Scuola bene comune, un libro che spiega perché la nostra scuola è malata e cosa fare per farla stare meglio
È uscito da poco un libro di Aluisi Tosolini, dal titolo molto intelligente: “Scuola bene comune” (Edizioni EMI, Brescia 2023), che parla di scuola e sulla scuola. Che la scuola sia realmente un “bene comune”, come l’acqua, è cosa molto chiara all’Europa, ma molto meno chiara all’Italia, dove riforme raffazzonate e politiche incomprensibili hanno supportato gli interventi della politica, nel complesso tutti tesi a smontare quello che il compianto Luigi Berlinguer aveva costruito. Prevenendo e prevedendo la crisi sistematica dei sistemi dell’istruzione l’Europa ha avviato percorsi di analisi (i “libri bianchi” ed “Education at Glance”, il “periodico” annuale sulla scuola dell’OCSE), poi programmi ambiziosi (Lisbona 2010, EU 2020 e l’attuale Next Generation Eu da noi ribattezzato, chissà perché, PNRR), infine linee di progetto con ampi finanziamenti al seguito. In Italia la risposta è stata inizialmente ottima con la trasformazione della scuola italiana nell’ambito di un’autonomia di rango costituzionale per poi perdersi dentro riforme partitiche, settoriali, casuali. L’Europa ha fatto il suo percorso con una linearità e una consecuzione che Aluisi Tosolini ricostruisce mirabilmente, rimandando ad una serie di importanti documenti con grande precisione e attenzione. Se si segue la linea narrativa di Tosolini si può ricostruire con attenzione il quadro d’insieme che ha portato l’Italia dove è ora (cioè, nelle parti basse dei sistemi dell’istruzione dell’area Ocse). Ma si può anche comprendere come il sistema scolastico italiano, dentro i suoi quotidiani contorcimenti tra modalità ripetitive e ferrei diritti sindacali difficilmente potrà in tempi brevi uscire dalla crisi.
MA COS’E’ QUESTA CRISI
Lasciamo la parola a Tosolini: “il quadro complessivo segnala oggi un aumento significativo a livello mondiale della disuguaglianza in tutti gli ambiti e settori” (pag. 35). Questa disuguaglianza fa il paio con la drammatica ascesa delle povertà educative: “la correlazione tra povertà e povertà educativa è nota e conclamata” (pag. 44) e tutto questo porta ad una progressiva perdita di learning loss, ovvero “perdita di apprendimento” (pag. 45). Questo corto circuito sta avvelenando i sistemi dell’istruzione, a cominciare dai più fragili, cioè da quelli come il nostro. E tutti i soldi che vengono trasmessi oggi alle scuole, senza un quadro di riferimento chiaro, poco potranno fare. Ma come può esserci un quadro di riferimento chiaro, quando il percorso narrato da Tosolini è sconosciuto alla gran parte dei dirigenti e dei docenti italiani, ancora alle prese con le modalità didattiche ed educative sedimentatesi negli Anni Settanta del secolo scorso? Su questo Tosolini è molto chiaro e preciso: senza una comprensione chiara dello scenario digitale e globalizzato in cui è inserita la scuola si può poco o nulla. Tosolini rimanda agli obiettivi dell’OCSE e ne isola due: “la definizione di global competence e l’aggiornamento del concetto di competenza” e “la rivisitazione del concetto di apprendimento e ambiente di apprendimento” (pag. 89). È chiaro che, mentre l’OCSE modifica i suoi parametri, in Italia stiamo tornando ai dibattiti sui voti, sui contenuti, sulla didattica trasmissiva, sulle bocciature, siamo cioè ripiombati nell’altrove più lontano da quelli che sono gli elementi di progresso cognitivo, dentro il poderoso avanzamento della serrata difesa dell’insegnamento da qualunque attacco portato dalle obiettive necessità dell’apprendimento.
Interessante come Aluisi Tosolini analizza l’Obiettivo n° 4 dell’Agenda 2030: “Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti”. Questo obiettivo, all’apparenza ovvio, contiene un elemento di grande profondità che modifica gli equilibri dei sistemi formativi. Nell’obiettivo si citano la qualità, l’equità, l’inclusività e le opportunità di apprendimento, ma non si parla di eguaglianza? Perché ci si domanda allora? E il libro di Tosolini fornisce il percorso per comprendere come rispondere a questa domanda: perché l’eguaglianza si costruisce dentro una cultura della pace, dentro uno sviluppo delle competenze, dentro un’equità che permetta a tutti di essere inclusi. Purtroppo, quindi, dentro un percorso lontano da quello che prevede il sistema dell’istruzione italiano, in cui all’eguaglianza dichiarata non corrisponde una vera equità di fatto: come si dice spesso, l’ascensore sociale ha smesso di funzionare. Se la scuola è un bene comune che va rafforzato ecco che allora è necessario riprendere in mano le modalità di costruzione dell’apprendimento: “vanno incoraggiate condizioni di autonomia, flessibilità e agire collaborativo”, cioè quegli elementi che le classi di concorso, i rigidi orari, le valutazioni docimologiche, il rapporto irrisolto col sapere informale e non formale condizionano in maniera decisiva in ogni serio tentativo di far uscire il sistema scolastico italiano dalle secche delle sua difficoltà. E infatti Aluisi Tosolini ci riporta alla necessità di “rispondere alla crisi globale dell’istruzione, che riguarda l’equità e l’inclusione, la qualità e la pertinenza” (pag. 73) e quindi non verso una generica eguaglianza dichiarata da tutti e praticata da pochi, con richiami costanti a don Milani di maniera e non di contenuto, ma dentro un sistema equo e riflessivo, più professionale (pag. 72: “l’insegnamento deve essere ulteriormente professionalizzato”).
L’EDUCAZIONE TRASFORMATIVA
Un passaggio essenziale del bel libro di Tosolini è quello che richiama la necessità e l’importanza di ragionare in termini di “educazione trasformativa” (pag. 77), cioè di un sapere sempre in movimento dentro i due grandi elementi della nostra contemporaneità, che Tosolini affronta in due appositi capitoli: il digitale e la pace. Se non comprendiamo che quella del digitale è una sfida ineludibile e quella della pace una cultura che va costruita, ci limiteremo a sperare che improvvisamente gli smartphone spariscano dalla scuola e a constatare che la pace è solo una bandiera colorata da sventolare alle manifestazioni. In realtà il percorso trasformativo della conoscenza passa attraverso la trasformazione di un sapere statico ed autoreferenziale in un sapere trasformativo che può cambiare le cose. Troppo puntuale per essere eludibile il libro di Tosolini ci aiuta a capire che cosa è successo con una mole documentale che dovrebbe diventare patrimonio comune per farci costruisce quella “scuola bene comune” che poggia su solide fondamenta e che non affonda, invece, nella melma di un dibattito pubblico veramente avvilente.