Professor Galli della Loggia, le racconto cos’era la scuola che lei rimpiange

di Giancarlo Cavinato

Era il 1973, nella scuola a tempo pieno di Torre di Fine Eraclea (Venezia).
Era il secondo anno di avvio del tempo pieno in provincia di Venezia terzo in Italia.
Negli incontri MCE inseguivamo lungo i corridoi Fiorenzo Alfieri e i torinesi avidi di sapere da loro che avevano iniziato per primi il tempo pieno.
Avevo una classe quinta di 24 alunni con diversi pluriripetenti provenienti da pluriclassi chiuse per l’avvio del tempo pieno in un nuovo edificio leggendo i libretti rosa e azzurri che a quei tempi accompagnavano gli alunni dalla prima alla quinta avevo rilevato che alcuni alunni avevano fatto uno o due anni alla scuola speciale di san Donà di Piave perché avevano dei fratelli maggiori già frequentanti la scuola speciale e si era pensato che avessero anche loro analoghe debolezze fisiche e mentali poi accortisi che così non era li avevano ricollocati nella scuola ‘normale’. Perdendo però uno o due anni.
C’era poi in un’altra classe G. bambino distrofico con scarsa speranza di vita. Lui non andava alla scuola speciale perché la famiglia di coloni dipendente dal proprietario terriero padrone delle terre circostanti il paese (un  vero ‘terrateniente’) non poteva lasciare i campi né trasportarlo quotidianamente a San Donà a 20 km. di distanza. Accogliemmo G. in una classe terza contro il parere della direzione didattica (’a vostra responsabilità’) e degli insegnanti locali. G. non leggeva e non scriveva ma faceva dei grandi dipinti di nuvole con un pennello. I suoi compagni lo lodavano per le forme delle nuvole.
Un giorno venne a un coordinamento settimanale del tempo pieno il parroco don Luigi.
Ci parlò di un ragazzino autistico, S., con una diagnosi di grave debolezza mentale. Stava nascosto in casa perché la madre, vedova, si vergognava dei suoi comportamenti.
B., suo fratello, era mio alunno.
Don Luigi ci chiese di prendere S. a scuola. Mancavano 4 anni, la legge 517 era di là da venire, ma si parlava di associazioni di genitori spastici (Anfass)  e down che chiedevano, assieme a operatori sanitari (fu Bollea nella rivista Neuropsichiatria infantile a determinare un orientamento e una nuova sensibilità e attenzione; ma erano anche gli anni di Maxwell Jones, di Laing, di Basaglia con la critica ai concetti di devianza e normalità) l’inserimento nelle scuole di tutti.
Cooperazione Educativa e altre riviste raccoglievano documenti, esperienze, proposte. S. venne accolto nella classe che condividevo con la collega Adriana Scibelli. Non c’era sostegno, non c’erano sussidi tecnologici potenti. Con il corpo con le mani con carta e pennelli con le storie con la musica ci attrezzammo. Il tempo pieno consentiva di organizzare gruppi interclasse.

Potemmo riconoscere in G. e in S. una  comune umanità, e i compagni di classe la sentirono e la condivisero. Sono fermamente convinto che l’integrazione, con tutti i limiti che ha potuto avere per scarso investimento dei governi e resistenze di una parte del mondo della scuola, ha offerto a tutti i ragazzi opportunità di una scuola più attiva, di una formazione più integrale.

Professore E. Galli Della Loggia, Lei rimpiange quei tempi in cui per vergogna si tenevano i figli a casa lasciando così spazio ai figli di una classe già di per sé privilegiata? Davvero pensa che sarebbe un progresso tornare a quei tempi? Concordo invece con Lei sulla inopportunità del proliferare di etichette e categorizzazioni perché la didattica deve essere differenziata per ogni alunno senza piani speciali per alcuni. La informo invece che proprio approfittando di una mobilità e dinamicità dell’organizzazione dei gruppi classe e della reciproca collaborazione quei bambini stranieri che secondo Lei non parleranno italiano ma rimarranno chiusi nel loro idioma (evidentemente per Lei inferiore) invece apprendono benissimo l’italiano attraverso gli scambi con i compagni cosa che non potrebbe avvenire in classi separate. Ma forse con le Sue recriminazioni e rimpianti per i bei tempi andati lei intende lanciare un forte segnale a un Ministero che propone l’umiliazione e la bocciatura con il 5 in condotta come soluzioni educative di tutti i problemi.