La recente scomparsa di Elena Gianini Belotti, dopo una lunga e intensa vita, ha comprensibilmente riacceso l’interesse per la sua opera e i frutti che ha disseminato: come dimostrano i tanti commenti che si sono subito avvicendati anche sui social. Emerge, nel ripercorrerne i passaggi, un ritratto ricco di sfaccettature e di “digressioni” che conservano comunque una profonda unità e coerenza di ispirazione. A cominciare dalla sua prolungata esperienza nel Centro Nascita Montessori, che diresse dal 1960 al 1980. Lo possiamo considerare un inizio significativo di cui, in qualche modo, recano tracce le diverse sue opere, che hanno spaziato dalla saggistica, alla narrativa, alla ricerca storica condotta con originalità di approccio.
E’ noto il suo esordio presso il pubblico più vasto, con il saggio Dalla parte delle bambine. L’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita (1973). Un notevole successo editoriale, che evidentemente intercettava e portava a una sistematizzazione tematiche e problemi di quegli Anni Settanta che sarebbero stati segnati da un fervore intellettuale diffuso, anche nel campo dell’educazione e della riflessione di genere. Come indica con mirabile sintesi il sottotitolo del libro, si trattava di “sbanalizzare l’ovvio” dei modelli (femminili ma anche maschili) cui era ispirata l’educazione tradizionale, mostrandone la matrice culturale e mettendo in discussione ogni concezione “naturalistica”. Questo sullo sfondo di una riflessione sulla funzione decisiva dei primi anni di vita, che aveva certamente illustri precedenti ma che, nel caso di Gianini, si innesta sulla preziosa esperienza del Centro Nascita, a sottrarre alle sue posizioni qualsiasi rischio di ricostruzione puramente accademica. Con ciò si spiega, anche, l’impatto duraturo che il testo ha avuto sulle diverse generazioni di insegnanti, educatori/educatrici, genitori.
Seguono opere che ancora oggi possono stupire per acutezza di analisi e per attualità di prospettive, come (per citarne alcune) Prima le donne i i bambini e Non di sola madre, che è posteriore di dieci anni alla prima e più conosciuta opera. In tutte emerge e viene variamente articolata la sua appassionata e documentata ricerca sui modi e le categorie di interpretazione volti a de-costruire ogni “mistica” sul femminile e la maternità, giustamente individuata come veicolo di un potere patriarcale mai rassegnato alla propria progressiva irrilevanza: un potere di cui, si badi bene, sono vittime anche i maschi, tanto più in quanto lo esercitano secondo un determinismo culturale che non lascia margini a esperienze e a processi di individuazione.
La creatività, del resto, sembra attraversare il percorso intellettuale di Elena Gianini Belotti, che è rigoroso e inquieto al tempo stesso, come in un “romanzo di formazione” di cui si intravede solo alla fine un disegno compiuto. Eccola dunque cimentarsi con la narrativa (spicca, tra tutti, il suo Il fiore dell’ibisco, 1985, forse il più riuscito tra altri pure notevoli) e con quel genere tra saggio e racconto di cui è esempio Prima della quiete. Storia di Italia Donati, 2003. Mi preme soffermarmi brevemente su questo testo, che mi sembra interpellarci particolarmente come educatori/educatrici e persone di scuola. Gianini racconta la storia tragica della maestra toscana Italia Donati (che si suicidò nel 1886, a soli ventitré anni, a seguito delle infamanti dicerie di cui era stata oggetto circa la sua condotta privata) con lo scrupolo dell’indagine storica e l’approccio empatico verso una vicenda in cui vede rappresentata emblematicamente la condizione delle donne. In questo caso, il pregiudizio sociale che gravava sui maestri (in generale visti con ostilità da un contesto che li identificava con lo Stato opprimente e intenzionato a sottrarre “braccia da lavoro”, avviando i bambini e le bambine all’istruzione elementare) viene moltiplicato dall’azione degli stereotipi di genere, particolarmente accaniti contro le donne.
Un’opera coraggiosa, dunque, questa appena richiamata di Elena Gianini Belotti. In essa mi sembrano fondersi le molteplici facce di un’intellettuale, scrittrice e pedagogista, per niente pacificata e pacificante, pur nel rigore del suo impegno, stemperato in una lunga vita, che ha attraversato come un fiume carsico diverse generazioni e fasi storiche del nostro Paese. E’ tempo, credo, di farla riemergere in piena luce: non per limitarci a celebrarla, ma per esplorare ancora il suo pensiero e farne un lascito fecondo, di cui c’è più che mai bisogno.