di CinZia Mion
Lettera aperta a Luca Ricolfi.
Mi ha colpito moltissimo, prof. Ricolfi, il suo intervento apparso sul Gazzettino il 25 agosto dal titolo “Quale potere può limitare la libertà di pensiero”.
Il riferimento è presto detto: il caso del generale Vannacci.
Dopo una dotta introduzione in cui lei ha addirittura fatto riferimento al concetto hegeliano di “eterogenesi dei fini” (che stringi stringi non significa altro che ottenere risultati opposti a quelli desiderati) lei entra nel merito della sua tesi.
Le dico subito che se non si fosse già esposto con un saggio sulla Scuola, insieme alla moglie, la prof.ssa Mastrocola, probabilmente non avrei letto l’articolo.
Non ero d’accordo con la vostra tesi espressa in quel saggio e non sono d’accordo con quello che ha argomentato lei a lungo in difesa di Vannacci, nell’articolo succitato.
Mi presento: sono un’anziana dirigente scolastica che ha speso la vita molto oltre all’età della pensione per la Scuola. Non per la scuola elitaria come fate voi, ma per la scuola più difficile, quella faticosa che richiede passione, non solo per il Sapere, ma passione per i ragazzi, anche quelli caratterizzati da “povertà educativa”, quelli che hanno bisogno di docenti motivati profondamente e indefessamente alla ricerca della didattica più adeguata per farli arrivare non solo all’apprendimento ma al piacere della “comprensione”, a quell’effetto illuminante che io descrivo come brivido mentale.
Ma ritorniamo più pedestremente alla questione del “Generale” e al suo diritto a dire quello che pensa.
Se Lei non fosse una persona che discetta di scuola non avrei raccolto la provocazione. Ma lo ha fatto e lo farà ancora per cui sento il dovere di intervenire. Mi ha colpito sentire che in primis connota i media che ne hanno dato notizia come “progressisti”, usando questo termine chiaramente con una punta di sarcasmo spregiativo (poi si capirà, perché l’intenzione sarà quella di contrapporre a questa espressione quella di “conservatore” nella connotazione nobile) ma poi continua in punta di diritto per cercare di individuare chi mai può permettersi di porre dei limiti alla libertà di espressione. La ricerca si infrange sulla domanda retorica : dove si colloca il reato? E lì comincia una sfilza che ovviamente non riprendo per arrivare alla conclusione che non si ravvisa nessun reato.
Io credo fermamente invece che ciò che ha violato il Generale sia l’articolo 3 della Costituzione, nei suoi aspetti più profondi e delicati, vale a dire ha attaccato in modo indecoroso il concetto di “diversità” negandone il pieno diritto all’”uguaglianza”. Non sarebbe grave se fossero concetti espressi solo dall’uomo della strada, magari non acculturato, allevato in un terreno di coltura pieno di stereotipi, non dico di cultura conservatrice ma di destra, quella più sboccata, senza freni inibitori (vedansi le espressioni riferite agli omosessuali, oppure alle persone di colore) non avvezzo ad interrogarsi, abituato ad esprimersi come si fa con gli amici al bar (dopo aver sbevazzato, però). Ma sono concetti espressi da un personaggio con funzioni pubbliche e come tale con vincoli di “etica pubblica”, senza tralasciare il dovere di “disciplina e onore”.
In un certo senso difendendolo, sia pure a livello giuridico, lei professore si è comportato però nello stesso modo, ossia non ha preso in considerazione uno dei “valori” fondamentali della nostra Costituzione!
Esimio professor Ricolfi, so che lei si occupa di “psicometria” e quindi non può non sapere che il paradigma culturale che caratterizza i nostri tempi è quello della “COMPLESSITA’”, che richiede il superamento della logica binaria e del pensiero dicotomico (normale o anormale, per es.). Non può non sapere che in questo clima culturale, chiamato anche postmoderno, le certezze sono saltate e dobbiamo fare i conti sempre con la riflessività per riorientarci in questo mare di incertezza. Non può non immaginare che i ragazzini che frequentano oggi la scuola abiteranno ancora di più sia la complessità, all’interno della quale dovranno imparare a coniugare le logiche anche contrapposte, sia l’incertezza e il dubbio.
Non può non sapere che le identità personali, per non andare in pezzi, dovranno crescere in modo da essere forti nel senso di resilienti, ma “flessibili”, per essere in grado di vivere nella tolleranza e accettazione dell’altro, il “diverso” appunto.
Non può non sapere che dall’anno 2012 le Indicazioni Nazionali per il primo ciclo e le Linee guida per la Scuola secondaria raccomandano di formare alla capacità di decentrare il proprio punto di vista per poter vivere da “protagonisti partecipi” in una società sempre più multiculturale, multietnica, multireligiosa.
La società che vagheggia il soggetto che lei difende non solo è monoculturale, ma anche immobile nel tempo, non direi nemmeno vecchia ma ormai inesistente….
Contento lei di avere sprecato il suo tempo, contenti tutti.
Io ho speso il mio per mandare un messaggio alle persone di scuola, a quelle più fragili che potrebbero sentirsi tentate di appoggiare una tesi come quella di cui stiamo parlando perché “deresponsabilizza”, richiede meno “riflessività”, è facile e può trarre in inganno.
Se non avesse vinto la destra con questo largo margine non mi sarei preoccupata. Avrei pensato
: ma i docenti non si fanno ingannare da un simile “cantastorie” ma oggi, purtroppo, non ne sono più sicura come un tempo…
Impieghi il suo tempo prezioso, professor Ricolfi, per qualche obiettivo più nobile, come saprà fare senz’altro. Credo che abbia scritto questo articolo su commissione. Non mi piace pensare che l’abbia fatto spontaneamente. E questo torna a suo favore.