Inclusione, decadenza degli “intellettuali” e crisi della scuola dei diritti
di Rodolfo Marchisio
Io questo pezzo non lo volevo scrivere, perché penso che rispondere a EGdL (quello della “predella per ristabilire autorità del docente”, confondendo autorità con autorevolezza), che non è un esperto di scuola, sia quello che lui cercava, una provocazione per far parlare di sé. Ma invitato e tirato per i capelli da un paio di considerazioni, cerco di essere breve.
Intellettuale o influencer?
- Propongo di abolire il termine “intellettuale”, parola ombrello (Guastavigna) che all’epoca di social, talk e improbabili influencer, non vuol dire più niente. Sicuramente non ha più un ruolo di punto di riferimento nella babele di web, talk e fake. Se “la rete dà la parola a tutti” (U. Eco ed è un bene teorico nel campo dei diritti), dà però anche la parola “a legioni di imbecilli” (U. Eco) e se in rete “1 vale 1” si pone il problema del rapporto tra la libertà di espressione e la competenza in merito all’argomento; “la mia ignoranza vale come la tua competenza” (Asimov). EGdL è esperto di scuola, didattica, pedagogia, inclusione? Dai 2 articoli direi di no.
- Credo dovremmo parlare di studiosi, di ricercatori, competenti in un campo, anche se la conoscenza oggi è svalutata, anche grazie all’abuso della rete, rispetto alla opinione che chiunque può avere lecitamente. (Nichols).
Lo studioso si caratterizza per il metodo e per la citazione di fonti, ricerche, documentazione e per l’argomentare vs affermare (come fanno i social e la politica) che validino il suo discorso e permettano agli altri di verificare se dice il vero.
Lo fa anche wikipedia, il dizionario (non enciclopedia) su cui studiano i nostri ragazzi: questa pagina non è attendibile perché non riporta le fonti e non ha sito/bibliografia.
Se no è uno qualunque che esprime la sua.
- L’alternativa di moda è l’influencer da web o talk che spara opinioni e punta a emozionare, scandalizzare, provocare, strategie di moda in rete, TV e politica. EGdL è un influencer nel campo della scuola?
I diritti si possono perdere
- Il secondo motivo per cui mi permetto di esprimere e documentare la mia opinione è che sono in ballo, in questo ribollire di pareri, livori, frustrazioni, diritti fondamentali per cui, come ci insegna N. Bobbio, ci si è battuti a lungo contro contrari e pigri, ma che si possono perdere in tutto o in parte. Sono nella scuola dal 1969 ed ho vissuto resistenze, diffidenze, difficoltà di parte dei docenti che vivevano come un peso l’inserimento di disabili e poi degli stranieri.
Credo sia stata una faticosa conquista di diritti che non deve regredire e che non abbia fondamento scientifico la sua critica (Morello).
La “normalità” non esiste, come non esistono molti concetti usati per separare: siamo tutti diversi ed il confine tra salute e malattia, abilità e deficit è legato ad una convenzione sulla quantità e sulle conseguenze.
Gli alunni “deboli” non hanno solo diritto a migliorare, ma anche ad essere inseriti nella scuola e nella società. La scuola, per legge non deve solo istruire, ma anche formare la persona ed il cittadino. Qualunque cittadino.
Il vivere tra diversi (ed ogni diverso è diverso da tutti gli altri diversi) è per tutti crescita, progresso, mediazione verso la cittadinanza democratica; mentre il vivere tra eguali è quanto ci impongono i padroni della rete (Rampini) nei social, comfort zone in cui ci autoconfermiamo tra eguali (Pariser, Bauman) e ci identifichiamo odiando un gruppo diverso da noi (donna, omosessuale, straniero, disabile).
Si può migliorare?
Quando facevamo i primi convegni internazionali sull’inserimento dei disabili a scuola, emergeva (progetto europeo Helios 2) che i popoli mediterranei (Italia, Spagna…) erano più avanti nella inclusione, nella socializzazione; avrebbero potuto far di più nel recupero o compensazione di abilità. I paesi del nord (es. Germania) prendevano i disabili, li chiudevano in ville e li addestravano in modo intensivo, migliorando le loro capacità meglio di noi. Ma non li inserivano nella vita, nella società, nella scuola. Occorre fare entrambe le cose, migliorando e non rinnegando. Ma ci vogliono risorse umane ed economiche.
La scuola è specchio della società e del clima politico e culturale in cui vive
Quelle conquiste sono state frutto di impegno e lotte contro la palude inerziale presente nella scuola allora ed oggi. Non è cambiato molto. La scuola ha sempre avuto una parte più innovativa, più attenta ai diritti ed a temi diversi nelle varie epoche e di contro una minoranza che ci vedeva un problema ed una “palude” talora pigra che si adattava al clima dominante o talora insabbiava.
All’epoca il clima era teso alla conquista di diritti, oggi alla regressione.
Siamo nella epoca dell’”egocentrismo dei diritti individuali” contro i doveri di solidarietà ed i diritti degli altri (Zagrebelsky). Che sia interesse individuale, diritto di portare armi, diritto di prevaricare, occupazione abusiva del potere, difesa di sé, dei propri soldi e interessi (è sempre più “normale” non pagare tasse e violare le regole comuni a danno degli altri) contro il dovere fondamentale di solidarietà prescritto dalla Costituzione (dall’art 3 in poi).
Viviamo nella “Penisola che non c’è” (Pagnoncelli) che si basa sul percepito e non sui dati reali. Sulla pancia e non sulla ragione.
Inoltre il clima e la società in cui viviamo è quella in cui il 45 % dei cittadini non va a votare, e se una coalizione prende il 40% del 55 % dei votanti, col sistema elettorale attuale, prende il potere esecutivo (che sta “mangiando” gli altri poteri); prende tutto col consenso del 22% della popolazione. La realtà ed il clima in cui vive la scuola è questo. Due studi ci classificavano in serie B con USA e Giappone come “Democrazie con problemi” già anni fa.
L’indagine. Per chi è un problema l’inclusione?
Lasciamo perdere il valore della rilevazione della Tecnica della scuola a livello metodologico, di tipo social. Anche presa per indicativa di una tendenza il 40% dei docenti sarebbe in varie forme favorevole a modificare e qualcuno, oltre a sfogarsi, fa anche proposte sensate. L’altro 60%?
Ma la maggioranza degli allievi invece è contrario, non ci vede un problema. Allora i docenti che vogliono cambiare lo fanno per sé o nell’interesse degli allievi?
Forse i ragazzi sono un po’ più aperti ed i docenti manifestano disagio e problemi nel loro ruolo?
Ottimismo. Che possa essere anche merito della Ed. alla cittadinanza dopo 4 anni (peraltro non attuata in tutte le scuole e che vede diversi docenti, spesso nella secondaria, defilarsi e fare ostruzionismo?)
L’apprendimento è un fatto anche emotivo e sociale (Vigotsky, Goleman) ed avviene riconoscendo la diversità delle intelligenze (Gardner). Non esiste progresso nella omologazione.
Le reazioni di alcuni docenti troll ricupera il livore contro il “68”, il “politicamente corretto”. È odio in rete non argomentazione. Quelli del 68 sono oggi tutti tra i 75 e gli 80 (R. Palermo). Stanno organizzando la contestazione dell’Unitre.
Dice Valditara
“Le conquiste ed i diritti non si toccano” dice il ministro dell’ovvio. Ma va fatto qualcosa. Da chi? Dal Ministro e dalla politica. Che invece continuano a scaricare sulla scuola dopo la EC, la follia del PNRR, i problemi del “merito” (il governo è per la competizione e la competenza– degli altri non sua- non per l’inclusione), l’affettività, l’orientamento, il made in Italy spesso rifiutato dai collegi e tutti i problemi che la politica non sa gestire e risolvere. Se non mettendo una clausola finale. “Con invarianza delle risorse”. Allora è lecito pensare che una parte dei docenti sia stufa di risolvere problemi senza risorse (soldi e ore in più: incentivi estrinseci), ma solo con la motivazione e gli incentivi intrinseci di fare bene e fino in fondo il proprio lavoro?
Parliamo di risorse che sorreggano la motivazione e non di esclusione?