di Raimondo Giunta
Il potere nella società crea gerarchie e subordinazione; c’è chi comanda e c’è chi subisce e deve obbedire. Ma non basta.
E’ connaturata a chi detiene posizioni di potere nella società la tentazione di mantenerle a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo. Per non farne le spese, nel corso della storia, non sempre fortunata e felice, quanti sono stati collocati in condizione di subalternità hanno cercato di contenere o di sconfiggere la volontà di dominio e di sopraffazione che scaturisce spesso dal possesso del potere.
Si è riusciti a imporre limitazioni, regole e procedure di alternanza e di reversibilità del potere.
Si è inventata la democrazia, al cui sostegno sono necessari sia la divisione del potere sia un sistema di equilibri e di contrappesi, che se non devono impedire di prendere decisioni, devono essere in grado di neutralizzare scelte arbitrarie e pericolose per la società.
Si è riusciti a contrastare gli arbitri del potere, solo quando la lotta contro di essi è stata sostenuta da forti, robuste convinzioni morali e politiche. Senza queste fondamenta a lungo andare non regge il regime di tutele dei diritti e della dignità personale di ogni cittadino. Ripetuti sono, infatti, i tentativi di metterlo a soqquadro in funzione di specifici interessi oligarchici e di ceto politico. Le buone leggi che impediscono di essere sopraffatti e umiliati dagli uomini che gestiscono potere sulle persone possono essere mantenute, solo se non viene a mancare la vigilanza civica e democratica a loro difesa.
Appartiene all’ ambito di queste civilissime disposizioni di legge la norma che sanziona l’abuso d’ufficio (art. 323 codice penale, modificato con il d. l. 76/2020 convertito in legge 120/2020) che così recita “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni”.
Si riscontra, quindi, il reato di abuso d’ufficio quando un pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, nell’esercizio delle sue funzioni, produce un danno o un vantaggio patrimoniale che è in contrasto con le norme di legge.
Il bene giuridico tutelato dall’art. 323 c. p. è identificato nell’imparzialità, nell’efficienza, nel buon andamento e nella trasparenza della Pubblica Amministrazione, ossia nella tutela dei principi cui deve conformarsi l’attività amministrativa, così come viene richiamato dall’art. 97 della Costituzione (“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione“).
La norma che sanziona il reato dell’abuso d’ufficio finora ha cercato di impedire che venisse alterata a piacimento la “par condicio civium” di fronte alle scelte della pubblica amministrazione, ma negli ultimi tempi a non pochi uomini che gestiscono potere nei vari luoghi delle istituzioni è sembrata una camicia di forza di cui liberarsi al più presto, per potere procedere senza intralci e senza timori nell’attività amministrativa.
Incuranti se con le loro scelte si possa procurare intenzionalmente un vantaggio patrimoniale ingiusto o un ingiusto danno ad altri.
A sostegno di queste aspettative è arrivato, come promesso, il DDL presentato dal Ministro della Giustizia e già transitato nell’apposita commissione del Senato, il cui art. 1 così recita: ”Art. 1. Abrogazione del reato di abuso d’ufficio. L’articolo 323 del codice penale è abrogato”.
Punto e basta. Un colpo di scure su un pilastro di civiltà giuridica e amministrativa. Con l’approvazione nei due rami del Parlamento con questa norma si renderà di fatto insindacabile la posizione dominante dell’uomo di potere, grande o piccolo che sia. Inizierà il percorso di espropriazione dei diritti di cittadinanza, che non avrebbero modo di sussistere nell’abbandono della trasparenza e dell’imparzialità nelle scelte amministrative. Si approfondirà l’ostilità di parte della società nei confronti delle istituzioni e della politica. Si andrà verso il connubio sistematico tra amministrazione e malaffare. Si ritornerà all’arroganza e alla violenza del potere, da cui era sembrato di esserci a liberati con tanta fatica.
E a scuola che bisogno ci sarà dell’Educazione Civica e dell’Educazione alla Cittadinanza se gli uomini che gestiscono il potere nelle istituzioni, compresa la scuola, non risponderanno degli abusi che commetteranno nell’esercizio delle proprie funzioni?
Perchè gli abusi di potere scompariranno dal codice penale, ma non nei rapporti quotidiani tra cittadini e istituzioni. Senza adeguato e forte contrasto politico e civile con l’abolizione del reato di abuso d’ufficio si ridiventerà pedina manovrabile dell’arroganza e dell’autoritarismo di chi detiene posizioni di potere; verrà messo a repentaglio il proprio diritto ad essere amministrato con giustizia e imparzialità.