di Marco Guastavigna
Ammesso che a 72 anni ci si possa definire esperto di qualcosa, sono arrivato a individuare il mio campo da poche ore: è la logistica digitale della conoscenza, con una particolare attenzione all’istruzione.
Questa pomposa etichetta ha almeno un pregio: riporta “digitale” al suo ruolo politico-grammaticale di aggettivo. Per troppo tempo, infatti, è stato un sostantivo, “il digitale”, primigenio esempio di concetto intenzionalmente tenuto nello stato di nebulosità.
A condividere questa condizione di formulazione utile a contenere il pacchetto operativo, cognitivo e culturale del momento è arrivata da circa due anni l’intelligenza artificiale, espressione che in quasi 70 anni di vita ha a sua volta assunto significati e adottato paradigmi molto diversi gli uni dagli altri. Aumentando così il tasso di confusione, superficialità, pressapochismo, massimi-sistemismo di una discussione pubblica sempre più tossica, perché inutilmente polarizzata tra l’impreparazione degli apocalittici e quella degli integrati di turno.
A mio giudizio deve essere chiaro che i dispositivi rubricati attualmente come “intelligenza artificiale” – la cui dimensione funzionale è molto varia è articolata – sono al momento apparati socio-tecnici per l’estrazione e l’accumulazione di valore mediante cattura della conoscenza condivisa e monetizzazione diretta o indiretta.
E va affermato con forza che l’obiettivo di chi se ne occupa nel campo dell’istruzione deve essere politico: dispositivi con questo approccio vanno considerati servizi pubblici, sottoposti al controllo democratico, depurati dagli investimenti oligopolistici, dalla brevettazione e dal segreto industriale, sottratti all’epistemarketing accademico autopromozionale, verificati e adattati in termini di impatto ambientale, conformati ad un’etica del rispetto, dell’interdipendenza e dell’equità, fin dal primo momento della progettazione.
Questo cambiamento di rotta costituirebbe una vera e propria rivoluzione culturale, perché abbandonerebbe l’approccio, che ha come obiettivo strategico l’incremento dell’efficienza e dell’occupabilità individuali sul mercato del lavoro, in favore della costruzione di emancipazione mediante capacità socio-relazionali cooperative e mutualistiche, per uno sviluppo umano collettivo.
Fatta questa doverosa premessa, possiamo addentrarci con maggiore consapevolezza civile ed etica nello stato attuale del mercato della logistica della conoscenza; scopriremo che – per lo più a pagamento e quindi ponendo il problema dell’acquisizione di licenze da parte delle scuole – ci sono parecchi moduli operativi concepibili, da parte di insegnanti che mantengono il pieno controllo di ciò che è significativo ed evolutivo sul piano professionale, come assistenti cognitivi addetti a operazioni ripetitive e routinarie con finalità multimodali, all’interno di una didattica impostata sulla base dello Universal Design for Learning. L’esempio più noto di multimodalità riguarda i file di testo (documenti), che possono essere:
- Stampati su carta;
- Stampati in braille;
- Letti dalla sintesi vocale;
- Fruiti su monitor, in forme adattabili/adattande sul piano tipografico;
- Fruiti su e-reader, conformemente all’impostazione tipografica dell’apparecchio.
Le opportunità multimodali vere e proprie sono state poi da tempo arricchite da quelle dell’estendibilità ipermediale:
- Ipertestualità;
- Immagini interattive;
- Video interattivi;
- QRcode;
- Near Field Communication.
Le ultime due opzioni possono essere applicate anche ad oggetti materiali e spingono quindi all’ibridazione tra materiali analogici e digitali.
I dispositivi generativi consentono ora ulteriori adattamenti, integrazioni, trasformazioni, produzioni e così via di materiali per la mediazione didattica e lo stimolo dell’apprendimento, come raccolto in tabella: