L’educazione civica (o “cinica”) a cui pensa il ministro Valditara

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Composizione geometrica di Gabriella Romano

di Cinzia Mion

E pensare che c’è stato un tempo della mia gioventù professionale in cui ho creduto fortemente che fosse possibile “cambiare “ il mondo in senso migliorativo, attraverso la Politica, la Democrazia, l’applicazione della partecipazione democratica a Scuola attraverso un’ Educazione cooperativa e sensibile all’attenzione per tutti, in grado veramente di realizzare quello che oggi definiamo il BENE COMUNE.
Ricordo anche che più avanti, diventata direttrice didattica, trovandomi tra i fondatori dell’ ANDIS ( Associazione nazionale dirigenti scolastici) ho steso la traccia del Codice Etico della stessa associazione.
Rammento di quanto abbia insistito in questo codice, ancora sopravvissuto ai giorni nostri, nel porre attenzione al rischio che l’impegno etico dei dirigenti non si traducesse nelle semplice “correttezza” dovuta all’appartenere alle figure dirigenziali del settore pubblico, dimenticando che “per dettato esplicito della legge, invece, l’Istituzione Scuola deve formare le giovani generazioni alla “cittadinanza e all’etica pubblica”. Credo allora che questa ultima espressione vada esplicitata meglio.
In questo momento storico si fa un gran parlare, nuovamente, di affidare alla scuola l’educazione civica anche da parte del nuovo governo, attraverso il ministro Valditara.
Non credo assolutamente che così come è stata configurata finora l’educazione civica, disciplina di 33 ore annue, con verifiche e voti conseguenti, possa risanare il Paese attraverso ‘i ragazzi’. Noi pensiamo che formare alla cittadinanza voglia dire invece diffondere quell’etica pubblica, e non solo una morale privata, che risulti fondata sui valori condivisi e costituzionali, laici e pluralisti.
La difficoltà in Italia a diffondere questi valori ha radici lontane.
Vediamo però ora che cosa si intende per “etica pubblica”.

“ DIFFERENZA TRA MORALE ed ETICA: tra senso di colpa e senso di responsabilità”

La morale riguarda ciò che comunemente si chiama ‘coscienza’: legge genitoriale interiorizzata; in genere deriva dalle norme assunte dal gruppo di appartenenza, per stabilire e distinguere ciò che si considera giusto da ciò che si considera sbagliato. Indica la linea di demarcazione tra il buono e il cattivo, tra il lecito e l’illecito. La linea di demarcazione segnala il ‘limite’– ammesso e non concesso che oggi i genitori siano in grado di segnalarlo – che poggia sul senso di COLPA.
L’etica invece indica il modo di comportarsi nella dimensione pubblica nel rapporto con gli altri. Poggia sul senso di RESPONSABILITA’: quindi presuppone una scelta consapevole e ha a che fare con la cosiddetta ‘società civile’. Gli elementi costitutivi della società civile sono relazioni/legami di tipo secondario, non primario (si costituisce perciò aldilà dei legami parentali, familiari, amicali). Si organizza con processi dal basso e occupa una posizione intermedia tra individuo e istituzioni. La società civile è appunto il luogo dove si forma l’etica pubblica. La fiducia dovrebbe essere il valore centrale attorno al quale si costituisce questa tipologia di società. Beh, il nostro Paese, tra le derive sociali preoccupanti da cui in questo periodo storico viene connotato, continua ad essere caratterizzato da un forte deficit di ETICA PUBBLICA.

Dicevamo che il deficit di etica pubblica ha radici lontane. Edward Banfield infatti negli anni Cinquanta del secolo scorso ha definito ‘familismo amorale’ la speciale malattia degli italiani, caratterizzata da scarso senso di socialità – non nel senso di socievolezza, ma nel senso di attenzione alla coesione sociale – perché non hanno il senso dello Stato, dimostrando inoltre di nutrire sfiducia nelle Istituzioni. Sta di fatto che porre il proprio “tornaconto personale o familiare” sempre e comunque prima di quello ‘collettivo’, nell’insofferenza a qualsiasi regola e nell’esaltazione della famigerata ‘furbizia Italiana’, rimane ancora oggi la caratteristica peculiare negativa che rende difficile in Italia la consapevolezza del deficit di etica pubblica.
Possiamo tranquillamente dire che iscritta nel nostro DNA c’è questa ricerca costante del proprio “tornaconto”, molto difficile da estirpare, se non da parte di una Scuola che sa interrogare se stessa e sa costruire esempi positivi da imitare e riflessioni costanti sui vari comportamenti al fine di individuare nelle scelte quelle finalizzate alla costruzione del BENE COMUNE e quelle invece utili a ritagliarsi solo la propria convenienza.

SAPER RINUNCIARE

Il “bene comune”, ovviamente, non è costituito dalla somma dei beni individuali. Nasce dalla capacità di ognuno di noi a rinunciare a “qualcosa” e di sapere che imparare a sopportare la “rinuncia” significa sentire che questa è diversa dalla “perdita”(che riguarda l’”essere” e non l’”avere”).Quindi invece che sentire di aver perso qualcosa avvertire di aver guadagnato rispetto alla stima di sé.

AUTOINTERROGAZIONE

A questa analisi approfondita la scuola deve però sottoporre prima se stessa. Verificare quanto di ciò che “dichiara” corrisponda sempre “all’effettivo”; quanto ancora delle proprie azioni possa essere inficiato dalla pratica del ‘fare finta’ da cui spesso non è stata esclusa la Pubblica Amministrazione in tutte le sua branche, compresa la scuola (come per esempio “fare finta di non sapere che gli studenti copiano le versioni dal traduttore”, come confidò un liceale una decina di anni fa); quanto sia ancora lo iato tra il valore del codice etico esplicito e quello implicito. In altre parole tra le “prediche” e le “pratiche”; tra le Linee guida del MIM sull’educazione civica (codice esplicito) e la sua realizzazione autentica e pratica tenendo conto di quanto affermato finora (codice implicito).
Provate a farvi un ‘autotest’: immaginate di entrate in un parcheggio, di urtare con la vostra automobile quella di un altro. Tutti noi sappiamo come dobbiamo comportarci, ma anche sappiamo come spesso invece ci comportiamo veramente. Questo scostamento tra la correttezza sociale e la scorrettezza, che in questo caso appare minimale, la dice lunga su consuetudini difficili da scardinare. Un altro esempio più grave ma molto usuale può essere l’opportunità di usare una ‘raccomandazione’, oppure copiare a un concorso… Tutti sappiamo che è ingiusto nei confronti degli altri, quanto possa produrre danni a terzi, (si tratta di un posto di lavoro!) eppure…

CITTADINANZA vs SUDDITANZA

Un aspetto inoltre importantissimo e ineludibile che deve assumere la scuola è la formazione a diventare cittadini e non sudditi..
Definiamo prima di tutto le caratteristiche del SUDDITO: egli è colui che offre un ‘servigio’ in cambio di un privilegio o di protezione (oggi il servigio può essere il “voto”); in questo senso è de-responsabilizzato e tende a raggiungere il massimo dell’interesse personale aggirando gli ostacoli; non è disposto a pagare prezzi per la propria autonomia di giudizio e usa il consenso e il servilismo per avere vantaggi.
Il CITTADINO assume la responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni (come raccomandano le Indicazioni): accetta la comune fatica della difficile costruzione dell’etica della responsabilità in una società storicamente imprevedibile; sopporta la complessità delle emozioni, riuscendo a stare nelle incertezze, nei dubbi, senza essere impaziente di pervenire a fatti e a ragioni; cerca azioni generative di “senso”, usando competenze autoriflessive e argomentative e impara a scegliere e decidere di conseguenza. Alla fine il cittadino si dimostra veramente tale se sa anche rinunciare ai privilegi o affronta i disagi, se ciò gli permette “l’autonomia di giudizio”, il pensiero critico e la realizzazione dei suoi ideali. L’aspetto più notevole è però quello di ritrovarsi orgoglioso di pagare qualche prezzo pur di NON ASSERVIRSI!!!

Onorevole VALDITARA, che ci azzecca allora, alla luce di tutto questo, il concetto di PATRIA? E quello di impresa, di educazione finanziaria e assicurativa? C’entra ancora una volta con il PROFITTO?
Non è di questo che ha bisogno l’italiano medio, (ci sa pensare da solo), per poter guardarsi allo specchio senza vergognarsi, ma di ETICA PUBBLICA….
Ma di sicuro non sono i politicanti di adesso che possono aiutarci a raggiungere questo obiettivo.
Abbiamo bisogno di POLITICA con la P maiuscola. Di quella politica che per il BENE COMUNE sa rinunciare al CONSENSO facile, ricercato fino allo spasimo fino ai teatrini cui veniamo sottoposti continuamente, da tempo immane, fino ai nostri giorni. SENZA VERGOGNA.
Di quella POLITICA che a vent’anni io ho creduto potesse cambiare il mondo….