L’ipocrisia ai tempi della guerra

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di Mario Maviglia

Chiedo scusa se questo intervento può risultare duro se non addirittura cinico. Mi difendo dicendo che quanto sta succedendo in questo periodo è ancora più duro e cinico.
Il conflitto tra Russia e Ucraina ha messo in luce una mole impressionante di comportamenti ipocriti a vari livelli.

1. Partiamo da quello più vicino al mondo della scuola.
Migliaia di bambini/e e ragazzi/e ucraini/e sono stati accolti (fortunatamente) in Italia come profughi e possono in tal modo avere protezione, assistenza e frequentare la scuola. Per accogliere i profughi ucraini vi è stata una mobilitazione di solidarietà come non si è mai vista in Italia, almeno per quanto riguarda i fenomeni migratori. Eppure nel corso degli ultimi decenni vi sono stati movimenti migratori che hanno massicciamente interessato il nostro Paese, ma non sempre l’accoglienza è stata così solerte e solidaristica, nemmeno nei confronti dei bambini, che pure provenivano da zone dilaniate dalla guerra (Afghanistan, Siria, Iraq, per citarne alcune). Anzi, alcune forze politiche hanno fatto del contrasto all’accoglienza dei migranti (anche provenienti da zone di guerra) la loro parola d’ordine.
Questo comportamento schizofrenico (ipocritamente schizofrenico) può essere spiegato, almeno in parte, dal fatto che i bambini provenienti dall’Ucraini sono bianchi, biondi, occhi azzurri, cristiani ancorché ortodossi, mentre quelli dei Paesi citati sono di pelle scura, capelli scuri, occhi neri, di religione musulmana. Vi sono sicuramente altre ragioni legate alla specifica posizione geopolitica dell’Ucraina e ai particolari rapporti che ha (o tenta di avere) con l’UE e i Paesi occidentali.


Quello che qui si vuole sottolineare è il diverso trattamento che viene riservato ad altre infanzie, altrettanto sfortunate e in pericolo, come se la retorica dell’accoglienza fosse ammantata di un sottile razzismo che classifica inconsapevolmente (?) i bambini in persone di serie A e di serie B.

2. Qualche giorno fa la Camera dei Deputati ha approvato, a larghissima maggioranza, l’aumento delle spese militari per 13 miliardi di euro.
Con questa somma potrebbero essere costruiti circa 4500 nuovi asili nido, o, se si dovessero riadattare edifici già esistenti, un numero ancora più alto. Oppure si potrebbero abbassare le rette per la frequenza degli stessi asili. Secondo un’indagine condotta da Altroconsumo e riportata sul Corriere della sera on line del 13/03/2022  il costo per la frequenza di un asilo nido privato va da 480 a 620 euro al mese. Milano è la città più cara tra le otto esaminate (Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma e Torino) su 350 nidi coinvolti. Eppure la legge 107/2015 e il successivo decreto legislativo 65 del 2017 miravano proprio ad abbattere le rette di frequenza e ampliare il servizio educativo per portarlo al 33% dei potenziali utenti, secondo quanto fissato dalla UE.
Questo obiettivo appare ancora lontano dall’essere raggiunto; in compenso si aumentano le spese militari. Anche in questo caso assistiamo a una grande rappresentazione ipocrita quando si pontifica sull’attenzione da riservare all’infanzia a fronte di scelte politiche che vanno in una direzione opposta; o quando ci si meraviglia che il nostro Paese presenta un tasso di natalità tra i più bassi al mondo. Difficile incentivare la nascita di figli aumentando le spese militari.

3. In questo periodo siamo stati letteralmente investiti da una mole enorme di immagini di guerra attraverso i vari TG, inframmezzati da messaggi pubblicitari di vario tipo in un mix consumistico dove il carrarmato colpito da un missile cedeva il posto all’ultimo modello di auto ibrida e viceversa.
L’aspetto più ipocritamente sconcertante nelle “analisi” dei vari giornalisti è il loro stupore nel registrare distruzione e morte. Ma la guerra ha proprio questo scopo. Forse occorre ricordare, parafrasando Mao, che “la guerra non è un pranzo di gala; non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La guerra è un atto di violenza.”
L’unico antidoto alla guerra è la pace: ma di questo nei vari TG si parla poco, troppo preoccupati a spettacolarizzare e ad esibire sconcerto davanti al dolore e alla morte. La scuola ne può parlare, e forse può anche educare alla pace, o almeno tentare di farlo. Non è un lavoro semplice perché anche in questo caso occorre andare oltre il generico e ipocrita auspicio del “volersi bene” sapendo che non a tutti si vuole o si può voler bene. Il problema, semmai, è quello di creare un contesto di relazione e di apprendimento dove questi aspetti negativi possano essere percepiti, discussi, analizzati e governati. Sotto questo profilo la scuola può essere una grande palestra di democrazia e di comprensione, se riconosce gli aspetti “bellicosi” che albergano negli alunni e se predispone itinerari formativi per incanalare questi comportamenti in una dimensione di convivenza civile avendo la chiara consapevolezza che costruire è più difficile che distruggere.