L’altra faccia della valutazione

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di Pietro Calascibetta

Come per la luna ci sono due “facce”, anche per la valutazione ci sono due “facce”: una che vediamo e che è rappresentata dai voti in decimi che bisogna scrivere per legge sulla pagella e che per questo ci sembra l’unica e l’atra nascosta che non vediamo o non vogliamo vedere, ma che forse è ancora più importante ed è quella che ha più influenza sull’apprendimento e sul lavoro del docente.
Si tratta della valutazione in itinere.
Questo continuo ridurre il dibattito sulla valutazione ad un referendum tra chi è a favore e chi è contrario ai voti in decimi in assoluto confonde tutti, docenti, studenti e famiglie e impedisce di affrontare proprio l’altra “faccia” della valutazione quella più importante per la formazione.
Scorrendo la normativa è chiaro che la “valutazione periodica e annuale” deve essere fatta in decimi, dove per “periodica” si intende quella trimestrale o quadrimestrale e che la “ media” è solo un criterio (giusto o sbagliato, corretto o scorretto che sia) che entra in gioco solo per alcune fasi finali della “valutazione”. Se guardiamo bene la normativa, ci si rende subito conto che queste disposizioni riguardano solo i documenti formali (pagelle) e i criteri di ammissione e di promozione all’esame (di stato).
Lo scopo del mettere voti in decimi ha un obiettivo preciso di sistema. Non voglio discuterne la validità in questa sede perché voglio porre l’attenzione sul processo di valutazione in itinere durante il percorso formativo, diciamo nella quotidianità del far lezione. E’ ciò di cui si parla meno.
Che si tratti di valutazione formativa o sommativa o altro non troviamo dei vincoli normativi su come rappresentare gli esiti di questa “valutazione” che potremmo chiamare meglio misurazione o osservazione e sui criteri da adottare per gestirla in modo operativo da parte dei docenti nella quotidianità.
Vi è pertanto nel processo di valutazione una parte discrezionale (quella nascosta) e una parte normata (quella che si vede nei documenti formali).
Dare un voto in decimi nei compiti in classe, nei compiti a casa , nelle interrogazioni o in quant’altro e fare o non fare la media di questi voti o quale criterio adottare per confrontarli e trarne una sintesi per la valutazione trimestrale o finale non è scritto da nessuna parte. prima di essere giusto sbagliato.
Le modalità e i criteri di questa fase della valutazione sono una responsabilità dei collegi e dei docenti che essi si devono assumere professionalmente senza nascondersi dietro l’obbligatorietà normativa di dare un voto che in realtà non c’è.
Non è scritto da nessuna parte della normativa in che modo utilizzare questa attività di monitoraggio per determinare il voto periodico trimestrale o quadrimestrale in decimi sulla pagella e con quale criterio utilizzare poi tali i voti trimestrali per esprimere il voto finale sempre sulla pagella.
E’ una leggenda metropolitana il fatto che nelle interrogazioni o nei compiti in classe “bisogna” dare un voto in decimi. Chi lo fa, lo fa per una sua scelta anche inconsapevole, un’abitudine consolidata. Non è giusto o sbagliato, ma non è un obbligo.
Questa libertà nel gestire questo aspetto della valutazione non è casuale, perché lo scopo della valutazione in itinere, diciamo quotidiana, operativa è diverso dallo scopo del voto in pagella come giustamente osserva Cristiano Corsini . La valutazione mentre si impara serve allo studente per capire dove sta andando e al docente per capire dove sta portando lo studente, insomma se la direzione è quella giusta.
L’art. 1 c. 4 del DPR 122/99 precisa che “Le verifiche intermedie e le valutazioni periodiche e finali sul rendimento scolastico devono essere coerenti con gli obiettivi di apprendimento previsti dal piano dell’offerta formativa, definito dalle istituzioni scolastiche ai sensi degli articoli 3 e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275” e il comma 5 che “ Il collegio dei docenti definisce modalità e criteri per assicurare omogeneità, equità e trasparenza della valutazione, nel rispetto del principio della libertà di insegnamento. Detti criteri e modalità fanno parte integrante del piano dell’offerta formativa.”
Dirò di più: l’art. 1 c. 2 del Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 62, confermando la normativa precedente, dice espressamente che “la valutazione è coerente con l’offerta formativa delle istituzioni scolastiche, con la personalizzazione dei percorsi e con le Indicazioni Nazionali per il curricolo e le Linee guida di cui ai decreti del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 87, n. 88 e n. 89; è effettuata dai docenti nell’esercizio della propria autonomia professionale, IN CONFORMITÀ CON I CRITERI E LE MODALITÀ DEFINITI DAL COLLEGIO DEI DOCENTI E INSERITI NEL PIANO TRIENNALE DELL’OFFERTA FORMATIVA.”
Il Regolamento dell’autonomia all’art.4 c.4 precisa che ” [Nell’esercizio della autonomia didattica, le istituzioni scolastiche individuano……..] le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale […].
Se le modalità di valutazione in itinere sono normate già che cosa dovrebbero decidere i collegi?
Luigi Berlinguer a chi gli chiedeva cosa si potesse fare e non fare con l’autonomia rispondeva che tutto era permesso tranne ciò che era espressamente vietato.
L’autonomia avrebbe dovuto incoraggiare il pensiero laterale dei docenti e dei dirigenti scolastici e non essere intesa alla vecchia maniera come un mansionario a cui attenersi, ma al contrario essere intesa come una serie di suggerimenti per fare e sperimentare, insomma come una risorsa creativa per cercare nel caso della valutazione il modo migliore per monitorare l’apprendimento. Con la valutazione siamo in una situazione in cui i docenti “sono più realisti” del Ministro. Hanno molto spesso applicato automaticamente una norma che riguarda il risultato finale all’attività di monitoraggio in “cantiere”.
Purtroppo la questione della “valutazione” nell’immaginario collettivo sembra proprio non avere nulla a che fare con l’autonomia e, anzi, sembra creare una sorta di polarizzazione negativa non solo nell’opinione pubblica, ma tra gli stessi docenti perché blocca l’attenzione sulla questione del voto in decimi e sulla “media” senza permettere di vedere tutti gli spazi di autonomia che esistono nel processo di valutazione durante l’insegnamento oltre ai voti in decimi e le “medie”.
La valutazione in itinere quotidiana, è un elemento centrale del patto formativo tra i docenti di un consiglio di classe e i loro studenti in primo luogo e le famiglie.
Il come raccogliere un feedback su ciò che stanno imparando gli studenti in aula ( osservazioni, misurazioni, altro) e come comunicarlo di volta in volta (differenziale semantico- numero-percentuale- giudizio- emoticon – ecc) è una decisione professionale così come individuare il criterio con il quale tradurre questi feedback in voto in decimi per le esigenze “legali” richieste dalla norma.
Nella parte discrezionale la valutazione è tutt’uno con la relazione educativa non a caso il DPR 249/98 (Lo statuto delle studentesse…) dice che “ Lo studente ha inoltre diritto a una valutazione trasparente e tempestiva, volta ad attivare un processo di autovalutazione che lo conduca a individuare i propri punti di forza e di debolezza e a migliorare il proprio rendimento.” Il come si valuta influenza la relazione educativa in modo determinante sul piano psicologico e pedagogico. Io andrei a cercare lì le cause di moti abbandoni e della dispersione.
Per concludere credo che per difendere l’autonomia e per rivendicare la propria professionalità i docenti, i dirigenti e il collegio dovrebbero utilizzare appieno gli spazi di autonomia che la stessa normativa lascia sulla valutazione proprio per praticare quella autonomia di ricerca, sviluppo e sperimentazione che altrimenti a cosa servirebbe?
Vi sono diverse esperienze in tal senso nelle scuole tra cui quella dell’Istituto Rinascita di Milano sviluppata alcuni anni fa.