di Raimondo Giunta
Un’idea nuova di istruzione e formazione
Pluralità dei saperi, pluralità dei linguaggi, pluralità delle culture: complesso è il mondo in cui si collocano le scuole del terzo millennio. La scuola è costretta a rinnovarsi e a proporre un’idea nuova di istruzione e formazione. Per farlo è necessario innanzitutto chiedersi se gli attuali processi di istruzione e formazione sono ancora in grado di preparare gli studenti ad affrontare i problemi e le sfide della società contemporanea; se li preparano a capire le trasformazioni in atto e i riflessi che hanno sulla vita quotidiana; se gli forniscono strumenti per un proprio progetto di vita e per l’inserimento nel mondo del lavoro; se consentono un’appropriata assimilazione dei diritti di cittadinanza.
La missione della scuola, infatti, non è solo quella di arricchire una persona di sempre più varie e complesse conoscenze, ma anche quella di formare cittadini consapevoli dei propri mezzi, in grado di sviluppare le strategie personali più opportune di interazione con la realtà. Le qualità intellettuali e la conoscenza sono sempre attributi strategici della persona, ma non gli unici e quindi devono essere messe in sintonia e a disposizione di altri aspetti della persona; non possono essere gli unici oggetti dell’attività formativa.
Per una formazione che si dia questi obiettivi è necessario liberare del tempo scolastico, occupato da un’infinità di argomenti, impiegandolo in attività in cui gli studenti possono mobilitare le proprie conoscenze per affrontare quei problemi che danno un senso al sapere che deve essere posseduto.
La giustificazione dell’esistenza e del mantenimento delle istituzioni educative è costituita dalla convinzione che i saperi acquisiti a scuola siano necessari per preparare un giovane a collocarsi utilmente e nel modo migliore nel mondo del lavoro e nella società.
In funzione di questi obiettivi si sono susseguite indicazioni e prescrizioni per pensare, elaborare e realizzare curricoli orientati alla formazione di competenze chiave o strategiche o trasversali, come dir si voglia. E ora orientate anche alla formazione delle soft skills, di competenze non cognitive come: autonomia; fiducia in se stessi ; flessibilità; resistenza allo stress; capacità di pianificare ed organizzare; attenzione ai dettagli; essere intraprendente; capacità comunicativa.
Parliamo allora di competenze
La questione è molto seria, soprattutto quella delle competenze non cognitive, e solleva importanti interrogativi e non poche difficoltà.
Riguardo al concetto di competenza che viene evocato in questi orientamenti curriculari dovrebbe ritenersi ancora valida la definizione che ne diede M. Pellerey nel 2004: “Una competenza è la capacità di far fronte ad un compito, o un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e ad orchestrare le proprie risorse interne, COGNITIVE, AFFETTIVE ed EVOLUTIVE, e ad utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e fecondo “.
La definizione di Pellerey è quanto mai opportuna per comprendere come nella sollecitazione ad occuparsi delle competenze trasversali e soprattutto di quelle non cognitive può annidarsi il rischio di dividere ciò che è unito e deve restare unito: istruzione ed educazione
COMPETENZE/CHIAVE.
Un diverso trattamento occorrerebbe per le competenze/chiave, per la loro necessaria connessione con i saperi che bisogna possedere. Infatti una competenza può essere definita chiave “in quanto gli elementi che la costituiscono (conoscenze concettuali, abilità operative, intellettuali e pratiche, disposizioni interne stabili) sono aperti a un loro sviluppo e approfondimento. Essi, cioè, costituiscono un patrimonio personale posseduto a un livello di comprensione, stabilità e utilizzabilità tale da potere essere valorizzato nei processi di trasferimento e adattamento in altri contesti diversi o più impegnativi” (M. Pellerey).
Per la scuola dell’obbligo da tempo si parla di competenze chiave, come competenze per la cittadinanza attiva. Queste competenze investono le aree dell’identità, dell’autonomia personale e della responsabilità sociale. Vanno oltre gli insegnamenti disciplinari, ma non vogliono essere alternative ad essi.
Esse si riferiscono a tre ambiti formativi tra di loro connessi, che riguardano
LA COSTRUZIONE DEL SE'(Imparare ad imparare; progettare);
RELAZIONI CON GLI ALTRI: a)Comunicare; b) Collaborare e partecipare; c)Agire in modo autonomo e responsabile;
RAPPORTO CON LA REALTA’ NATURALE E SOCIALE: a) Risolvere problemi; b)Individuare collegamenti e relazioni; c)Acquisire ed interpretare l’informazione
Le competenze chiave della cittadinanza devono scaturire dai saperi contenuti nell’asse dei linguaggi, nell’asse matematico, nell’asse scientifico-tecnologico, nell’asse storico-sociale.
Le competenze-chiave vengono pensate come il risultato che si può conseguire nel processo d’insegnamento/apprendimento attraverso la reciproca integrazione e interdipendenza dei saperi e delle competenze propri di ognuno degli assi culturali
”Le competenze sviluppate nell’ambito delle singole discipline concorrono alla promozione di competenze più ampie e trasversali, che rappresentano una condizione essenziale per la piena realizzazione personale e per la partecipazione attiva alla vita sociale nella misura in cui sono orientate ai valori della convivenza civile e del bene comune”
(Indicazioni per il curricolo dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione-Allegato al D. M. 31/72007).
Le mete educative relative alla costruzione dell’identità e dell’autonomia personale oltrepassano i risultati che si conseguono con i saperi disciplinari, ma non possono prescinderne a scuola. Il profilo che viene disegnato con le competenze chiave dell’obbligo scolastico è quello di una persona responsabile, capace, disponibile al confronto, sensibile alle innovazioni.
SOFT SKILLS
Con le soft skills si va un po’ oltre, perché si vorrebbe dare spazio alla formazione di attitudini appropriate allo stile di vita conforme allo spirito del tempo, al sapere essere come si preferirebbe che fosse nei nostri giorni, con il rischio di trattarle come se costituissero uno specifico settore della formazione e non il risultato complicato, eventuale e sperato della cura dei contenuti delle discipline scolastiche. Per questo vale la pena di vigilare.
La formazione delle soft skills, delle competenze del sapere-essere, senza la dovuta consapevolezza critica, rischia di piegarsi alle richieste imperative di quanti si adoperano per chiudere ogni possibile frattura tra carattere individuale della persona ed esigenze dell’organizzazione nel mondo del lavoro.
In questo caso non avremmo con soft skills e con le competenze del sapere essere la formazione dell’autonomia personale, ma una surrettizia pratica di addomesticamento. Avremmo l’adattabilità senza riflessione: quella che conduce a rinunciare a comprendere e che induce ad accettare tutto, senza interrogarsi su niente.
COMPETENZE TRASVERSALI
Discorso a parte bisogna fare con le competenze trasversali; emergono con forza nell’ambito lavoristico e nella pratica formativa per e sul lavoro, ma da tempo ci si è spostati con esse nel campo dell’agire umano nella sua varietà e complessità. Come competenze trasversali vengono indicate, secondo le varie scuole di pensiero, operazioni mentali come comprendere, dedurre, coordinare, applicare, analizzare, trasferire, interpretare, valutare; saper-fare metodologici come prender nota, strutturare un discorso, manipolare dei concetti, padroneggiare dei processi d’astrazione; e anche attitudini del sapere essere come collaborare, partecipare, realizzare progetti personali e/o professionali, sapere ascoltare e dialogare, parlare in pubblico, sapersi destreggiare
In genere con il concetto di competenze trasversali vengono indicate capacità e abilità di carattere generale, relative ai processi di pensiero e di cognizione, alle modalità di comportamento nei contesti sociali e di lavoro, alle attitudini della persona di riflettere e a quelle di utilizzare strategie di apprendimento e di auto-correzione della propria condotta. Hanno uno statuto di generalità che le distingue dalle altre competenze, tutte contestualizzate, e che le rende applicabili a un gran numero di situazioni anche inedite. “Il grado di padronanza da parte del soggetto dell’insieme di queste competenze, non solo modula la qualità della sua prestazione(. . . ), ma influisce sulla qualità e sulla possibilità di sviluppo delle sue risorse, attraverso la qualità dell’informazione che è in grado di raccogliere, delle relazioni che sa instaurare, dei feed-back che riesce ad ottenere e di come sa utilizzarli per riorganizzare la sua conoscenza”(G. Di Francesco).
La trasversalità è una capacità metacognitiva in grado di orientare l’esercizio delle competenze tutte specifiche e operative; la trasversalità è un portato della metacognizione, dell’attività del soggetto sulle proprie pratiche. Non è attributo delle ”cose” (le competenze), ma del soggetto. Messa in discussione come attributo delle competenze, è invece attributo essenziale dell’agire competente”(R. Frega). Senza trasversalità l’agire umano sarebbe meccanico, irriflessa ripetizione di procedure d’azione
Che le competenze trasversali siano mete educative di alto livello non è difficile accettarlo; lo è invece l’opinione che per arrivarci bisogna passare per forza dalle pratiche delle attività interdisciplinari. Ogni disciplina ha un proprio statuto epistemologico, a volte irriducibile a quelli di altre discipline ; un fatto questo che dovrebbe fare riflettere ed invitare ad un certo grado di prudenza nel tentare il percorso dell’interdisciplinarità e della transdisciplinarità.
L’interdisciplinarietà, come presupposto della trasversalità, non si decreta. Scaturisce dai problemi che bisogna affrontare.
“La preoccupazione dello sviluppo delle competenze non ha niente a che vedere con la dissoluzione delle discipline in una generica brodaglia trasversale. (. . . )Il tutto trasversale non conduce più lontano del tutto disciplinare”(PH. Perrenoud). Uno studioso come B. Rey afferma: “Trovo vana e vanitosa la pretesa di insegnare agli allievi a osservare, a comparare, a pensare, a dedurre ad adottare delle strategie riflessive etc, etc, . Che essi imparino, piuttosto, un po’ di matematica, un po’ di letteratura, un po’ di storia, un po’ di biologia, un po’ di lingue straniere”.
Non hanno proprio torto…
Si voltano allora le spalle al sapere e alle conoscenze?
A scuola non si dovrebbe pretendere di formare un particolare e condiviso tipo di soggettività. Ogni persona vive e sviluppa la propria identità dentro un sistema di relazioni sociali che la precede e le sopravvive e il compito del sistema di istruzione e formazione è quello di liberarla dai condizionamenti sociali e di offrirle gli strumenti per individuare e cogliere tutte le opportunità di cambiamento e di partecipazione, che una società può offrire.
La scuola deve assolvere a compiti di socializzazione, come si aspetta la società, ma deve assolvere a compiti di educazione nei confronti di ogni singola persona per renderla libera e autonoma con lo sviluppo e l’esercizio libero della propria ragione e delle proprie facoltà.
Con la formazione delle competenze chiave, trasversali e delle softskills, al netto delle preoccupazioni che al riguardo bisogna avere, si cerca di passare dalla pedagogia del sapere e della conoscenza alla pedagogia del saper fare e del sapere agire. Questo comporta spostare l’attenzione dell’attività formativa dai contenuti alla persona, dal sapere alla capacità di apprendere, dall’insegnamento all’apprendimento. Le conoscenze e i saperi assumono rilievo come ambito e mezzi dell’azione formativa. Si sollecita un cambio di sguardo, di prospettiva per fare della persona la misura del sapere e per assegnare un senso all’apprendimento. Per contrastare procedure didattiche che renderebbero inerti, astratti e formali i saperi e le conoscenze; per dare spazio alla responsabilità e al protagonismo dell’alunno non è affatto detto, però, e necessario che si debba ridimensionare il valore dei contenuti nei processi formativi.
Lo sviluppo e l’incoraggiamento di un atteggiamento attivo dello studente a rigore implica un sovvertimento dei metodi di insegnamento, delle procedure didattiche, ma non l’irrilevanza dei contenuti e dei saperi.
Per essere in grado di partecipare alla vita sociale ed esercitare i diritti di cittadinanza bisogna prima partecipare alle grandi tradizioni del sapere, fatto possibile se una persona viene istruita, riesce a portarsi all’altezza delle conoscenze e dei saperi che è necessario possedere. Nell’enciclopedia del sapere scolastico ci devono essere contenuti che sono FINI e ci possono e debbono essere contenuti che senza scandalo sono MEZZI per gli scopi e gli interessi che di volta in volta devono essere presi in considerazione per rispondere alle esigenze della società. Ci si attende che la scuola prepari per l’avvenire, ma ci si attende anche che la scuola sia il luogo della trasmissione dei valori e della cultura, delle tradizioni, della storia della società alla quale appartiene. Questa duplice esigenza crea delle tensioni, che occorre stabilizzare; le antinomie a scuola hanno una soluzione nella gestione della complessità e non nella loro semplificazione. Cambiare prospettiva, punto d’osservazione non deve significare indebolire il ruolo e il significato dei saperi scolastici. Non se ne ricaverebbe alcuna utilità.
La scuola è l’unico luogo dove è possibile trasmettere e fare appropriare alle nuove generazioni le basi di una cultura comune, unico fondamento per la convivenza e la cittadinanza. La cultura comune è data, però, da alcune discipline, da alcuni specifici contenuti, da principi e valori storicamente determinati e condivisi e non si riduce ad un insieme di competenze chiave, trasversali o alle softskills…