Intelligenza artificiale, libri di testo, riassunti
di Stefano Stefanel
L’intelligenza artificiale e, soprattutto, il suo uso umanistico ha preso alla sprovvista tutti. La scuola, come sempre avviene, tende ad arretrare davanti ad ogni novità e la scandaglia con i crismi della conservazione, chiedendosi, piuttosto attonita, in che modo la sua tradizionale concezione del sapere venga scossa da ogni nuova “diavoleria” in arrivo. L’intelligenza artificiale, sotto le spoglie nemmeno troppo anonime di Chapt A.I., sta dando alle certezze della scuola una scossa quasi pari a quella data dalla pandemia, che ha trasformato in una settimana gli insegnanti in “esperti” sull’utilizzo delle piattaforme digitali, con modalità di apprendimento molto veloci anche se un po’ caserecce e artigianali.
La prima domanda che ci dobbiamo porre è quella relativa alla proprietà di un testo e quindi al confine che deve esistere tra plagio, citazione, rielaborazione. Il plagio è quando copio qualcosa da qualcuno e non dico che l’ho copiata; la citazione è quando copio qualcosa da qualcuno ed evidenzio chiaramente che cosa ho copiato e dico pubblicamente da chi l’ho copiato (di solito in nota), la rielaborazione è quando prendo spunto da qualcosa scritta o detta da qualcuno, la rielaboro e me ne approprio (e a volte “questo qualcuno” lo cito, mentre altre volte non lo cito). Personalmente sono stato convinto da quanto sosteneva San Tommaso D’Aquino, l’ho imparato all’Università quasi cinquant’anni fa, non ho mai avuto dubbi che alla base di ogni corretta pedagogia ci fosse quel pensiero.
Durante i quolibet all’Università di Parigi nel Trecento gli studenti dovevano sostenere una discussione su un tema introdotto dal San Tommaso. Lo dovevano fare appoggiandosi alle autorità del passato classico o alla contemporaneità del sapere cristiano, spesso contaminata da elementi arabi.
Su una cosa San Tommaso non transigeva: lo studente doveva citare la fonte da cui aveva tratto la sua argomentazione. Se non lo faceva veniva punito duramente o addirittura espulso dall’Università parigina perché aveva peccato contro Dio che lo favoriva facendolo studiare e contro la sua famiglia che pagava gli studi.
E aveva peccato di un peccato gravissimo per San Tommaso: l’arroganza di ritenere, da studente, di aver pensato qualcosa di originale, che qualche grande maestro del passato o del presente non aveva mai pensato prima. Quindi per San Tommaso l’unico sapere vero è quello che si riferisce ad una fonte, autorevole (nel caso suo spesso anche un po’ troppo autoritaria) e certa. Quindi bisognava copiare, dire cosa si aveva copiato e da che autore ci era “abbeverati”.
Questa idea non è quella della scuola italiana, che invece pare amare l’originalità degli adolescenti, spesso costruita su orribili argomentazioni nate non si sa bene dove ed ha orrore assoluto della copiatura, sia questa un ingiustificabile plagio, sia questa una corretta citazione. La scuola italiana ritiene che il riassunto sia invece ciò che produce apprendimento. Il libro di testo manualistico è un riassunto, le citazioni antologiche toccano i punti salienti di un testo e quindi ne riassumono i tratti essenziali, la spiegazione frontale del docente è un riassunto spesso di un altro riassunto (il manuale). Tutto insomma si tende a fare a scuola, tranne un sano lavoro sul testo senza mediazione alcuna.
Su questo meccanismo che continua a ritenere che la lezione frontale sia il metodo migliore per trasferire apprendimenti da una testa ben piena (quella del docente) ad una testa ben vuota (quella dello studente) si è abbattuta l’intelligenza artificiale e soprattutto Chapt A.I. che, a velocità irraggiungibile per qualunque essere umano (sulle possibilità dei replicanti si sa poco), produce testi ben scritti, corretti, banali, informati. Testi che comunque possono far prendere bei voti, perché spesso sono molto migliori di quelli prodotti con grande fatica da molti studenti. Personalmente ritengo che se un testo qualcuno lo scrive meglio di me sia corretto che lo scriva lui o lei e non io. Se poi l’intelligenza artificiale mi aiuta a produrre relazioni o testi divulgativi che io poi rielaboro e faccio miei non avrò scrupoli ad usarla, magari citando in calce l’aiuto che ho ricevuto. In questo momento sto scrivendo di mio pugno, anche perché sto esponendo una tesi che trovo molto difficile far interagire con Chapt A.I.
La tesi è questa: perché studiare su un libro di testo (manuale) che riassume qualcosa sia migliore che interrogare Chapt A.I. (o un motore di ricerca) su un qualunque argomento?
Personalmente sono da sempre contrario ai libri di testo e alla loro adozione, perché in un’ottica curricolare non capisco che cosa si possa realmente apprendere dentro un sapere stantio e immobile prodotto altrove in rapporto molto stretto con i vecchi programmi ministeriali. Ma ai docenti italiani piace il libro di testo (manuale), piace spiegarlo, piace risentirlo raccontato dai propri studenti, piace decidere di non utilizzarlo anche se è stato fatto comprare, piace corredarlo di molte fotocopie. E allora perché non piace anche l’intelligenza artificiale, che trasmette, in tempo reale, il libro di testo nella sua realizzazione più immediata e aggiornata? Questa domanda permette di entrare nella logica della scuola (non solo italiana) dove il sapere è controllo e non ricerca.
Una delle idee-base è che è necessario riferirsi ad un sapere certo e codificato per poterlo trasmettere, perché la base dell’apprendimento è comunque di tipo trasmissivo. Da qui ci si sposta poco e lentamente: un salto era stato fatto con la pandemia che aveva imposto idee nuove e nuovi orizzonti. Ma la fine della pandemia ha prodotto il più grande tentativo di restaurazione della storia della pedagogia italiana: tentativo molto forte che sta producendo danni irreparabili ed esiti di apprendimento con molti elementi critici.
A chi chiede un ritorno indietro (magati al 1967) bisogna rispondere che il ritorno c’è già ed è forte, ma trova qualche impedimento e l’intelligenza artificiale, nel campo umanistico, è uno di questi.
Molto spesso intellettuali, docenti e giornalisti irridono l’intelligenza artificiale perché fornisce risposte sbagliate. E’ balzato alle cronache mondiali un avvocato americano che ha citato in dibattimento sentenze inventate dall’intelligenza artificiale, che, successivamente interrogata sul motivo della sua trasmissione di dati falsi, ha chiarito che aveva solo fatto un esempio tecnico di come si doveva strutturare una mozione che facesse riferimento a vecchie sentenze, che erano state inventate per meglio esemplificare. Tutti sostengono che la mente umane sia più profonda dell’intelligenza artificiale, anche se nessuno sostiene che è più veloce. Ma allora chiedo io: perché il libro di testo sì e l’intelligenza artificiale no? Visto che entrambi non vanno direttamente alla fonte se non in forma antologica o riassuntiva, non vanno direttamente sul testo ma lo selezionano antologizzandolo? Tra un riassunto manualistico e un riassunto dell’intelligenza artificiale c’è solo una differenza: il manuale trasmette ciò che gli autori sanno mentre lo scrivono, l’intelligenza artificiale sa ciò che i suoi “gestori” in quel momento hanno immesso, e che cambia e si alimenta ogni giorno. Perché il riassunto del sapere posseduto dal soggetto che scrive il libro di testo vale più del sapere posseduto da un motore di ricerca o dall’elaborazione fatta in questo momento dall’intelligenza artificiale?
Il problema dell’apprendimento è stato messo a nudo da Chapt A.I.: se non si va direttamente al testo, si deve procedere per riassunti e tutti i riassunti, vanno rielaborati, analizzati, compresi, rifatti. Il problema si sposta dalla trasmissione del sapere riassunto all’elaborazioni di una argomentazione che poggia su un sapere conosciuto.
Mi sfugge perché le scuole adottino manuali di storia e non semplicemente Wikipedia (facendo risparmiare un sacco di soli ai propri studenti), che in tempo reale, può portarci dentro l’argomento che in quel momento ci interessa. Non mi soffermo su una dato certo: i manuali contengono più errori di Wikipedia, infatti nessuno adotta il manuale nell’edizione del 1998, ma sempre quella del 2023 per il semplice motivo che quella del 1998 è un’edizione con troppi errori, imperfezione, cose superate. Che però sono state insegnate fino a poco prima. Chapt A.I. fa lo stesso: è un manuale a domanda, che interagisce col soggetto che fa le domande. Si tratta di passare dalla valutazione dell’elaborazione e della sua originalità, alla valutazione delle competenze di controllo e rielaborazione. Quindi lo studente non deve “ripetere”, ma deve rielaborare e argomentare imparando a citare correttamente la fonte.
Il passare dal sapere trasmesso al sapere costruito, dalla riscrittura o ripetizione del riassunto alla gestione argomentata del riassunto, dalla staticità delle informazioni ad informazioni in movimento, dai dati acquisiti ai dati cercati può essere aiutato e non poco dall’intelligenza artificiale. Allora forse è il momento di rimuovere la diffidenza verso la tecnologia per far comprendere agli insegnanti la tecnologia e il suo uso, dentro formazioni di senso e non procedure “fai da te”. Credo si debba riflettere su questo: l’intelligenza artificiale è un libro di testo che risponde solo alle domande che vengono fatte. Quindi bisogna insegnare a farle.
Ah, dimenticavo, poi ci sono i testi. La Critica della ragion pura di Kant non teme l’intelligenza artificiale. E’ stata scritta così e così va letta. E’ perfetta perché non c’è nulla da cambiare. Ma questa è, veramente, un’altra scuola.