Per una scuola davvero efficace ci vuole della buona pedagogia

   Invia l'articolo in formato PDF   
image_pdfimage_print

Stefaneldi Raimondo Giunta

La missione della scuola è stata sempre quella di educare a vivere con gli altri; ma oggi gli altri sono quelli che vengono da molto lontano e sono diversi da noi e diversi tra di loro.

La scuola oggi ha responsabilità di fare vivere armoniosamente e quotidianamente le diversità, di porsi consapevolmente come antidoto contro l’imperversare di sentimenti di odio, contro la manipolazione dell’informazione che di fatto ne è strumento; la scuola oggi o diventa scuola del dialogo o non è scuola; dialogo tra gli alunni; dialogo tra docenti e docenti; tra alunni e docenti; dialogo tra alunni e il sapere; dialogo tra scuola e società.

Dopo ogni indagine sullo stato di salute della scuola, così come dopo ogni fatto che documenta la condizione di fragilità e di disorientamento delle nuove generazioni si alzano le voci per reclamare una scuola nuova e diversa rispetto a quella di cui si dispone. Puntualmente.
E allora diciamolo.  La scuola intrinsecamente nuova, naturalmente nuova è quella che insegna a pensare, che educa all’autonomia intellettuale e del giudizio morale. Non è la ricchezza della strumentazione, né l’attrattività degli ambienti di apprendimento a farla diventare nuova. Nemmeno l’articolazione del curriculum.
La scuola, anche quella sgarrupata è veramente nuova se aspira nelle sue date condizioni a rendere l’alunno protagonista, contento del proprio apprendimento. Consapevole della propria crescita.

La scuola ha una propria costitutiva proiezione verso il futuro e fa bene il proprio mestiere se del futuro non restringe l’orizzonte, non amputa le sue possibilità. Se tutto ciò ha un senso, la scuola che prepara al futuro non è quella che si piega al diffusissimo mito dell’impiegabilità, perché colloca la scuola su una prospettiva di breve durata e ne impoverisce l’orizzonte sotto molti aspetti.

”La cultura scolastica ridotta a competenze strumentali evapora in una moltitudine di saper fare senza altra legittimità se non provvisoria, aleatoria e dunque del tutto discutibile”(Meirieu).

Guardando con preoccupazione a quel che succede nel mondo, si comprende senza tante complicazioni che la scuola è davvero efficace non soltanto quando riesce a istituire rapporti fecondi con il mondo del lavoro, ma anche e soprattutto se sviluppa e difende i propri tratti di comunità educativa, se prende in carico il compito di fare crescere bene gli alunni nel sapere, nel rispetto del prossimo e dell’ambiente. Si dovrebbe dire ad alta voce non solo che cosa si pretende che gli alunni sappiano e sappiano fare; non solo che cosa si pretende che diventino, ma anche che cosa ci vuole, perchè siano partecipi di una comunità e di una storia.

La scuola come istituzione pubblica deve educare al bene comune e contrastare, come sarebbe logico, le strategie individualistiche e consumistiche delle famiglie e degli alunni, perché ne snaturano la missione. La scuola a domanda individuale come periodicamente e pubblicamente si reclama è un obbrobrio; un tradimento della sua funzione sociale. La scuola non è e mai dovrebbe essere uno dei tanti prodotti messi in concorrenza nel mercato delle merci, dei beni e dei servizi. L’oscuramento delle mete collettive (cittadinanza, valori costituzionali, sviluppo umano e culturale) ha fatto sparire il “noi” per il quale i sistemi scolastici sono stati costruiti.

La scuola che va salvata, protetta e sviluppata ha come suo scopo fondamentale l’emancipazione, la liberazione dai pregiudizi e dall’ignoranza, la speranza di una vita buona. Ne consegue che una scuola che si rispetti, quindi, mai dovrebbe darsi come obiettivo l’esclusione di una parte dei suoi alunni dalla trasmissione dei saperi e della cultura.

Per contrastare la disperazione degli esclusi e l’individualismo senza mete collettive ci vuole della buona pedagogia ed è indecente opporla ai saperi, associarla al lassismo, al ribasso delle esigenze. La buona pedagogia è l’arte di condurre al sapere gli alunni che pensano di non esservi predisposti. Non è vero che la scuola, così, sacrifica i migliori, perché abbiamo, invece, una scuola che non dà a tutti gli strumenti necessari per la vita.
La buona pedagogia aiuta gli insegnanti a liberarsi dal delirio di onnipotenza, dalla pretesa di vedere tutto e di saper tutto per tutto controllare. Non nasconde il ruolo delle famiglie, della nascita, del luogo di appartenenza, delle risorse disponibili nella diversità del rendimento scolastico degli alunni. Non dimentica che non si ha potere sulla coscienza degli alunni e riconosce la propria impotenza di fronte alla coscienza e alla volontà degli alunni. Crea spazi, fornisce strumenti, fa della classe un luogo sicuro senza pressioni e senza forzature; ha lo sguardo positivo su quel che succede; non blocca e non irrigidisce, si meraviglia dell’imprevedibile, fa appello all’immaginazione.

La buona pedagogia fa capire che la scuola è un altro mondo; non è la prosecuzione della famiglia, nè dell’ambiente esterno; non è un luogo ordinario ed esige particolari comportamenti, perché è retto da alcuni propri principi sui quali non si può transigere.

A sostegno di quella pedagogia che si vorrebbe buona non c’è una verità inconfutabile, perchè l’educazione è scritta nell’irreversibilità del tempo e nella singolarità delle situazioni individuali, perchè mai due situazioni si presenteranno allo stesso modo e perchè la pedagogia è condannata al rischio e all’incertezza (P. Meirieu).
A sostegno della buona pedagogia c’è l’impegno quotidiano di ogni insegnante che ama il proprio lavoro e ne condivide l’alto valore umano e sociale; c’è la sua capacità di discernimento, che nell’attività didattica mette in relazione la norma e la particolarità dei propri alunni e della propria classe; c’è la sua responsabilità di porsi come esempio nella passione per il sapere e quella di farsi carico, per quello che gli compete, del futuro di ogni alunno che è stato affidato alle sue cure.