Un voto non si nega a nessuno
Ha fatto molto scalpore in questi giorni la questione del Liceo Morgani di Roma, dove il Collegio docenti con una votazione pressoché paritaria (37 a 36), ha eliminato la sezione “senza voti” operativa da anni.
Personalmente ritengo un grave errore aver portato una simile questione in collegio docenti, visto che stava già nel PTOF che si chiude il 31 agosto 2025 e, inoltre, non andava ad intaccare la valutazione finale che deve per legge essere numerica.
Rimane il messaggio molto esplicito che questa scelta ha trasmesso, cui credo abbia molto nuociuto l’esposizione mediatica data alla sperimentazione in una sola sezione, che ha trasformato, per l’opinione pubblica, tutto il Liceo Morgani di Roma in una scuola senza voti, creando, dunque, una presa di posizione avversa dei docenti che non condividevano la scelta fatta da quella sezione.
La querelle sul Liceo Morgani fa, però, il paio con le varie prese di posizione di esponenti politici della destra, che da tempo vogliono il ritorno dei voti numerici anche nelle scuole primarie, aboliti dall’Ordinanza Ministeriale 172 del 2020, andata a regime nell’ambito di una grande azione formativa del Ministero conclusasi da poco.
Ci sono poi vari personaggi pubblici apertamente conservatori come Paola Mastrocola o apparentemente progressisti come Viola Ardone che lodano il “2” e la sua potenza salvifica e benefica.
Diciamo che le truppe dei donmilaniani sono ben agguerrite, ma in palese fase di ritirata più o meno strategica.
Reginaldo Palermo in un simpatico intervento (Ci vuole una regola chiara: si usa il voto quando governa il centro-destra e il giudizio con il centro-sinistra, 2 novembre 2023, su “Tecnica della scuola”) ha scritto che, quando governa il centro sinistra nelle scuole primarie si valuta con i giudizi, quando governa il centro destra con voti.
Chi propugna una scuola senza voti (ad esempio Valentina Grion, Cristiano Corsini, Vincenzo Caico) vorrebbe una scuola in cui la trasparenza del giudizio prevalga sull’opacità del voto, anche perché il voto tende a misurare un prodotto (compito in classe, interrogazione, test), mentre il giudizio descrittivo deve addentrarsi nel problema dell’apprendimento.
Faccio notare un piccolo paradosso: molti studenti con voti negativi vengono ammessi alla classe successiva nel secondo ciclo attraverso il così detto “voto di consiglio” (la materia è insufficiente, ma il consiglio decidendo la promozione, autorizza perciò la trasformazione del voto in positivo, magari con un asterisco che indichi l’”aiuto”).
È logico tutto questo? Direi proprio di no: io penso sarebbe più semplice e serio promuovere lo studente, sostituendo quel voto falso (“6 per voto di consiglio”), con una descrizione precisa delle lacune rimaste e da colmare, che mostri palesemente come l’alunno sia stato promosso nell’ambito di una valutazione generale che nulla ha a che vedere con una singola materia.
Questa descrizione c’è, ma è svogliata, e soprattutto non la legge nessuno, perché, messo in tasca il 6, uno guarda solo avanti e non indietro. Tra l’altro questo aprirebbe anche la questione, che è connessa al concetto di didattica orientativa, sull’opportunità di mantenere la struttura di apprendimento tuttologica anche per studenti che si sono già orientati in maniera definitiva (sia verso il mondo del lavoro, sia verso il mondo universitario, sia verso il nuovo e grezzo mondo degli ITS).
Personalmente ritengo che gli argomenti per uscire dalla logica dei voti e trasferirsi in quella di una valutazione complessiva delle materie generaliste, di quelle di indirizzo, dell’educazione civica e del comportamento, dei PCTO, delle progettualità, degli Erasmus, dei corsi per l’ampliamento dell’offerta formativa, dell’orientamento, dovrebbe avere una chiara organizzazione descrittiva ed arrivare ad una trasformazione in crediti al solo fine dell’esame di stato conclusivo.
Il voto di diploma dovrebbe essere integrato da una descrizione completa dello studente, non da una statica e non letta certificazione delle competenze. La valutazione senza voti è destinata a modificare la scuola italiana, che così non può più andare avanti, ma non nei prossimi anni: questo, però, avverrà solo quando sarà chiaro che il sistema della valutazione numerica produce dispersione e non la combatte, condiziona gli studenti verso il voto e non verso l’apprendimento, non aggiunge conoscenza sugli studenti e il loro percorso, ma solo appiccica numeri nel registro elettronico. A quel punto il “2” terapeutico e l’esame di stato nozionistico potranno anche essere sostituiti da prove di resistenza e maturità, sullo stile di quello che fanno i marines nell’addestramento. Prove che forgiano, ma poi l’apprendimento, anche per i marines, è altro. Faccio per dire, ovviamente, perché al giorno d’oggi bisogna stare attenti: si è presi sul serio anche quando si esagera per farsi capire meglio.
Una domanda, alla fine, me la devo porre: ma se è così chiaro che il voto e le modalità con cui viene assegnato producono più danni che altro e poiché le motivazioni di chi propone una scuola senza voti sono più che convincenti, perché si rafforza l’idea che il voto è oggettivo, migliore, utile, chiaro? Se l’attuale governo ripristinerà i voti nella scuola primaria (magari lasciando intatti gli obiettivi: sarebbe un vero capolavoro di astrattismo cubistico) io credo che i genitori degli scolari delle primarie saranno quasi tutti contenti, i commentatori che hanno spazio nei giornali e nelle televisioni plauderanno, molte maestre e qualche maestro (sono molti meno) tireranno un sospiro di sollievo. C’è dunque qualcosa che sfugge a chi ritiene che la pedagogia sia una cosa seria, che l’apprendimento non coincida con l’insegnamento, che la valutazione non sia misurazione. Anche perché l’opinione pubblica ha potere sulle professioni quando le professioni sono deboli, lo si è visto sui vaccini anti-Covid, ma lo si vede anche in altri settori: chi discuterebbe su come si costruisce un grattacielo mettendo sullo stesso piano il gradimento popolare e la progettazione dell’opera? Nella scuola sta avvenendo questo: i progettisti e costruttori di grattacieli (l’apprendimento di bambini e ragazzi) sono messi sullo stesso piano di coloro che in quei grattacieli vorrebbero essere al sicuro da crolli e pericoli senza però sapere nulla di ingegneria (genitori, opinione pubblica, commentatori, politici).
E allora cosa succede realmente? Succede che è il mondo della scuola a volere i voti, ad agognare le verifiche, a godere dei compiti in classe, ad appassionarsi alle interrogazioni dove a domanda si risponde come vuole chi ha fatto la domanda.
Tutto questo avviene – in questo caso ne sono certo, quindi non scrivo: a mio parere – perché la gran parte dei docenti senza voto non sa proprio come fare. Non come fare a valutare, perché ogni docente sa valutare i suoi studenti con una sufficiente profondità, ma proprio come fare: come fare tutto. Senza voto un numero enorme di docenti non saprebbe come e cosa insegnare, come vivere in classe, come verificare, come valutare in maniera trasparente, come correggere, come correggersi, come formarsi, come aggiornarsi. Il voto, soprattutto negativo, certifica che l’insegnante è in grado di vedere il fallo, e certifica anche il suo potere, attraverso voti negativi disciplinari, di poter decidere il futuro dello studente (promosso o bocciato). I docenti ritengono che la loro professione alla fine debba avere un confine e questo confine è proprio il voto, pena l’ingovernabilità del sistema. Il voto è complicato e per questo piace ai docenti, perché è un rapporto personale che non descrive nulla, riferito a standard personali ed esoterici, dentro criteri d’istituto per lo più inutili perché permettono davanti alla medesima prova di assegnare sia “4” che “7” (come Corsini ha dimostrato nel disinteresse generale della scuola).
Su questa questione si è poi innestata la propaganda sul merito non descritto come giusto riconoscimento di chi è bravo (cui il sistema non da nulla di diverso da chi bravo non è), ma come contraltare al “demerito”, per cui “il sei te lo devi meritare” diventa una frase emblematica di una scuola dove si deve studiare per avere i voti non per apprendere e dove anche se apprendi questo non vale nulla finché al tuo apprendimento non viene appiccicato un voto. Tra l’altro per molti docenti insegnare la propria materia è una missione e, come ogni missionario (Pizarro incluso), ritengono che, se non si riesce ad insegnare con le buone le cattive vanno benissimo (da lì i “2” salvifici, che aprirebbero la conversione allo studio di tutti quelli che li prendono).
Dunque, che fare in questo caos? Direi lavorare molto e tacere ancora di più: lavorare nelle scuole con coscienza e saggezza, cercando di fare emergere su giornali, televisioni, social niente o quasi, come avviene per gli ingegneri che non pubblicano sui social i progetti dei grattacieli che progettano e che poi ditte specializzate costruiscono nel silenzio mediatico più assoluto.