Individualizzazione e personalizzazione, parliamone ancora

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di Simonetta Fasoli

Sembra incredibile che il discorso sulla scuola debba ritornare ciclicamente sui medesimi argomenti, in un sortilegio temporale da cui è difficile emanciparsi. Ma tant’è. Succede che un ministro pro-tempore rilanci in grande spolvero il tema della personalizzazione, addirittura facendone il fulcro di provvedimenti che riguardano le politiche professionali e retributive del personale. Così è stato presentato ai sindacati, in sede di informativa, lo schema di decreto sugli aspetti e i criteri attuativi riguardanti le nuove funzioni (“funzioni”, si badi bene, non ancora “figure”…) del docente tutor e del cosiddetto “orientatore”. In questo contesto si inserisce l’affermazione del ministro Valditara, secondo cui “nella legge di Bilancio abbiamo ottenuto lo stanziamento di ulteriori 150 milioni di euro, che sono stati utilizzati per valorizzare il personale della scuola, per favorire una grande riforma che oggi abbiamo lanciato: quella della personalizzazione dell’insegnamento, che prevede l’introduzione del tutor nelle scuole e l’introduzione dell’orientatore, per dare ai nostri ragazzi prospettive di un percorso professionale e formativo che sia realizzante”.
Al solito, si nota una certa enfasi, che caratterizza del resto le comunicazioni dell’Esecutivo su tutta la linea. “Una grande riforma”? Mah…né propriamente riforma (chi ricorda i “Piani di studio personalizzati” dell’era Bertagna?) né tantomeno grande. Sarebbe raccomandabile una certa dose di prudenza in certe affermazioni.
Converrà dunque fare qualche puntualizzazione e proporre qualche riflessione, come antidoto agli entusiasmi governativi, prima che la macchina politico-istituzionale si metta in moto.
Per cominciare, suggerirei un ritorno ai fondamentali, cosa sempre buona e giusta sul piano del buon senso. Mi scuso anticipatamente di sottolineare quello che per gli addetti ai lavori dovrebbe essere ovvio…ma sbanalizzare l’ovvio è una buona strada per contrastare il “nuovismo”, sempre in agguato quando si tratta di scuola e più che mai con un governo impegnato ad accreditarsi all’interno (e all’estero…). Parliamo allora, ancora una volta, di individualizzazione e di personalizzazione: con qualche schematismo, certo, ma con un approccio utile, si spera, ad evitare polarizzazioni strumentali.
Didattica individualizzata. Cosa vuol dire, in buona sostanza, individualizzare? Vuol dire partire da obiettivi comuni definiti nel curricolo di scuola e nella programmazione di classe per diversificare i percorsi finalizzati al raggiungimento di quegli obiettivi. Obiettivi COMUNI, attenzione: vuol dire non astrattamente “uguali”, ma ponderatamente “equivalenti”.
Didattica personalizzata. Possiamo sinteticamente affermare che la personalizzazione consiste nel diversificare gli obiettivi, calibrandoli sulle caratteristiche dei singoli. La diversificazione dei percorsi non è in questo caso una scelta strategica per perseguire quell’equivalenza di cui si è detto, ma una caratteristica strutturale dell’azione didattica che, in quanto tale, è destinata a confermare le differenze.
Da questi sintetici riferimenti si può capire come ci troviamo di fronte a due distinte modalità di impostare l’azione didattica, che non sono intercambiabili nè tantomeno neutre sul piano delle visioni di scuola cui rimandano. Detto questo, sarei personalmente per sottrarci ad un’assunzione unilaterale dell’uno o dell’altro approccio, come sembra fare in questa fase la politica ministeriale: la scuola langue nell’indistinto ma muore di polarizzazioni. Il suo naturale sfondo culturale è di natura “compositiva” (et et) non oppositiva (aut aut): l’educazione, da cui trae ragione e senso l’istituzione della scuola, è in sé stessa dialogica, perciò postula la dialettica delle posizioni che si confrontano.
Dunque, cominciamo con il porre in questione la scelta governativa di correlare il profilo della funzione di tutor (e quella di orientatore ad essa strettamente connesso) alla sola personalizzazione, quasi fosse la chiave di volta dell’intera operazione: ne emerge una visione parziale e distorta del processo di insegnamento-apprendimento.
In questo mio contributo propongo invece di delineare un percorso unitario che coinvolga in un reciproco rimando i due termini astrattamente alternativi. Il punto è un altro: se possono essere presi in considerazione contestualmente, “come” stanno insieme? A me sembra che potremmo pensare all’individualizzazione come al dispositivo didattico approntato dal docente (o meglio, dai docenti nella loro corresponsabilità progettuale) dal versante dell’insegnamento; mentre la personalizzazione è la risposta individuale messa in campo dai discenti rispetto all’azione didattica, dunque si colloca essenzialmente sul versante dell’apprendimento. In questo approccio, le caratteristiche personali non sono cristallizzate ( e le differenze non si traducono in “dati” di natura, invalicabili e definitivi) ma diventano “modi” della risposta alla didattica individualizzata: modi destinati ad evolvere, se l’azione è efficace.
In definitiva, individualizzazione e personalizzazzione si pongono come epifenomeni dello stesso processo, così come è un processo l’insegnamento-apprendimento.
Raffinatezze da “pedagogismi”? Non direi…ma qui il confronto è aperto e legittimo. A me è sembrato utile entrare nel merito, perchè troppo spesso l’azione ministeriale-governativa dà per acquisite le sue premesse “teoriche” (in questo caso, l’idea onnipervasiva di personalizzazione) per l’urgenza di calarle nelle cosiddette “fasi attuative”: un modo per stemperare e annacquare il valore dirimente dei presupposti.
E’ evidente, infine, che non entro qui nel merito delle questioni di politica professionale legate alla funzione del docente tutor e dell’orientatore, che coinvolgono aspetti di assoluto rilievo, anche di natura contrattuale, quali le modalità di individuazione, l’organizzazione del lavoro e la salvaguardia delle prerogative collegiali. In altre sedi e con altro taglio tematico è possibile, anzi opportuno, affrontarli.