di Cinzia Mion
Recentemente è scoppiata una grande polemica a proposito di dati divulgati da “Save the children” intorno alla percentuale dei ragazzini che alle prove Invalsi, e non solo, risulta non siano in grado di comprendere il senso di quello che leggono.
Sembra si tratti di una notizia falsa, gonfiata nei numeri. La polemica all’inizio è divampata su queste presunte fake news.
Poi, più giustamente, si è sviluppata intorno alle conseguenze che potrebbero avere queste notizie se rapportate alla interpretazione conseguente: se da tempo la scuola pubblica non riesce a colmare queste lacune che, ai fini del raggiungimento del senso completo di “cittadinanza” sono basilari, allora bisogna sostenerla dall’esterno…
Se la causa è la cosiddetta “povertà educativa” ecco pronto a farsi avanti il terzo settore, visto che ci sono in vista degli stanziamenti considerevoli del PNRR . La vecchia volpe di Andreotti diceva “a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca…!”
Un ottimo pezzo di Missaglia nel sito di Proteo illumina questa possibile deriva insistendo giustamente sul fatto che non si tratta di “povertà educativa” ma si tratta di necessario ed impellente cambiamento della scuola ma non “aggiungendo” qualcosa dall’esterno bensì “costruendo ponti e alleanze virtuose con chi è interessato davvero al cambiamento della scuola e soprattutto modificando in profondità l’assetto, il funzionamento, l’organizzazione e i contenuti della didattica”
Allora io aggiungo: carissimo Dario Missaglia , carissimi Ministri dell’Istruzione Bianchi e dell’Università e della Ricerca M.C. Messa, cominciamo dalla base. A me hanno insegnato che se qualcosa non va, il percorso va rivisto dall’inizio.
a) Sappiamo tutti che il sistema universitario frettolosamente definito “3+2” non funziona.
Interrogati singolarmente i docenti universitari lo ammettono, salvo poi ammutolire come pesci di fronte al rischio di un cambiamento “che non si sa mai se può comportare qualche rischio che non vogliono correre”.
Il primo modulo dei tre anni per la cosiddetta laurea breve fa acqua da tutte le parti. I corsi universitari con la denominazione infelice di “numeri ascrivibili a crediti” ( sarò vecchia ma questa terminologia mi fa rabbrividire) hanno ridotto le università ad esamifici. Diciamolo una volta per tutte fuori dai denti. Le dispense su cui si studia e le tesine con cui ci si laurea sono ridicole. Sono i ragazzi stessi e i loro genitori ad ammetterlo. Cosa aspettiamo a riformare questo scempio?
b) Cosa aspettiamo ad includere nel corso di studi per la formazione iniziale la vecchia psicopedagogia, chiamata oggi “ Psicologia dell’apprendimento”, che è l’unica fonte scientifica che ci offre la padronanza della metodologia e della didattica che userò perché mi permette di acquisire le chiavi di lettura per interpretarne l’incisività, rispetto alla finalità che intendo raggiungere: è la risposta esatta o la comprensione profonda, compreso il ”senso” di quello che leggo che mi interessano?
Nel caso che stiamo prendendo in esame, tra i vari manuali serissimi e già datati, c’è un saggio fondamentale di tale disciplina più recente dal titolo “I Contesti sociali dell’apprendimento” a cura di Clotilde Pontecorvo, Anna Maria Ajello, Cristina Zucchermaglio. Vi dicono qualcosa questi nomi, ascrivibili al periodo che Dario Missaglia nomina come ricco di “energia sociale” , quello degli anni 70? (anche se il saggio in questione è del 1995).
Ricominciamo da lì!!! In questo testo si insegna cosa è per esempio “l’ Apprendistato cognitivo” e come si può utilizzare questa metodologia neovigotskiana proprio per sviluppare i processi cognitivi e metacognitivi così importanti per capire il SENSO di ciò che si legge!
c) Moltiplichiamo perciò al più presto le cattedre di psicologia dell’apprendimento prima che perdiamo “il testimone” e riformuliamo i piani di studio. Apriamo il cantiere della formazione iniziale per tutti i docenti: solo così possiamo sperare di salvare la scuola. Credo che una volta assaporato il vero “senso” di cosa significa l’insegnamento, per poter sollecitare l’apprendimento autentico per “tutti”, non sarà necessario escogitare premi e specchietti per le allodole per sollecitare il bisogno di formazione. Saranno i docenti a chiederla e senza voler essere remunerati per questo, (naturalmente potendo allora godere di uno stipendio adeguato e non di uno residuale tipico di un lavoro di seconda scelta) recuperando così la dignità della loro professione.
Tutto il resto sono pannicelli caldi.
Eppoi ragazzi, per favore, se qualcuno vi indica la LUNA, non fermatevi al DITO!