Revisione Indicazioni Nazionali: la mania di lasciare tracce
Si sa ancora poco di cosa voglia fare esattamente il Ministro Valditara riguardo la revisione delle Indicazioni Nazionali del 2012, su cui dovrebbe lavorare un’apposita commissione di esperti. Per la verità, come osserva il Manifesto on line del 4 maggio 2024, già lo scorso 12 ottobre il Ministro, rispondendo in Senato a un quesito sull’insegnamento della storia e della geografia, aveva annunciato la costituzione di un gruppo di lavoro per rinnovare la didattica: “La modifica della progressione dei contenuti, degli obiettivi e dei traguardi per le discipline di storia e geografia sarà valutata nell’ambito della revisione delle predette Indicazioni nazionali”.
Adesso che si conoscono i nomi dei componenti la Commissione e ci sono già le prime critiche, il Ministro ha dichiarato attraverso i social: “Si rilassino i contestatori e i polemisti di professione, non appena il decreto di nomina della Commissione di studio sarà registrato, sarà avviata una consultazione ampia del mondo della scuola.”
Lungi da me l’intento di rientrare tra i “contestatori e polemisti di professione” richiamati dal sig. Ministro, però vorrei sommessamente indicare a Valditara alcuni interventi che potrebbero “rinnovare la didattica” senza necessariamente intervenire sulle Indicazioni nazionali di cui, per la verità, non si sente la necessità.
Un primo intervento riguarda la qualità dell’insegnamento e dunque degli insegnanti. Il sistema di formazione e reclutamento degli insegnanti attualmente vigente è quanto di più lontano si possa immaginare per garantire un rinnovamento della didattica. A parte la querelle sui 24/30/60 crediti per poter insegnare, dal sapore più kafkiano che pedagogico, siamo sicuri che i test siano gli strumenti più idonei per selezionare i migliori candidati docenti? Sono sicuramente molto “economici”, ma che siano in grado di conseguire l’obiettivo per cui vengono utilizzati è tutto da dimostrare. A ciò si aggiunga che la stessa individuazione dei commissari di concorso è diventata un’operazione quanto mai macchinosa e difficoltosa in quanto coloro che accettano questo tipo di incarico (docenti e dirigenti scolastici particolarmente masochisti) non sono esonerati dal servizio e questa prestazione aggiuntiva viene retribuita con compensi talmente irrisori che suonano offensivi.
Difficile che questo sistema sia in grado di selezionare i migliori docenti. E d’altro canto fare l’insegnante in Italia non è una professione così attrattiva, né sul piano economico né su quello sociale, come avviene in altri Paesi occidentali e non solo. Ecco una bella sfida che il Ministro potrebbe accogliere se volesse davvero “rinnovare la didattica”: valorizzi la professione docente!
Un secondo intervento riguarda la sburocratizzazione della scuola. Difficile forse chiedere questo a chi di burocrazia vive. Però ci solo livelli di decenza sotto i quali non si può scendere. Se il Ministro volesse passare alla storia potrebbe cominciare a mettere il bavaglio (non quello che la sua maggioranza mette alla stampa che nelle classifiche internazionali è passata dal 41° dal 46° posto in quanto a libertà) alla produzione di atti amministrativi rivolti alle scuole.
Misura ed essenzialità: questi potrebbero essere i principi guida dell’apparato amministrativo del MIM. E soprattutto: non molestare le scuole con richieste di dati che l’Amministrazione ha già, in un modo o nell’altro.
Certo, anche le singole scuole (e particolarmente i dirigenti scolastici) devono stare attenti a non andare oltre la misura del lecito nel processo di burocratizzazione. L’attenzione va rivolta al lavoro d’aula e alla cura dei processi di apprendimento, non alla produzione di rapporti, relazioni, verbali, progetti, piani et similia che nessuno legge. Ma l’esempio deve essere dato dal management amministrativo: il Ministro può fare molto sotto questo profilo, anche senza il supporto di alcuna Commissione…
Un terzo intervento riguarda la cura dei risultati scolastici e, dunque, delle azioni politiche da attivare a questo fine. Ogni anno l’Invalsi provvede a rilevare lo stato dell’arte delle conoscenze e competenze degli studenti delle canoniche classi filtro. Invece di elucubrare sulla possibilità di inserire i risultati Invalsi di ogni alunno all’interno della scheda di valutazione (decisione tecnicamente scellerata in quanto le prove Invalsi nascono con un altro fine), bisognerebbe considerare piuttosto tutti i risvolti “politici” dei risultati e su questo un Ministro avrebbe molto da dire (e da lavorare).
Così, ad esempio, se dall’analisi dovessero emergere situazioni particolarmente critiche su alcuni apprendimenti in determinate aree del Paese (come succede), il decisore politico dovrebbe farne oggetto di attenta analisi e provare a mettere in atto interventi di vario tipo per invertire la rotta.
Ad esempio, possono essere definiti interventi di tipo formativo per incrementare le competenze metodologico-didattiche dei docenti negli ambiti considerati, oppure l’adeguamento della strumentazione didattica o altri interventi di diverso segno. In ogni caso, il decisore politico dimostrerebbe di saper intervenire per tentare di dare una risposta ai problemi rilevati. Qui invece si interviene sulle Indicazioni nazionali senza sapere quasi siano i problemi rilevati.
È tipico di molti animali marcare il territorio per lasciare il segno della loro presenza; spesso si ha l’impressione che alcuni Ministri adottino questo comportamento etologico per marcare a loro volta la loro presenza, per lasciare traccia del loro passaggio.
E su come gli animali marchino il proprio territorio preferisco non approfondire.