L come Laboratorio

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di Giancarlo Cavinato

Cosa caratterizza un laboratorio seguendo la pedagogia Freinet?
Intanto un laboratorio è, per sua definizione, un’attività pratica finalizzata a una produzione e che coinvolge diversi soggetti in un determinato contesto appositamente predisposto e si avvale di materiali, strumenti, tecniche e organizzazione. Il laboratorio è, scriveva Levi[1], una mente collettiva in funzione.

La classe cooperativa fin dai tempi di Freinet è una classe laboratorio. Ma con l’istituzione del tempo pieno, con attività che coinvolgono più classi in  modalità di classi aperte, con la presenza di una pluralità di insegnanti, è l’intera organizzazione scolastica che può essere progettata e realizzata come un insieme di laboratori che affrontano i diversi ambiti dell’esperienza e delle realizzazioni umane: gli aspetti artistici, corporei, materici, scientifici, tecnologici, espressivi e creativi.

Gli alunni possono in tale ‘sistema’ fare esperienza di ciascuno di tali ambiti, capirne la rispondenza a bisogni umani,  ed essere in grado di sviluppare propensioni, affinità e preferenze per qualcuno di tali ambiti così da orientarsi nelle possibili scelte quando dovranno decidere il loro percorso grazie anche alle esperienze che avranno avuto occasione di fare.

In un paio di volumi[2] due maestre del Movimento di cooperazione educativa, Gisella Galassi Ricci e Francesca Rossi Gardelli documentano il loro percorso  nei cinque anni di scuola elementare a Forlimpopoli.
Gisella era ‘specializzata’ in educazione linguistica. Frequentava il gruppo nazionale lingua del MCE e il linguaggio era la sua passione, vissuta come una sfida al superamento delle povertà linguistiche e culturali. Francesca seguiva il gruppo matematica del MCE.
Loro due, in una scuola di quattro ore antimeridiane, si  organizzavano con attività di interclasse aprendo le classi prima che la legge 517 lo ‘consentisse’. Sperimentavano.
E si scambiavano, ognuna insegnava la disciplina di propria elezione in ciascuna delle due classi e insieme, mescolando i gruppi, sviluppavano ricerca d’ambiente e ricerca storica.
In assenza di un tempo scuola più adeguato, di compresenze per lavorare a piccoli gruppi, riuscivano comunque a fare ricerca con i loro alunni, a ricostruire quadri di significato, categorie mentali per l’orientamento nel tempo e nello spazio.
Formando ragazzi-cittadini- consapevoli, critici, padroni di una pluralità di codici e funzioni linguistiche e logiche.

Nella consapevolezza, da parte delle due insegnanti, che spesso il passaggio da una cultura orale, da un dialetto, da una lingua madre intrecciata di affettività, interazione in presenza, a uno scritto come codice comunicativo della distanza, richiede un vero e proprio salto antropologico. Una cura della identità di ciascuno/a, della memoria, della cultura dei soggetti perché non vada dispersa e soffocata dalla molteplicità di messaggi.

Il ‘segreto’ del successo formativo degli alunni di Gisella e Francesca risiedeva appunto nella attenzione ad ognuno/a, nel non lasciare indietro nessuno, nel garantire a tutti una formazione per la vita; e nel lavoro paziente, su tempi lunghi, per formare menti ‘ben connesse’ in grado di leggere, analizzare, criticare il presente, pensare al futuro. Un lavoro che non poteva essere costituito da sequenze di lezioni ma da una prosecuzione di attività dotate di senso e che richiedevano una forte partecipazione e rielaborazione sia da parte degli alunni che delle insegnanti.

Il terzo elemento è il non lavorare isolatamente ma il consultarsi e progettare assieme.
Senza questo aspetto fondamentale non si può pensare di uscire dal circolo vizioso lezione-interrogazione-verifica.

Se esperienze con gruppi di alunni di classi parallele o con età diverse nelle pluriclassi erano già attive allora, grazie alla sensibilità e alla preparazione di insegnanti particolari, è con l’istituzione del tempo pieno e delle attività integrative che tale modalità organizzativa e pedagogica trova pieno sviluppo e realizzazione.

Sarà Francesco De Bartolomeis, con il suo ‘sistema dei laboratori’ a descrivere e prospettare lo sviluppo di una scuola organizzata per gruppi di ricerca e di operatività. [3] Proponendo una teoria dei laboratori fondata su una concezione produttiva e sociale della cultura, volta a comprendere i mutamenti di carattere sociale.
Solo un’organizzazione flessibile e mobile per classi aperte e laboratori operativi permette di realizzare una scuola della ricerca, della narrazione, della discussione.

I contenuti e la loro scansione  non sono indifferenti ma strettamente dipendenti da scelte  metodologiche e da uno sfondo che sappia intessere significati, relazioni, pratiche comunitarie.
Rispetto alla ‘moda’ corrente delle UDA ( unità di apprendimento) oggi molto diffuse ma che rischiano di essere documenti ricchi di buone intenzioni,  costruite  però in rapporto a una classe come sistema omogeneo e chiuso al proprio interno, la proposta  di unità di lavoro ci interroga su cosa di significativo si possa fare in una classe ( e fra più classi)  rispetto a un tema di comune interesse, con quali materiali, cogliendo interessi e motivazioni, provando a imbastire uno sfondo, un contesto, un piano di attività di ricerca.

Diverse unità di lavoro possono costituire la mappa del lavoro dell’anno di più classi in rapporto di scambio e condivisione.  La mappa verrà via via arricchendosi e ampliandosi grazie alle capacità connettive e all’ estensione dei temi che diversi gruppi  alunni metteranno in campo e a cui si dedicheranno.

Ogni scelta tematica infatti si colloca in una catena di problemi e di argomenti che si richiamano gli uni con gli altri, costituendo un tessuto reticolare e molteplici configurazioni come  si può realizzare con producendo con i sette pezzi del  tangram infinite combinazioni.
Si  intende così  valorizzare il pensiero infantile, le preconoscenze, le ipotesi, fondandosi su effetti quali la sorpresa, l’inciampo, il conflitto cognitivo, la metodologia dell’animazione.[4]

I temi che emergono dalle proposte dei ragazzi nel corso della messa a punto del piano di lavoro personale e della classe e dagli stimoli proposti dagli insegnanti   verranno sviluppati suddividendosi  a gruppi secondo gli interessi (ogni aspetto affrontato può essere elaborato sul piano temporale, spaziale, artistico, scientifico, teatrale,…)

Il tempo pieno, strumento imprescindibile per affrontare le povertà educative e i divari socio-culturali, permette di arricchire e articolare le proposte didattiche, con la possibilità di organizzare in modo diversificato i tempi di acquisizione di conoscenze e competenze praticando diversi linguaggi e offrendo una pluralità di stimoli, e rendendo possibile la differenziazione didattica, è stato e  potrebbe tornare ad essere la sede per un’organizzazione scolastica centrata sui laboratori come luoghi delle attività umane.
Ma in cosa consiste l’attività di laboratorio?  Nel MCE Veneto e negli incontri fra scuole a tempo pieno della provincia di Venezia avevamo individuato alcune fasi che ci sembravano consentire, al di là delle diverse tematiche, di sviluppare dei percorsi organici con le stesse strutture di base:

  1. l’individuazione di un problema che catturava l’attenzione e a cui si voleva trovare risposta
  2. una prima fase di emersione di ipotesi, idee preesistenti, convinzioni [5]
  3. una fase di raccolta di materiali, fonti, esemplificazioni per convalidare o ‘falsificare’ le ipotesi
  4. la fase della produzione/preparazione/lavorazione
  5. la messa alla prova: la fase della verifica
  6. nuovi problemi, nuova fase di esplorazione di idee e possibilità

Si tratta di un percorso ricorsivo che descrive efficacemente Paul Le Bohec[6]  descrivendo a sua volta le fasi che denomina  dell’osservazione, del provare, del tornare a vedere-sentire.toccare, del riprovare, fino ad elaborare un modello applicabile in varie situazioni.

Alfieri, rifacendosi a Bruner [7], descrive un simile modello ‘a loup’ (lente d’ingrandimento dei processi) in una serie di articoli sulle riviste ‘L’educatore’ e ‘Cooperazione educativa’. Si parte dal livello 1, ‘definizione dell’argomento’, si passa al 2, ‘le parole per parlarne’, al 3, la prima narrazione’, al 4, ‘la teoria ingenua’, al 5 ‘le integrazioni’, al 6 ‘la teoria consolidata’, al 7 ‘la seconda narrazione’: un modello ricorsivo che cresce su se stesso e si amplia ripercorrendo le diverse fasi.

Una scuola di laboratori è una scuola della discussione, della narrazione, dell’avventura.

[1] Levi P. ‘il sistema periodico’, Einaudi, Torino, 1975
[2] Galassi G., Rossi F.,  ‘Più fatti che parole’, ed. La Linea, Padova, 1977
[3] De Bartolomeis F. ‘Il sistema dei laboratori’, Feltrinelli, Milano, 1978
[4] Bachelard G. ‘La formazione dello spirito scientifico’, Raffaello Cortina, Milano, 1996
[5] Giordan A., ‘Il bambino e l’educazione scientifica’, Giunti e Lisciani, Teramo, 1987
[6] Le Bohec P.,Campolmi B.,  ‘Leggere e scrivere con il metodo naturale’, Junior, Bergamo, 2000
[7] Bruner J.S. ‘La cultura dell’educazione’, Feltrinelli, Milano, 2000