Il digitale nell’apprendimento
Una considerazione generale
Se guardiamo alla Storia con lo sguardo della “lunga durata”, e dunque per transizioni e fasi di secoli, non possiamo non riscontrare una permanenza critica ad ogni passaggio che investa le forme della comunicazione, ed in particolare di quella destinata all’apprendimento e alle nuove generazioni.
Si ricorda la critica e la diffidenza di Platone verso la “parola scritta” rispetto alla interazione dialogica diretta.
Ma quanti secoli dovettero passare per misurarsi con la disponibilità diffusa della parola scritta attraverso il libro come strumento essenziale nella riproduzione della cultura, la cui diffusione di massa è legata alla invenzione della stampa? Anzi della tecnologia della stampa a caratteri mobili. Potremmo continuare gli esempi: ma ciò che conta è la consapevolezza che lo sviluppo delle ICT corrisponde ad un passaggio storico che ha portata simile a quelle transizioni citate, e dunque sfida radicalmente la nostra capacità di interpretare, decostruire, ricostruire significati connessi alla comunicazione sociale.
D’altra parte, non mancano certo sensate elaborazioni e pensieri sui problemi che nascono dalla intersezione tra sviluppo delle ICT, formazione ed apprendimento. Non solo, anche se specialmente, per le nuove generazioni. Un pensiero preoccupato per tanti adulti e finanche pensionati hikikomori maturi. In questa elaborazione cercherò di esaminare tali processi per i riflessi che essi hanno sulla organizzazione della scuola, tenendo conto ovviamente delle diverse elaborazioni ed esperienze sviluppate in proposito in questi anni. (Mi preme sottolineare il riferimento al rapporto con l’“organizzazione” della scuola . I cambiamenti indotti dal digitale nei processi di apprendimento vanno proiettati sulla dimensione di “sistema organizzato della istruzione e dell’apprendimento”.)
Non si tratta (solo) di rapporti precettore-allievo
Non ostante la sempre in agguato pericolosa dislocazione di “apocalittici e integrati” di Eco, che, come tale, è assolutamente paralizzante su entrambi i fronti, il dibattito è ampio. Rimane il fatto che la questione si accompagna ad interrogativi radicali, in particolare rispetto alle competenze dei docenti; non “tecniche” ma in campo psico socio pedagogico. Anzi direi: filosofico e antropologico.
Voglio fare solo un esempio
(Che credo sintetizzi molti significati di ciò che dirò in seguito)
Siete un docente “creativo” che usa le tecnologie e i loro dispositivi per sfruttarne le potenzialità (ah! se li aveste avuti a disposizione quando eravate studenti!!!). Dopo opportuno inquadramento storico-culturale avete dato un compito operativo ai vostri ragazzi. Per esempio: dopo spiegato (e capito…) cosa intendesse Duchamp disegnando i baffi alla Gioconda, proponete loro di fare altrettanto con altre opere “rinascimentali”
Che so? Mettere neri ricci ad una Venere che sorge … dei cerotti ad un San Sebastiano… degli occhiali ad una Santa Lucia… Gli strumenti che hanno a disposizione tra le loro mani rendono possibile realizzare il compito senza grande sforzo … Si selezionano le immagini in rete… ci si misura con semplici taglia-incolla e correttore di immagini… si ricava rapidamente ciò che altrimenti avrebbe reso il lavoro su carta proibitivo …
(Certo altra cosa è comprendere a fondo il senso della provocazione Duchamp, ma credo che tale operatività aiuti anche ciò). Osservateli al lavoro, e provate a pensare alla tipologia di problemi che avete di fronte, se appena riuscite a prender distanze dalla soddisfazione dei risultati. La cosa che immediatamente balza agli occhi è l’accorciamento drastico del circuito stimolorisposta…
Trovano una immagine, tagliano, adattano… buttano… ricominciano. Più volte e fino a quando non siano soddisfatti del “prodotto”. A volte, in realtà, avete l’impressione che si interrompano solo per un impulso esterno (la campanella, l’intervallo…) come se il “risultato mai” e invece “iterazione perpetua”.