disegno di Matilde Gallo, anni 10[/caption] di Clara Alemani Come è noto, le scuole stanno ricevendo cospicui finanziamenti legati al PNRR. Appare quindi necessario che la progettualità di istituto (ri)trovi spazi e modi adeguati agli investimenti, così da scongiurare il rischio di spese poco oculate e creare invece le condizioni per utilizzare al meglio quanto viene assegnato. La progettualità, intesa come attività del progettare[1], deve innanzi tutto assumere la trasparenza come riferimento imprescindibile, non soltanto per quanto attiene gli atti amministrativi e contabili, ma soprattutto come principio per documentare quanto via via si realizza. Tradizionalmente nella scuola si lavora molto, ma si documenta poco: in parte perché gli strumenti adottati sono percepiti come appesantimenti burocratici da molti docenti (e da alcuni DS); in parte perché spesso le scuole sono chiamate a operare in situazioni cosiddette di emergenza, in cui conta agire rapidamente e appare quasi impossibile ricavare spazi e tempi per progettare e pianificare le azioni che verranno realizzate. C’è inoltre una ragione culturale, retaggio di una visione di scuola in parte romantica, in parte legata alla cultura gentiliana, che identifica qualunque documento ufficiale redatto dentro la scuola come una indebita perdita di tempo, un’attività che deve essere compiuta, un dovere da adempiere, che, nei fatti, non interessa a nessuno. Il pensiero ancora prevalente per molti docenti identifica il buon insegnante come colui (solo in parte colei) che, dotato di una solida cultura (rigorosamente umanistica), di carisma personale e di una certa dose di istrionismo, è capace di improvvisare le proprie lezioni affascinando e incantando alunni e alunne. Redigere il piano di lavoro o un’unità di apprendimento rappresenta, in questa visione, un tempo sottratto ad attività considerate più nobili. Anche molti tra i nuovi giovani docenti non sfuggono a questa logica dell’adempimento e non sembrano disponibili a interrogarsi su altre ipotesi possibili. Al contrario, la capacità di documentare può diventare una risorsa professionale per i/le docenti, con funzioni diverse e variegate, come illustra Barbara Balconi[2]. Anche i documenti di istituto ricadono spesso nella medesima logica dell’adempimento, configurandosi così, non come risorse operative utili per chi lavora a scuola, bensì come atti da chiudere in un cassetto fino alla scadenza successiva. Riesaminare la progettualità di istituto può servire proprio ad avviare una riflessione collettiva sui documenti della scuola, sulla loro struttura, sulle modalità con cui vengono redatti, sulla scelta delle persone che se ne occupano. È necessario, preliminarmente, interrogarsi sul significato che in ogni scuola si attribuisce al termine progetto: sotto questo comodo e rassicurante umbrella term abitano iniziative molto diverse tra loro che variano da incontri di poche ore, di una o più classi, con esperti su tematiche specifiche, a iniziative che negli anni hanno perso il loro carattere prototipico e si sono strutturate come articolazioni della didattica ordinaria. Sarebbe utile allora che le scuole definissero con chiarezza i criteri per classificare le diverse attività e attribuire a ciascuna di esse uno spazio meglio definito all’interno del curricolo di istituto, del PTOF, nonché del Programma Annuale. Sarebbe ugualmente utile interrogarsi sul valore di tali iniziative, inteso come coerenza con gli obiettivi educativi e didattici individuati come prioritari dall’istituto, sui risultati ottenuti nel tempo grazie a esse (ammesso che vengano effettivamente misurate), ma anche sulle metodologie promosse e sui tempi di realizzazione. La questione dovrebbe riguardare soprattutto le iniziative che le scuole intendono mettere in campo contro la dispersione scolastica. È chiaro che gli interventi, soprattutto quelli che le scuole definiscono di recupero, non possono essere la riproposizione, seppure destinata a gruppi di alunni/e più ristretti, di metodologie e modalità di conduzione delle lezioni tradizionali, in cui il modello prevalente è ancora la lezione frontale. È altresì evidente che le scuole potrebbero opportunamente aprirsi a realtà esterne, come previsto anche dal decreto del Ministero, che già agiscono in molti territori, per co-progettare iniziative in grado di valorizzare anche e soprattutto gli apprendimenti informali e non formali, in aggiunta a quelli formali proposti dalla scuola stessa. Qualunque sia l’indirizzo che la scuola si darà, è necessario scongiurare alcuni rischi, primo fra tutti quello di mettere in pista un numero sproporzionato di iniziative / progetti, difficili da governare e pertanto poco organici alla scuola stessa. Un altro rischio, come già accaduto in passato, è quello di importare esempi e pratiche, più o meno buone, in maniera acritica, senza cioè il necessario adattamento al proprio contesto di scuola, compresa la cultura professionale delle persone che vi lavorano. C’è infine il rischio che le scuole improvvisino, realizzando azioni non sorrette dalle necessarie competenze professionali, intese come
- adeguata formazione dei soggetti chiamati a realizzarle (sapere);
- necessaria pianificazione delle azioni da realizzare (saper fare);
- solida cultura professionale e organizzativa (saper essere).
- i risultati dei progetti, in coerenza con le azioni e gli obiettivi definiti (gli output, per così dire);
- i risultati di apprendimento degli/delle alunni/e, destinatari per i quali quelle iniziative sono state messe in atto (gli outcome);
- i risultati di apprendimento organizzativo, inteso come apprendimento che si sviluppa all’interno della scuola attraverso momenti collettivi di riflessione, di confronto e di agire effettivo e diventa patrimonio professionale dell’intero istituto (risultati in termini di impatti).
- siano una risorsa per la pianificazione, la realizzazione, il monitoraggio, la valutazione e la messa a sistema complessiva delle azioni che si intende realizzare;
- consentano di governare in maniera più agevole la complessità delle iniziative e dei progetti che le scuole realizzano e realizzeranno;
- documentino le scelte e le strategie messe in atto dall’istituzione scolastica;
- rendano possibile far dialogare fra loro i diversi documenti in corso di elaborazione (RAV, PdM, PTOF, Programma Annuale, Contratto di Istituto, …);
- facilitino le azioni di monitoraggio e rendicontazione, non soltanto quelle che verranno richieste dal Ministero, bensì quelle necessarie alla scuola per valutare il proprio operato.
- individuare obiettivi misurabili e coerenti con quelli di istituto riportati nel PTOF;
- definire indicatori e target;
- definire la sequenza delle azioni, anche di quelle apparentemente meno significative;
- individuare i responsabili;
- stabilire, per ogni azione, il piano temporale (quando e per quanto tempo);
- indicare le risorse necessarie per la realizzazione;
- definire un sistema di monitoraggio, in cui siano indicate le scadenze e le modalità di raccolta e diffusione dei dati.