Figli rubati
STARE NELLA RELAZIONE PER IMPARARE E PER INSEGNARE
di Monica Barisone
Lavorando nelle scuole, mi è successo frequentemente di raccogliere i vissuti di impotenza di insegnanti ed operatori sociali rispetto alla tendenza di molti genitori a sottrarsi al proprio ruolo educativo, ludico ed affettivo. Ho avuto anche occasione, purtroppo, di confrontarmi con situazioni di ridotte o quasi assenti competenze genitoriali. Intendo quelle funzioni che secondo la metanalisi di Visentini (2006) sono otto: protettiva, affettiva, regolativa genitoriale, normativa, predittiva, significante, rappresentativa e comunicativa, triadica. Oggi le si può valutare in modo obiettivo (con test psicologici, colloqui clinici, osservazioni comportamentali, raccolta di informazioni) su mandato dell’autorità giudiziaria (M. Nicastro, G.B. Camerini) e i risultati sono a volte molto netti, possiamo dire dolorosi. Questo è sicuramente un problema di estrema complessità epistemologica e di altrettanto complessa risoluzione.
In questa sede però vorrei dar luce a situazioni diverse, meno evidenti, potremmo dire opposte, ma altrettanto significative per la ricaduta sui bambini e i ragazzi.
Uno degli apprendimenti più importanti fatti in questi anni di lavoro negli Sportelli d’Ascolto, riguarda l’importanza del ruolo delle famiglie all’interno del percorso di counseling, come pure nelle prese in carico degli adolescenti (Lancini 2020). Inizialmente si riteneva che lo spazio d’ascolto dovesse essere riservato soprattutto ai docenti ed ai ragazzi ma gradualmente ci si è accorti che qualcosa non stava funzionando…senza la collaborazione dei genitori veniva a mancare la continuità nel progetto educativo pensato per i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze.
Iniziammo a coinvolgerli con alcune conferenze sui temi dell’età evolutiva e gradualmente cominciammo a restituire l’esito delle nostre osservazioni, e dei dialoghi con gli insegnanti, anche ai genitori. Per qualche strana credenza inizialmente ci rivolgemmo soprattutto alle mamme, lasciandoci convincere del fatto che i papà non potessero essere presenti ai colloqui o addirittura non ne fossero assolutamente interessati. Fu proprio a causa delle situazioni più intricate e apparentemente senza via d’uscita, che decidemmo di tentare invece con quest’ultima opportunità e ci imbattemmo in una piacevolissima scoperta. Ai papà interessava, e non poco, delle difficoltà dei propri bambini e spesso disponevano anche di informazioni utili nella ricerca di strategie e soluzioni. Come ricorda Daniel Stern (2000) il padre, infatti, non è semplicemente la luce che illumina la diade madre-bambino ma è, assieme a loro, l’essenza di un quadro in cui ogni singola parte ha senso solo in relazione alle altre.
Quello fu uno dei casi in cui mi accorsi che troppo di frequente bambini, bambine, ragazzi e ragazze venivano ‘rubati’ in qualche modo ai propri genitori. Vi potrà sembrare un’espressione eccessiva ma credo in realtà possa esprimere una qual consuetudine a sottrare i piccoli alla relazione educativa ed affettiva con uno dei propri genitori o adulti di riferimento. Questo rischio ovviamente si amplificava nelle circostanze che potevano venire a crearsi a seguito delle separazioni, soprattutto quelle conflittuali.
Un altro caso analogo riguarda l’intrusione dei nonni nello spazio educativo che spetterebbe invece ai genitori. In diverse occasioni, proprio a partire da quelle conferenze, che si trasformarono in incontri di gruppo tra genitori, partecipai a racconti di incongruenze educative anche molto nette in comportamenti e atteggiamenti di genitori e nonni. Incontrai la fragilità di tanti genitori, soprattutto mamme separate, pressati dalle aspettative delle famiglie d’origine sulla crescita dei nipoti. Si trattava di genitori più o meno giovani, soggetti a costanti giudizi svalutanti, paternali circa le proprie dubbie capacità di guidare con polso i propri bambini, o di gestire l’articolazione tempo lavorativo e tempo familiare, sino alle scelte delle compagnie e dei percorsi scolastici. Sembrava difficile trasmettere loro la necessità di assegnare un termine, una scadenza ai mandati educativi dei nonni a favore di quelli genitoriali.
Non si tratta, in questi casi, di disconoscere il valore sociale, familiare, affettivo ed anche educativo dei nonni, segnalato tra l’altro in modo inequivocabile, oggi, dalla quantità e qualità di tatuaggi, ad essi dedicati, presenti sui corpi di adolescenti e giovani. Si tratta di collocarli proprio nella giusta proporzione e posizione nella gamma dei ruoli e delle figure cui i piccoli fanno riferimento per definire il loro progetto futuro. Ad ognuno il proprio posto. Riappropriarsi, o appropriarsi per la prima volta, del proprio posto di guida accanto a bambini e ragazzi richiede fiducia nelle proprie capacità e risorse. In questo possono avere un ruolo davvero significativo insegnanti e educatori, andando a svolgere un reale sostegno alla genitorialità, scambiando strategie e informazioni per sostenere la gestione prima di nanna, pappa, pianto, rabbia, ansia…poi per potenziare la capacità di ascolto dei bisogni, di sostegno dell’autonomia e dell’assunzione graduale di responsabilità in modo autorevole. Merita infatti ricordare che i bambini di genitori autorevoli sono i più capaci, poiché i genitori stabiliscono con loro un buon equilibrio tra controllo e autonomia, sono fiduciosi delle possibilità del proprio figlio, tendono a far sviluppare la loro indipendenza. In questi giorni nel racconto di una mamma, dopo tanta rabbia, ho finalmente trovato la volontà di voler ascoltare il proprio figlio adolescente fortemente in crisi, di volerlo sostenere e proteggere, persino dagli attacchi dei nonni aggrappati ancora all’idea di dover raddrizzare l’albero finché è piccolo, perché più cresce storto, più sarà difficile farlo dopo.
Nello slancio confuso d’essere d’aiuto, a volte con un po’ di avidità verso rapporti non vissuti in gioventù con i propri figli e magari con un sotterraneo desiderio di rimediare e riparare, questi nonni non si erano accorti di aver sconfinato.