per la salute del lavoratore. Il prof. Soro[6], con cui collaborai negli anni successivi invece aveva scoperto, studiando i Direttori delle grandi Orchestre Sinfoniche, il valore ristoratore, motivante e ricostruttivo in termini di benessere psicofisico, del rifugiarsi, com’era solito fare ad esempio il Direttore Gianandrea Noseda[7], in luoghi fortemente connotati in termini di familiarità e emozionalità. A partire dall’uso dantesco e poi medico, se ne è costruito, cioè, uno più psicologico, quasi la risposta ad una necessità salutare.

Vi sarà capitato di tornare in luoghi natii o comunque frequentati durante l’infanzia, o luoghi in cui vi sentiate bene, sicuri, come a casa. Ecco mi riferisco proprio a quelle sensazioni di benessere e agio, sicurezza e padronanza!
Alcuni luoghi di vita non sono abbastanza confortanti e sicuri per molteplici motivi; per le scarse competenze genitoriali o le difficoltà sociali, o in alcuni casi eccessive attese, standard troppo elevati come ricercare la bellezza assoluta o controllare l’incontrollabile, dimenticando invece che sbagliando si impara!

[1] Inside Out Due, 2024
[2] Emergenza sanitaria da nuovo coronavirus SARS CoV-2: preparazione e contrasto, 2020.
[3] Contaminata, M. Barisone, 2024
[4] Nato nel 1923, medico, precursore della medicina del lavoro. Ancora studente in medicina quando era entrato nelle file della Resistenza ligure col nome di battaglia “Kim”. A lui Italo Calvino dedica il suo romanzo Il sentiero dei nidi di ragno. Dopo la Liberazione si laureò brillantemente. Esercitò la professione con grande impegno e, dopo essersi affermato presso l’Ospedale Molinette di Torino, insegnò psicologia del lavoro all’università.
Negli anni ’60 con un gruppo di operai di Mirafiori creò la “Dispensa sull’Ambiente di Lavoro”,  tradotta poi in quasi tutte le lingue ed è ancora molto attuale.
[5] Collocarsi, porsi in un luogo: Veder voleva come si convenne l’imago al cerchio e come vi s’indova (Dante), in qual modo, cioè, vi trovi il suo luogo. Il verbo, noto soprattutto per questi versi di Dante (Par. XXXIII, 137-138), è oggi di uso molto raro, tranne che nel linguaggio medico, per indicare collocazione di solito non precisata: tumefazione che può indovarsi in varie parti della superficie del corpo
[6] È stato docente di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università di Torino, Presidente del Biennio di laurea magistrale in Competenze relazionali e del Master in Competenze relazionali per insegnanti di alunni con bisogni educativi speciali.
[7] Gianandrea Noseda (Sesto San Giovanni, 1964) è un direttore d’orchestra italiano. Ha studiato pianoforte, composizione e direzione d’orchestra al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano perfezionandosi poi con Donato Renzetti, Chung Myung-whun e Valery Gergiev.