di Raimondo Giunta
L’assalto costante alla natura del sapere scolastico e alle sue tradizioni e la sottovalutazione non sempre motivata dei suoi risultati e delle procedure di lavoro che ad essi conducono sono riusciti nell’intento di proporre e di favorire nelle scuole europee nuovi curricoli, improntati all’approccio per competenze.
Le competenze, ormai, sono diventate la fonte della legittimazione del lavoro scolastico e la loro ascesa irresistibile nel mondo della scuola non incontra più ostacoli; intimidisce chi tenta di opporvisi.
Niente succede a caso. La nozione di competenza ha fatto irruzione nel mondo della scuola per le sue difficoltà e i suoi impacci nel rispondere alle richieste della società e di quelle soprattutto del mondo del lavoro.
Ci ricorda, però, autorevolmente Le Boterf che non esiste un solo approccio per competenze. E noi dovremmo chiederci di un concetto così diffuso non solo quali siano le ragioni del suo successo, ma anche e soprattutto quali cambiamenti pedagogici rivela e pretende.
Ma che cosa sono le competenze?
Di definizioni delle competenze si possono fare consistenti dossier senza arrivare a quella che dirime le controversie e accredita la possibilità di poterci costruire serenamente e con sicurezza un curriculum di formazione. Qualcuno si è chiesto se sia solo una nozione mediatica o un concetto-slogan dalla semantica debole e qualche altro come M. Crahay ha perentoriamente affermato che “il concetto di competenza è un’illusione semplificatrice che non è sostenuta da una teoria scientificamente fondata. E’ una caverna d’Alì Babà concettuale in cui è possibile incontrare giustapposte tutte le correnti teoriche di psicologia, anche se sono nei fatti contrapposte in “Café Pedagogique” dell’1/6/2009).
Per Ph. Perrenoud la competenza è un costrutto sociale e in quanto tale è un concetto necessariamente provvisorio, il cui valore è il valore d’uso.
Lo si misura dalla sua fecondità, non dalla sua verità assoluta. Opinione questa condivisa da G. Di Francesco. A suo parere ci sono processi che stanno costruendo il valore d’uso del concetto di competenza e ne verificano in questo modo la possibilità di essere funzionale come modello di riferimento.
La costitutiva polivalenza del concetto di competenza non impedirebbe che si formino comunità di pratiche che lo utilizzano con efficacia rispetto alle diverse finalità.
Si tratterebbe di una soluzione pragmatica che consiste nell’accettare la provvisorietà e l’ambivalenza teorica e nel distinguere tra definibilità teorica ed utilizzabilità pratica del concetto di competenza. (cfr “Il laboratorio della riforma-Annali P.I. 1999).
S. Monchatre con esemplare semplicità: “La nozione di competenza rende dei servizi, se si mettono in secondo piano i suoi limiti teorici”.
”Gli usi che sono stati fatti della nozione di competenza non aiutano alla sua definizione e la difficoltà di definirla cresce col bisogno di utilizzarla”(J. Dolz-E. Ollagnier).
E’ proprio questo il problema: un concetto polisemico e non ancora stabilizzato come può diventare un principio sicuro ed affidabile di regolazione e di organizzazione dei curricoli?
Perché proporre curricoli per competenze se le difficoltà d’uso del concetto sono non solo di ordine epistemologico e teorico, ma anche pratico?
Per Jonnaert -Barrette-Masciotra-Yaya la competenza “è la messa in opera di una persona in situazione, in un contesto determinato, di un insieme diversificato ma coordinato di risorse. Questa messa in opera riposa sulla scelta, sulla mobilitazione e sull’organizzazione di queste risorse e sulle azioni pertinenti che esse permettono per un trattamento riuscito di questa situazione” (2006-Ginevra IBE-UNESCO).
Non è per nulla facile redigere un curriculum di studi sulla base di questa idea di competenza, innanzi tutto perché nemmeno si parla del ruolo e della funzione delle conoscenze e poi perché con tutta la buona volontà di questo mondo e con buona pace di tutti la scuola non è il luogo delle situazioni concrete, dove si esercita e si rivela una competenza, ma quello dove si apprendono saperi che sono alcune delle sue risorse e dove con propri mezzi si cerca di capire (stage/simulazioni/attività laboratoriali) l’effetto che fanno.
”Una persona o un collettivo di persone non possono essere dichiarati competenti, se non dopo avere trattato con successo la situazione con la quale si sono confrontati, non prima”(Ph. Jonnaert).
Lo studioso canadese non si è mai scostato da questa concezione della competenza.
LE COMPETENZE E LE CONOSCENZE
Che il sapere, di cui istituzionalmente tutte le scuole del mondo dovrebbero ancora essere luoghi di trasmissione e di rielaborazione, possa finire per contare poco in orientamenti di questo genere si desume anche da ciò che viene detto in altri parti del documento citato (un documento con l’imprimatur dell’Unesco).
“L’agire competente in situazione si appoggia su una pluralità di risorse e non soltanto su dei saperi disciplinari” e altrove “Il riferimento unico e costante ai programmi disciplinari tradizionali della scuola è un vero ostacolo epistemologico in senso bachelardiano per lo sviluppo situato delle competenze”.
E’ una posizione estremistica dell’approccio per competenze, ma che non è estranea alla sua logica e che apre all’idea sciagurata di opporre conoscenze e competenze. Per lavorare bene con le competenze si deve dar prova, come dice Perrenoud, che con esse non si voltano le spalle ai saperi.
Si riportano di seguito due definizioni che costituiscono un ragionevole fondamento per l’approccio per competenze e che legano in modo persuasivo le conoscenze e le competenze.
La prima delle due è stata rifatta, dopo 10 anni, con modifiche non del tutto soddisfacenti
(1*cfr. nota a piè di pagina).
A) ”Una competenza è la comprovata capacità di UTILIZZARE CONOSCENZE, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale personale. Nel contesto del Quadro Europeo delle Qualifiche le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia” (Allegato 1 alla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23-4-2008).
B) ”La competenza è la capacità di METTERE IN MOTO e di COORDINARE le risorse interne possedute(CONOSCENZE, abilità, disposizioni interne stabili) e quelle esterne disponibili per affrontare positivamente una tipologia di compiti o di situazioni sfidanti”(M. Pellerey-2008).
Queste due definizioni, molto autorevoli, ci dicono che le competenze non sono esse stesse dei saperi, ma che li UTLIZZANO, li MOBILITANO e li COORDINANO insieme ad altre risorse personali; ci dicono anche che utilizzazione e mobilitazione sono pertinenti soprattutto in situazione. Se le competenze funzionano così è evidente che si pongono due seri e grandi problemi: il primo è quello dei contenuti e il secondo è quello delle metodologie. Non tutti i contenuti, infatti, (o tutte le discipline o tutti i saperi) si piegano ad alcune particolari logiche di utilizzazione, anche se universalmente sono parte imprescindibile dei curricoli.
Le metodologie, poi, devono innestarsi sulle “situazioni” o riproporne il modello per essere idonee ad esercitare gli alunni alla mobilitazione, all’integrazione, al coordinamento delle risorse interne possedute e a quelle esterne disponibili.
DAL MONDO DEL LAVORO ALLA SCUOLA
La competenza entra con forza nel mondo della scuola, perchè è diventata la parola d’ordine degli accadimenti e delle relazioni sociali dei nostri giorni, ma ha cambiato molto dell’antico significato che aveva nelle attività formative. Il nuovo senso della nozione di competenza nasce nelle profonde trasformazioni del mondo del lavoro, dove è diventata strumento di analisi della professionalità, modalità di classificazione dei lavori, categoria giuridica per la definizione dei rapporti di lavoro, modello di riferimento per la formazione, assumendo un significato socio-professionale, contrattuale e formativo (D. Nicoli).
Il possesso di competenze pregiate, direbbe la Di Francesco, che il sistema di istruzione si dovrebbe preoccupare di formare, viene ritenuto la condizione per affrontare le molteplici sfide della complessità della nostra società.
E’ indubitabile il rapporto tra l’emergenza del concetto di competenza e le esigenze attuali del mondo economico-aziendale. La nozione di competenza, infatti, esalta la disposizione all’adattabilità, alla mobilità e al senso dell’iniziativa, qualità umane non solo richieste, ma quasi prescritte oggi dal mercato del lavoro. Non c’è, però, da sciogliere inni e canti di gioia. Nel mondo del lavoro il ricorso alle competenze fa parte di un’offensiva contro i diplomi e le qualifiche, per indebolirli più che per sostituirli per inefficacia (M. Stroobants).
”La logica delle competenze è innanzitutto una tecnica manageriale di gestione che mira a sostituire con nuove regole le antiche.
Una logica di risultato che sostituisce la logica del posto; il riconoscimento del merito individuale che sostituisce la progressione sistematica per anzianità; la retribuzione delle competenze che sostituisce la remunerazione del livello” (A. Dietrich).
Nei posti di lavoro la gestione delle competenze è una tecnica al servizio di obiettivi di razionalizzazione.
”Il concetto di competenza permette di fare dell’uomo un oggetto di gestione. Se Taylor scomponeva il lavoro in gesti elementari per impiantare la misura dei tempi e dei movimenti e ottimizzare il rendimento, la nozione di competenza identifica e scompone le capacità e le attitudini di un individuo per mobilizzarle e ottimizzarle in un contesto dove la reattività organizzativa diventa essenziale. Ciascuna di queste capacità puo’ essere misurata, sviluppata con l’apprendimento, accresciuta con la formazione, trasferita con la mobilità o il tutorato” (D.Cazal-A.Dietrich).
L’azienda con le competenze si appropria della dimensione personale interna e soggettiva del lavoratore.
Il giudizio di competenza, funzionale alla carriera interna e alla progressione economica, rischia di essere a differenza di quello inerente alla qualifica un giudizio su una persona in quanto persona e non in quanto lavoratore.
C’è di più. Mobilità, flessibilità e competenze, tratti strutturali dell’attuale organizzazione del lavoro, cambiano le relazioni sociali e rendono transitori e fragili i legami tra i lavoratori.
La gestione delle risorse umane attraverso le competenze può facilmente diventare funzionale alla strategia di disfare ogni forma di solidarietà di categoria nel posto di lavoro.
Le competenze possono essere utilizzate, inoltre, per sottrarre potere contrattuale al lavoratore, il cui patrimonio cognitivo-professionale potrà essere riconosciuto e valorizzato non in sede di contrattazione, ma in quello del giudizio non sempre sindacabile della controparte.
LA SFIDA DELLE COMPETENZE
Se nella sociologia del lavoro si incominciano a intravedere i rischi della gestione delle competenze, nel mondo della scuola si continuano, a prescindere, a celebrarne le magnifiche sorti progressive.
E questo non è un fatto positivo. La mancanza di senso critico può condurre ad esiti negativi nel processo di formazione.
Se è corretto contrastare il rifiuto pregiudiziale dell’approccio per competenze, è anche necessario guardarsi bene dall’assunzione dogmatica delle indicazioni istituzionali e dalle suggestioni economicistiche del modello aziendale-economico.
Il sistema di istruzione svolge la sua funzione, se è in grado di progettare curricoli che formano le competenze richieste, in una data fase storica, dalla società nel suo insieme. La formazione dovrebbe garantire alle nuove generazioni gli strumenti che consentono l’adattamento al proprio ambiente, al proprio tempo, al proprio mondo del lavoro. La scuola è servizio alla società; ma è anche servizio alla persona: due compiti che devono armonizzarsi senza il bisogno di doverne sacrificare uno dei due.
”L’istruzione e la formazione hanno sempre come funzione essenziale l’integrazione sociale e lo sviluppo personale mediante la condivisione di valori comuni, la trasmissione di un patrimonio culturale e l’apprendimento dell’autonomia. Ma oggi questa funzione essenziale è minacciata, se non è accompagnata dall’apertura di una prospettiva in materia di occupazione” (Libro Bianco ‘95).
Per dare a scuola un orientamento corretto all’approccio per competenze bisogna tenere sempre presente che “La competenza è una nozione di frontiera tra economia ed educazione” (S. Monchatre) e che a scuola il lato proprio della competenza è quello dell’educazione, anche se questo non autorizza nessuno a chiuderla in un anacronistico isolamento autoreferenziale. L’aspetto più significativo dell’approccio per competenze è la forte sollecitazione a scoprire il senso dei saperi, a renderli in prospettiva utili e significativi per lo sviluppo personale e quello della società. L’approccio per competenze esige il protagonismo della persona in contesti di esperienza variabili per impegno cognitivo e relazionale. ”La nozione di competenza si inscrive nel quadro di una pedagogia decisamente centrata sull’allievo” (B. Rey).
Il rischio più grave che bisogna evitare è quello di circoscrivere le ambizioni del sistema di istruzione e formazione, appiattendolo e costringendolo in una prospettiva utilitaristica di saperi immediatamente spendibili. Se l’aria dei tempi esalta l’uomo d’azione efficace, che sa risolvere i problemi che gli si presentano, la scuola per responsabilità educativa nei confronti delle nuove generazioni non può inchinarsi agli idoli del momento e deve lavorare per le altre dimensioni della persona umana, per il suo integrale sviluppo, in modo da renderla capace di comprendere il mondo, la società, l’altro e se stesso e di esercitare i diritti e i doveri di cittadinanza attiva. La cultura è plurale e nessuna componente (scientifica, umanistica, professionale etc) può essere trascurata. E’ la cultura nel suo insieme che ci fornisce gli strumenti per organizzare e per capire il nostro mondo in forme comunicabili. (J. Bruner).
Nell’approccio per competenze è insita una logica di adattamento che può mortificare o cancellare la funzione emancipatrice della conoscenza e rendere residuale il mondo dei valori; una logica che finisce, se viene acriticamente sposata, per esaltare l’addestramento a svantaggio della trasmissione dei saperi e della cultura.
“Per sviluppare competenze occorre lavorare perchè l’alunno possegga in modo significativo, stabile e fruibile concetti e quadri concettuali, saperi e conoscenze desunti dalle discipline e raggiunga adeguate abilità intellettuali e pratiche sapendo come, quando e perchè utilizzarle” (M. Pellerey).
Le competenze non si insegnano direttamente: si creano le condizioni del loro sviluppo grazie a situazioni d’apprendimento, a dispositivi di esercitazioni e di riflessione sulle esperienze fatte. L’approccio per competenze richiede l’ancoraggio all’esperienza, alle pratiche sociali, alla realtà. Formare competenze significa richiedere prestazioni complesse e sfidanti basate sulla produzione di soluzioni a problemi tratti dal mondo reale. Per garantire, però, un percorso strutturato e sequenziale di formazione i problemi, i casi concreti, i contesti lavorativi devono essere sistemati in una successione razionale ed organica, altrimenti rischia di far saltare il curriculum, frantumandolo in una raccolta casuale di iniziative, di progetti, di attività.
Fare agire gli alunni nelle situazioni di apprendimento per “costruire” le conoscenze comporta un lavoro di innovazione serio e rigoroso. Bisogna saperlo che il cantiere per raggiungere questo obiettivo è aperto da molto tempo, ma che i risultati nella pratica quotidiana possono ancora modesti o limitati
L’approccio per competenze pone nuovi problemi e suscita perplessità in alcuni settori del mondo degli insegnanti, perchè confligge con le tradizioni più accreditate e seguite del sistema scolastico e con le consuetudini professionali. Richiede, infatti, un cambiamento significativo nelle procedure didattiche e nel modo di pensare e agire nei processi formativi.
La preparazione delle attività, il processo formativo e il coordinamento didattico in un curriculum per competenze esigono tempo di lavoro molto più ampio di quello attualmente contrattualizzato e soprattutto insegnanti stabili, provetti, con notevoli capacità progettuali. L’approccio per competenze mette in crisi l’individualismo magistrale, ma non può svilupparsi in un contesto di precarietà e di sudditanza professionale.