Semi di fiori per farfalle

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STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE

di Monica Barisone

Mi è sempre piaciuto lavorare con altre persone e da chi ho incontrato ho imparato tantissimo: fare scelte controcorrente e tuffarsi in avventure coraggiose, non temere i furti di ingegno e non invadere spazi altrui, ma anche accogliere la stima e la fiducia per costruire opportunità. Proprio per la gratitudine che sento per questi e altri apprendimenti, che sono stati vitali nella professione, vorrei provare qui a rilanciare il tema della collaborazione tra colleghi e professionisti e spargere semi per fiori che richiamano farfalle. Esiste davvero questo tipo di semi e il risultato è stupefacente. Li regalai la primavera scorsa ad una delle docenti più accogliente e integrante che abbia mai incontrato, e chissà, una delle prossime volte vi racconterò anche cosa stiamo combinando insieme!

Intanto vi vorrei segnalare come nei contesti scolastici e sanitari stia avvertendo folate di demotivazione, disinvestimento emotivo, ansia gestionale, cinismo, finanche disperazione. Dopo anni silenti, descritti soprattutto attraverso termini come flessibilità, liquidità, mobbing, molestie sul lavoro, precarietà, nei contesti lavorativi oggi ricompare il termine burn out.
I giovani non sanno neppure di cosa si tratti ma noi ce lo ricordiamo bene! Una forma di esaurimento o surriscaldamento, legato ad una condizione di stress lavorativo protratto e intenso, che determina un logorio psicofisico ed emotivo associato anche a demotivazione, trascuratezza degli affetti e delle relazioni sociali, difficoltà di concentrazione, irritabilità, senso di colpa, mancanza di iniziativa, assenteismo. A livello fisico può manifestarsi invece con emicrania, sintomi respiratori, insonnia, inappetenza, disturbi intestinali, senso di debolezza.

Coniato nel 1974 da Freudenberger per indicare una sindrome caratterizzata da un particolare tipo di reazione allo stress; sperimentata dagli operatori sanitari e poi estesa ad altre categorie di “helping profession”, fra cui le professioni sanitarie: medici, psicologi, infermieri, operatori sociosanitari; venne studiato soprattutto negli anni ‘80 e ‘90 (Maslach e Jackson,1981). Poi si capì che riguardava anche tutto il mondo scolastico!

Tra le risorse per fronteggiarlo allora si enumerava soprattutto la formazione e infatti proprio in questi mesi stanno ripartendo mille progetti nelle aziende e non solo. La risorsa principe è sempre stata in realtà far gruppo o squadra, come si diceva negli anni ’90 (Quaglino, Casagrande, Castellano 1992). In sostanza si proponeva di reggere insieme le fatiche, scambiare strategie, creare soluzioni e sviluppare le potenzialità diffuse… ‘con-dividere’ cioè possedere insieme, partecipare insieme, offrire del proprio ad altri.

Azioni, competenze che sicuramente possono giocare un ruolo fondamentale in qualsiasi campo lavorativo, si sa; eppure, anche nella pratica didattica risulta difficile, talvolta, condividere con altri una propria esperienza o un proprio modo di fare. Entrano in gioco le nostre competenze sociali: saper avviare, sostenere e gestire un’interazione di coppia o di gruppo, spontaneamente e con continuità. Ciò che in realtà proponiamo e valutiamo anche nel lavoro con bambini e ragazzi!

Si tratta di competenze naturali ma anche oggetto di apprendimento, dunque, potenziabili attraverso attività che riguardano la percezione di sé, l’ascolto, la rappresentazione sociale, il gruppo. Questo per tendere a diventare un po’ come musicisti jazz che “ascoltandosi reciprocamente e ascoltando sé stessi, sentono in che direzione sta andando la musica e di conseguenza adattano il loro modo di suonare…” (D. A. Schön, 1983), cercano cioè di armonizzare la propria prestazione con gli altri, al fine di contribuire tutti al meglio all’opera che stanno producendo.

Questo, che sembra un atteggiamento quasi magico, è in realtà applicabile in ogni contesto lavorativo. Qualche anno fa ho partecipato ad un progetto[1], che ricordo spesso e a cui sono grata[2] ancora oggi. Un gruppo multiprofessionale nell’area canavese, cui partecipavano educatori, insegnanti della scuola d’infanzia, assistenti sociali, psicologi… Da che mi occupavo di formazione e supervisione, si trattava di una situazione pressoché unica nel suo genere!

Ci siamo conosciuti, abbiamo cercato di costruire un linguaggio comune, abbiamo discusso insieme di situazioni davvero complesse, condividendo tutto il possibile in termini di competenze e sapere, ci siamo sostenuti gli uni gli altri nei momenti più difficili (perdita del lavoro, smembramento di team, cambi di sede…) e sui temi più sfidanti (morte, abuso, dipendenze…). Un’esperienza di comunità scientifica[3] che ho sempre sognato di vivere e respirare.

Poi è arrivata la pandemia e allora ci siamo inventate un sostegno a distanza e abbiamo riflettuto su come stessimo vivendo un periodo così anomalo. Volevamo tornare nel mondo reale per cambiarlo almeno un po’ e far fronte con forza e coraggio ai prevedibili contraccolpi che sarebbero arrivati nel medio e lungo periodo. La speranza di poter eliminare il distanziamento era diventata quasi un’urgenza emotiva e cognitiva. Ma c’era anche il desiderio di reinventare l’essere educatori. C’era la consapevolezza di non voler scendere a compromessi, la fiducia nel cambiamento e la capacità stoica ed organizzata di reagire. Ci siamo salutate prima dell’estate e approfitto di questa sede per ringraziare ancora tutte e tutti!

Pensare a loro mi ha fatto ricordare come il primo gruppo di cui sia occupata veramente sia stato quello dei bambini e ragazzini del mio cortile. Nel turn over tra piccoli e grandi, per un’estate, ero rimasta l’unica un po’ più grande con una masnada variopinta di cuccioli. Ci siamo divertiti un sacco e si sa, anche in una sola estate, siamo cresciuti davvero tanto insieme.

Nella mia vita ho svolto davvero tanti mestieri, frequentato tanti contesti e tanti gruppi, crescendo ogni volta un po’. Il percorso con questo gruppo multiprofessionale del Canavese è stato tutt’altro che banale. Diversissimi ma uniti da un solo centro, i bambini, abbiamo ‘giocato’ insieme a lungo e con passione. E sono cresciuta ancora, perché dagli altri si impara sempre e dai bambini di più! Spero sia stato così anche per loro.

In un periodo storico di individualismo estremo, ho imparato di nuovo che insieme si arriva più lontano e si costruiscono cose nuove, che prima non c’erano. Ho imparato che ascolto a racconto viaggiano sempre insieme, che quando si sbaglia strada si può tornare indietro e ripartire, che è meglio se si fa a turno nel prendere la posizione di guida, che quando si brancola nel buio, ma si è in tanti, ad un certo punto arriva sempre qualcuno con un po’ di luce, con un sorriso, con una speranza, un’idea.

Buon lavoro e buona vita a tutte le farfalle con cui ho volato!

[1] Progetto Cipì – Canavese Insieme per l’Infanzia
[2] Ringrazio in particolare Reginaldo Palermo per avermi messo in contatto con questo prezioso Gruppo di Lavoro
[3] Alcuni di questi brani provengono proprio da quell’esperienza durata alcuni anni.