La lingua italiana ai tempi del web
“I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. Wittgenstein
La lingua cambia continuamente. Ma le modifiche apportate alla lingua che usiamo, con l’avvento del web, sono molte e, come molte cose che passano attraverso quel moltiplicatore e acceleratore che è la rete, hanno conseguenze molto significative anche sulla nostra vita personale e sui nostri diritti di cittadini.
Tanto che la domanda oggi, a partire dalla lingua, non è più “cosa ci faccio col web” ma “cosa il web sta facendo a noi”, al nostro linguaggio e di conseguenza al nostro modo di esprimerci; quindi di ragionare, di sentire, di avere relazioni e fare amicizie, di agire e scegliere, cioè di essere cittadini. (S. Turkle).
“I ragazzi devono saper cosa succede sulla loro pelle in rete” …perché “cambiare è ancora possibile” recitava il Sillabo sulla Educazione civica digitale del MI 2018. In relazione alla attuale fase del web che ha fatto dire a T. B. Lee “Non riconosco più la mia creatura”.
Cominciando dalla lingua, perché di qui comincia il processo che coinvolge informazioni, conoscenze, pensieri; ma anche emozioni, sentimenti, percezioni, relazioni, amicizie e il nostro modo di essere. Persone e cittadini.
Allora è il momento di fare, insieme ai nostri ragazzi, una riflessione linguistica attraverso esempi, ricerche, dati ed autori, su come il nostro linguaggio, in molti modi, sia cambiato con l’avvento del web e su quali siano le conseguenze di questo cambiamento dinamico.
Se ne sta occupando anche la Accademia della Crusca. Ma, fortemente intrecciata con la dimensione lessicale, grammaticale e linguistica, c’è una dimensione culturale e di cittadinanza.
Ad esempio di semplificazione, del linguaggio e del pensiero. Da “Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno…” a “E’ tutta colpa del governo”! Da ipotassi a paratassi.
Un problema che riguarda la grammatica, la linguistica, ma anche la cittadinanza.
Potremmo parlare allora della lingua e del pensiero come gioco di costruzioni.
Del rapporto, ad esempio, tra quantità e qualità di parole conosciute e democrazia (Don Milani, Orwell, Zagrebelsky).
Oppure del rapporto parole-azioni-potere come ci ricordano “Alice nel paese delle meraviglie” o Orwell con la neolingua (1984).
Del rapporto fra semplificazione della lingua e svalutazione della conoscenza e della competenza. Nichols, Asimov.
Della scomparsa di modi e tempi dei verbi nei media e della semplificazione della nostra espressione, specie nel web; anche, ma non solo, per la brevità imposta dagli ambienti social.
Verso la assertività: l’indicativo è il modo dei semplici e dei prepotenti.
Della lingua del web, spesso breve, aggressiva, equivocabile per mancanza di linguaggi non verbali (viso, gesti, tono). Wallace.
Del linguaggio dell’odio in rete (del rapporto odio/linguaggio), di odiatori seriali e di chi sono, della industria delle Fake news che, ormai regolarmente, “inquinano” il nostro stanco diritto/dovere di votare.
Della frammentazione e dell’eccesso di informazioni in rete, spesso inutili e inquinanti.
Di parole “ombrello” come digitale– Guastavigna – o di parole suicide.
Dei vantaggi e dei rischi (anche ecologici) legati alla disintermediazione nel campo della espressione; di post verità e delle sue conseguenze.
Dal punto di vista del vocabolario in ingresso. Dei neologismi, delle parole straniere entrate a far parte del nostro lessico, di sigle o abbreviazioni, del “gergo” dei social che fanno ormai parte anche della lingua parlata/scritta nella vita di tutti i giorni.
Dovremmo riflettere sul rapporto emozioni/emoticon: anche semplicemente giocando con le emoticon (oggi oltre 3600 divise in dieci categorie) o col tono della voce.
Ma anche lavorando su abbreviazioni e modifiche della grafia, sms, lapidi e placiti Cassinesi.
O ancora sul senso di esperienze di libri riscritti con le emoticon, come Pinocchio.
Soprattutto di riflettere su quanti e quali diritti queste modifiche, talora implicite, talora volute e pagate, parte di un sistema economico di controllo del cittadino e del consumatore, stiano limitando o violando.
In sintesi.
Occorrono nuove consapevolezze (e competenze) sulla lingua che partano da una riflessione su:
- come cambia la lingua del web,
- ma anche la nostra lingua col web,
- come il web condizioni la lingua che parliamo,
- quali siano le conseguenze relazionali, sociali e di cittadinanza on e off line
Essendo consapevoli:
a- del fatto che oggi i giovani ci propongono, attraverso il web, un modo nuovo di comunicare multimediale cui prestare attenzione,
b- che il loro linguaggio (ma solo il “loro”?) sta utilizzando sempre meno parole (800 secondo il MI Inglese, poche decine negli sms). Il vocabolario di base di De Mauro, partiva da meno di 2000 parole per arrivare a un massimo di 7000 di più largo uso.
c- ma anche delle potenzialità dei linguaggi ipertestuali (e ipermediali) a più livelli che ci offre la espressione online.
L’insegnamento deve adeguarsi al cambiamento dei linguaggi e dei comportamenti cognitivi, imparando ad animare gli spazi di un immaginario che si compone anche dentro e attraverso la Rete. C. Scognamiglio.