Chat-tanooga Choo Choo 4.0

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di Marco Guastavigna

Se non fosse una tragedia professionale e culturale, sarebbe divertente.

Da una parte l’accademia giunge alla geniale conclusione che con un dispositivo che simula un dialogo si può praticare nientepopodimeno che la didattica conversazionale.

Dall’altra, sinergicamente, una rete di scuole definisce criteri e parametri per un’introduzione dell’intelligenza artificiale nell’istruzione primaria e secondaria, producendo un documento molto limitato nell’approccio, discutibile nel contenuto e sciatto nella forma. Immediati però complimenti e adesioni, in genere avendo letto solo il titolo e l’annuncio “social”.

In parallelo, i teorici dei massimi sistemi continuano a discutere in termini generali ed estremamente astratti di etica e AI, IA e apprendimento, lavoro e AI, IA e informazione e così via. Il tutto proiettato sul lungo termine, in modo da non dover fare i conti con il presente, dalla disumanizzante robotizzazione dei lavoratori della logistica globale, alla dicotomia tra sud globale, addetto all’addestramento e alla verifica dei dispositivi di intelligenza artificiale mediante prestazioni taskificate e retribuite in modo vergognoso, e nord globale, destinatario dei – forse presunti, certamente discriminanti – vantaggi delle tecnologie emergenti.

Niente di particolarmente nuovo, perché il potere culturale istituzionalizzato reagisce da tempo all’innovazione con un protocollo epistemologico consolidato: occupazioni degli spazi di dibattito e generazione (sic!) di filiere formative. Corredato di mutui riconoscimenti: dagli inviti ai rispettivi convegni alle citazioni incrociate. Puro tecno-feudalesimo.

Questo modo di procedere, per altro, si è sempre rivelato efficace soltanto per definire incarichi, ottenere investimenti, incrementare retribuzioni, millantare propagazioni e così via.

E questa volta è particolarmente grottesco e asfittico: si susseguono infatti novità e annunci e sono presenti sul mercato ambienti decisamente differenti dai capostipiti e dai primi derivati.

ChatGPT – nella versione free – consente ora di collegare all’utente i documenti da questo collocati su Google Drive o su OneDrive di Microsoft. Soprattutto, è disponibile una serie di chatbot così rubricati: “Scopri e crea versioni personalizzate di ChatGPT che riuniscano istruzioni, conoscenze aggiuntive e qualsiasi combinazione di competenze”. Il dispositivo si spoglia della sua (vaga) funzione generalista e assume sempre di più la forma e la struttura di un insieme articolato di assistenti ad attività definite.

Sempre ChatGPT ha appena lanciato la propria versione Edu, descritta – almeno nelle intenzioni – come “Strumento assistito dall’intelligenza artificiale per la creazione di percorsi di apprendimento personalizzati nell’educazione speciale”.

Ricordando che il browser Opera incorpora funzioni di assistenza artificiale nel proprio modulo Aria e aspettando i prossimi colpi di mercato di Google (che ha per altro già annunciato l’integrazione di Gemini nel workspace) e le evoluzioni di Microsoft Copilot, propongo ancora due questioni che mi sembrano importanti.

Alla prima abbiamo già accennato citando MagicSchool: ci sono varie piattaforme – oltre a quella appena citata, per esempio, Poe e Maestra Genia – che propongono un’articolazione (e quindi una sorta di scomposizione) della professionalità docente in una serie di moduli di assistenza operativa, spesso dotati di istruzioni e guide all’uso passo-passo, con un rinforzo delle scelte fatte e la proposta di possibilità di sviluppo della conversazione e dell’attività. Varrebbe la pena – credo – di analizzare e discutere il tutto più da vicino. In momenti di formazione e auto-formazione dialogica degli insegnanti: dovremmo infatti avere la capacità di comprendere quanto siamo ancora lontani da saper prefigurare e progettare un impiego davvero sensato dell’intelligenza artificiale da parte degli studenti, che non sia una verniciata di modernità!

La seconda questione è relativa alle licenze d’uso: molti di questi dispositivi offrono versioni o periodi limitati di utilizzo enza chiedere denaro agli utenti. Gli stessi, però, per un impiego completo e/o duraturo esigono poi il pagamento di un abbonamento o simili. Soprattutto nel caso di scelte collegiali relative all’introduzione intensiva ed estesa dei dispositivi di assistenza artificiale ad attività cognitive, non si può certo immaginare che questi costi ricadano sui singoli docenti.

È bene, insomma, che le scuole comincino a rendersi conto anche del fatto che l’impiego dei dispositivi di IA non solo va valutato con attenzione, ma è tutt’altro che gratuito: oltre all’impatto ambientale, va messo a bilancio, infatti, l’investimento di somme destinate a diventare importanti qualora si dovessero attivare centinaia di utenze.