La sfida della scuola: aumentare le conoscenze o migliorare il modo con cui si apprende?

di Raimondo Giunta

“Bisogna legare intrinsecamente sapere e problema, come domanda e risposta (M. Fabre)

Il tempo scolastico non può essere ampliato a piacimento nel tentativo di consentire alla scuola di adeguarsi alla crescita esponenziale delle conoscenze: è insormontabile lo scarto tra il loro sviluppo e ciò che è possibile insegnare.
Ragione per cui dalla fase storica del riformismo scolastico segnato dal costante ampliamento delle discipline e dei contenuti si deve passare a quella della loro selezione, altrimenti la scuola rischia di soffocare per ingordigia.
Se nessuno è in grado di prevedere che ne sarà di questa prodigiosa accumulazione di saperi e quali saranno i futuri scenari della società, chiaramente si impone sulla base di questi dati la necessità di ripensare il mondo dell’istruzione e della formazione.
In questo processo di riorganizzazione culturale della scuola più che a nuovi ed estesi contenuti bisognerebbe dare maggiore spazio alla capacità di apprendere e di comprendere, a quella di sapere oltrepassare ciò che è abituale e familiare; bisognerebbe educare ad appropriarsi delle tecniche di investigazione, a problematizzare e ad analizzare i dati della realtà.
“Apprendere è il nodo essenziale per una società in cambiamento e il desiderio di apprendere è il motore indispensabile. (. . . ) Oggi è importante padroneggiare metodi per pensare, interrogarsi, dialogare, mettere in relazione molteplici domini, sviluppare capacità di problematizzare, di iniziativa, di creatività, di usare creativamente le nuove tecnologie” (A. Giordan)
Apprendere non è memorizzare, accumulare informazioni, ma ristrutturare il proprio sistema di comprensione del mondo e non consiste solo nell’integrare nuovi saperi, ma anche nell’utilizzare meglio e in modo diverso ciò che si conosce già.
Per ottenere questo risultato bisogna coltivare nei giovani il desiderio e il piacere di apprendere; è necessario farglieli diventare un’abitudine, ma informandoli che nella realtà quotidiana per apprendere ci vogliono tempo, rinunce e fatica e che il possesso di un sapere richiede una esigente e costante ricerca.


C’è una responsabilità morale nella crescita intellettuale, alla quale nessuno si dovrebbe sottrarre e che se viene orientata al dialogo e all’ascolto acquista una dimensione sociale. Il desiderio di apprendere, da cui prende inizio il cammino della conoscenza, sboccia se si riesce quotidianamente ad accenderlo nella coscienza dei giovani e questo in classe è possibile dando loro fiducia, rispettando e valorizzando il loro impegno, testimoniando nell’insegnamento e in ogni attività scolastica l’amore per il valore e la bellezza del sapere.
Se apprendere come dice A. Giordan è il nodo essenziale per una società in cambiamento, le resistenze che tanti giovani frappongono all’apprendimento rischiano di estrometterli dalle opportunità che si presentano nel mondo del lavoro; per il loro bene occorre quindi sconfiggere l’indifferenza che si origina, perché non si riesce a individuare un senso nella fatica di apprendere; perché non si vede la ragione di un impegno, perché non si riesce a cogliere il rapporto tra ciò che si impara a scuola e la vita di tutti i giorni . Come non bastasse, nella scuola dei nostri giorni ci si deve confrontare col fatto che i saperi scolastici sono altri rispetto all’ambiente e alla cultura familiare, religiosa, etnica di un numero crescente di studenti.
C’è ancora dell’altro. A volte bisogna far fronte anche ad una specie di paura di apprendere, che come fenomeno è forse più circoscritto rispetto all’indifferenza, ma esiste.
E’ una situazione che si viene a creare all’interno della relazione educativa e interpella innanzitutto il modo in cui si sviluppa il rapporto umano nel processo formativo, il modo in cui si caratterizza la funzione magistrale, il modo in cui il sapere viene posto in relazione non solo con le capacità intellettive, col grado di preparazione di un alunno, ma anche col suo mondo emotivo. La paura d’apprendere può essere originata dai giudizi prevalenti, in ambito familiare, su che cosa sia e quanta valga sia il successo sia l’insuccesso scolastico. Sono problemi con cui bisogna misurarsi, riportandoli alla loro dimensione effettiva, e che possono essere risolti sostenendo e incoraggiando l’alunno nei momenti delle sue difficoltà, apprezzando generosamente i suoi progressi e i suoi sforzi.
Per quelli che sono indifferenti, per quelli hanno paura e per quelli in cui matura il desiderio di apprendere, in ogni caso nell’attività didattica è necessario predisporre situazioni che consentano all’alunno di mettersi in relazione vitale con l’oggetto culturale da possedere, in modo che gli si possa mostrare come un oggetto vivo e sensibile, come una realtà ad un tempo simbolica, affettiva ed esplicativa (D. Nicoli). Presentare agli alunni i saperi nel loro uso possibile è un modo per motivarli, anche se l’uso sociale dei saperi non è sempre facilmente percepibile. Una parte dei saperi infatti non è direttamente utile, almeno a breve termine, ma aiuta a comprendere il mondo e ad allargare la propria esperienza.
Per evitare che l’insegnamento si riduca ad una stantia e noiosa riproposizione di formule, a volte incomprensibili, per sostenere il desiderio e la volontà di conoscere, occorre far capire a quali questioni i saperi, che devono essere posseduti, danno delle risposte.
“Bisogna legare intrinsecamente sapere e problema, come domanda e risposta” (M. Fabre), ma non dimenticando mai di fare comprendere e accettare che la scuola non è il luogo delle situazioni reali.
“La scuola è un luogo dove si svolge un particolare tipo di lavoro intellettuale che consiste nel ritirarsi dal mondo quotidiano, al fine di considerarlo e valutarlo; un lavoro che resta coinvolto con quel mondo in quanto oggetto di riflessione e di ragionamento”(L. ResnicK).

E’ questa è davvero la sfida più difficile.