Dimensionamento scolastico: non esiste un numero “giusto” di alunni, ma bisogna decidere quale scuola vogliamo
Quando si parla di dimensionamento e razionalizzazione della rete scolastica si usano di solito parametri meramente ragionieristici finalizzati al risparmio della spesa pubblica.
Naturalmente, di per sé questo non è un male, anche se sarebbe opportuno che i medesimi parametri venissero applicati anche per altri capitoli di spesa del bilancio dello Stato (ad esempio quelle relative alle spese militari o alle spese per il funzionamento degli apparati politici del Parlamento o ancora alle spese per i contributi pubblici ai giornali, per citarne solo alcuni a titolo esemplificativo).
Raramente si fanno ragionamenti riguardanti la funzionalità dell’adozione di questi parametri e gli effetti che producono sul piano organizzativo e sul funzionamento del servizio scolastico. Com’è noto la legge finanziaria 2023 (L. 197 del 29 dicembre 2022) al comma 557 ha innalzato a 900 il numero minimo di studenti per riconoscere l’autonomia alle istituzioni scolastiche (in precedenza il numero minino era di 600), fatta eccezione per le scuole situate nelle zone di montagna o nelle piccole isole o caratterizzate da specificità linguistiche.
Questo significa che alle istituzioni scolastiche che si trovano al di sotto di questi parametri (scuole cosiddette sottodimensionate) non potranno essere assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato, ma solo dirigenti con incarico di reggenza. E lo stesso vale per i DSGA. Ovviamente questo meccanismo non riguarda i plessi scolastici in sé, la cui apertura o chiusura o dislocazione è di pertinenza degli enti locali, ma il numero di “presidenze” di titolarità che vengono attivate.
È plausibile immaginare che le istituzioni scolastiche sottodimensionate, e dunque senza un DS e un DSGA titolare, ma affidate in reggenza, siano condannate a una progettualità più precaria e a una continuità più frammentata nella gestione della scuola.
Ma, più in generale, il problema di fondo è quello di definire quale è il numero ottimale di studenti di una istituzione scolastica che consenta di garantirne una gestione efficace ed efficiente del servizio scolastico, tenendo conto che all’aumento del numero degli studenti corrisponde un correlativo aumento delle unità di personale scolastico occorrente per far funzionare la scuola.
Probabilmente non esiste una risposta univoca a tale quesito, ma è significativo che esso non venga mai posto nel dibattito riguardante questo problema e nelle decisioni che vengono assunte. D’altro canto finché la politica scolastica in Italia verrà definita dal MEF è difficile aspettarsi ragionamenti orientati in questa direzione.
Sappiamo d’altronde che mentre si è particolarmente attenti ad evitare che le istituzioni scolastiche funzionino con un numero di studenti inferiore alla soglia minima stabilita (salvo le eccezioni riportate sopra), non altrettanta solerzia viene dimostrata nei confronti di quegli istituti che nel tempo hanno assunto dimensioni così ampie per numero di studenti iscritti da diventare dei veri e propri monstre.
Ma anche in questo caso occorre chiarire il senso di questa affermazione. In teoria un istituto con 3500 studenti potrebbe non essere in sé un’aberrazione (ne ho visitato personalmente uno in pieno centro a Pechino che contava questa popolazione studentesca), ma si tratta di chiarire che tipo di scuola si vuole perseguire e il ruolo che è chiamato a svolge il dirigente scolastico all’interno di istituti così concepiti.
Infatti, se si opta per un ruolo essenzialmente gestionale e manageriale del DS, probabilmente il numero di studenti può essere molto elevato in quanto il dirigente si occupa essenzialmente di problemi macro; se invece si punta ad un ruolo più caratterizzato nel senso della leadership educativa, allora una dimensione più ridotta dell’istituto può favorire meglio lo svolgimento dei compiti connessi.
La tendenza che si è diffusa nel tempo in Italia è stata quella di puntare su un identikit di figura dirigenziale di tipo manageriale (almeno sulla carta e per i compiti che vengono richiesti) e dunque in grado di dirigere istituti anche di grandi dimensioni, tendenza che, guarda caso, meglio si sposa con le politiche di contenimento della spesa pubblica.
Tutto il ragionamento fatto fin qui può essere confutato con l’osservazione che la buona scuola in fondo la fanno i buoni insegnanti e questo a prescindere dalle dimensioni dell’istituzione scolastica. Infatti, si può obiettare che è all’interno del rapporto d’aula che si esprime una buona didattica con il correlativo conseguimento di risultati scolastici significativi e positivi.
Questa osservazione, non banale, trascura però che le “prestazioni” dei docenti risentono anche del clima complessivo che si crea all’interno della scuola e dei rapporti che si stabiliscono con la dirigenza.
Non a caso A. Paletta rimarca che “la leadership è una qualità distintiva tanto più di valore quanto più è strettamente connessa alla qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, ovvero quanto più valorizza studenti e docenti nella cui interazione si sostanzia lo sviluppo della persona umana.”[1]
Ma c’è da chiedersi in quali tempi e con quali energie un dirigente di un istituto di grandi dimensioni può garantire la tenuta complessiva del sistema e una interazione non episodica con i docenti (quando questi superano abbondantemente il numero di cento), atteso che proprio gli insegnanti costituiscono la principale risorsa professionale su cui si gioca la qualità della didattica e della relazione educativa.
L’aspetto interessante da sottolineare, a riprova del paradigma esclusivamente ragionieristico che ha caratterizzato le scelte di politica scolastica, è che all’aumento del numero degli studenti per istituto, che comporta una maggiore complessificazione nella gestione della scuola, non corrisponde, sul piano formale, una ridefinizione di alcuni istituti contrattuali come ad esempio il riconoscimento giuridico ed economico delle figure intermedie incaricate di garantire, insieme al DS, la tenuta del sistema.
Una maggiore complessità del sistema (e il numero degli addetti di un’organizzazione è un fattore che crea di per sé maggiore complessità) richiede forme più complesse e articolate di gestione. E invece, almeno formalmente, un istituto con 2000 studenti (situazione non così infrequente) si trova equiparato ad un istituto con 900 studenti. D’altro canto questo è quanto succede anche nell’attività d’aula in riferimento ai docenti: non vi è alcuna differenza, sul piano formale, tra il lavorare in classi con 18 alunni o con 30, anche se i carichi di lavoro e i potenziali fattori stressogeni sono di peso diverso.
Per tornare al quesito posto prima (quale sia il numero ideale di studenti per ogni istituto), la questione in realtà è mal posta in quanto probabilmente non esiste un numero ideale; semmai il problema è un altro: che idea di scuola traspare dalle scelte di politica scolastica che vengono portate avanti rispetto al dimensionamento? E correlativamente: che idea di dirigente scolastico viene veicolata? La mia ipotesi è che la tendenza ad ampliare i parametri quantitativi delle istituzioni scolastiche, a parte l’onnipresente mantra della razionalizzazione (leggasi: risparmi di spesa, ma con le contraddizioni segnalate in apertura), nasconda un’idea essenzialmente burocratico-gestionale della scuola, con una certa indifferenza verso i processi che sottostanno all’impresa educativa. È la scuola del merito (il merito dei migliori, quelli provenienti dai ceti sociali più abbienti), più che della cooperazione, della competitività più che della solidarietà. In sostanza, è la scuola del profitto, fatta a immagine e somiglianza del neocapitalismo. A questa scuola non serve un dirigente che curi le relazioni umane, o che garantisca che lo sviluppo dei processi di apprendimento costituisca un diritto per tutti gli studenti; a questa scuola serve un manager che si occupi essenzialmente degli aspetti burocratico-gestionali. Il libero mercato completerà l’opera intrapresa da questa scuola, selezionando diligentemente i Gianni dai Pierini.
[1] A. Paletta, Dirigenza scolastica e middle management, Bononia University Press, Bologna, 2020, vol I, p. 9.