Pedagogia dell’infosfera, tra Ucraina e Italia
17 marzo 2022 mattina.
Sono online con Reggio Emilia ad un incontro con i dirigenti scolastici e la Provincia sul tema dell’accoglienza dei bambini e ragazzi ucraini profughi. Buone idee, molto impegno. Dico le solite cose che scrivo in questi giorni: sobrietà, empatia, poche feste e tv all’arrivo (le faremo quando torneranno a casa), no a compassione svenevole, no a domande pettegole, ma molto ascolto e comprensione, serenità e amicizia vera senza fronzoli. Prima di tutto dare continuità e connessione alla loro esperienza scolastica in patria e adesso da noi. Non devono perdere l’anno. Ma soprattutto prepararli per il ritorno, che tutti vogliono. Hanno il padre che combatte in Ucraina, l’ ansia quotidiana è la telefonata da laggiù. Qualcuno potrebbe restare orfano. A loro va quindi offerta una pedagogia del ritorno, non un’accoglienza qualsiasi.
Una preside, tra gli interventi, racconta una cosa sorprendente: due studenti ucraini da poco arrivati chiedono un orario che permetta loro di collegarsi con l’insegnante ucraina che li aspetta…per una Dad. Funziona così: un quarto d’ora prima un sms per dire che l’insegnante è pronta e poi…. Non ne sapevo nulla e mi commuovo: stupefacente, solo dopo tre settimane di guerra.
Ma c’è di più: altri sei presidi confermano che anche da loro succede così. Sta dunque accadendo qualcosa?
Riflettete, colleghi italiani: immaginate Svetlana, Olga, Katiuscia, Natasha, Irina, Pavel nascondersi nella metro o in cantina, mandare sms e poi accendere il computer. Immaginate che nell’infosfera da lì a qui passano tabelline, poesie, racconti, geografia. Soprattutto passano facce e sguardi, sorrisi e tristezze.
Si parlano, si salutano con “priviet” (ciao) e si lasciano con “dasvidanie”. Arrivederci, appunto.
Verifico, finito il webinar, e trovo conferma in altre scuole della regione. Un quotidiano racconta che a Bari succede così. Chiamo amici laggiù e confermano: molte insegnanti ucraine cominciano a collegarsi, lo fanno come possono, lo fanno spontaneamente in attesa di un accordo bilaterale.
Come non pensare che nell’ anima dei nostri colleghi ucraini stia accadendo, in forme più tragiche delle nostre, quello che è accaduto tra noi a marzo 2020, nel durissimo e lungo primo lockdown legato al COVID, in un periodo oscuro con centinaia di morti al giorno. E’ accaduto da noi e adesso da loro un evento di contatto in tutti modi con i loro ragazzi lontani: una generosità educativa che non ha atteso gli ordini. Come da noi, quindi, non didattica a distanza, ma quella che ho chiamato didattica della vicinanza, quella possibile online.
Perché di questo emotivamente e cognitivamente si tratta: ricostruire la relazione, far loro sentire che siamo vicini. Poi, nel tipico bla bla italico, nel tempo la cosa si è fatta ideologismo. Ma per quattro mesi la relazione docenti/ragazzi è stata un incanto. E ha messo in discussione i modi di insegnare.
Accade oggi lo stesso a colleghe e colleghi ucraini: in attesa che i governi si coordinino, tessono i contatti con i loro bambini e ragazzi. Lo fanno da luoghi più scomodi di noi, sotto il rumore delle bombe, senza acqua per lavarsi, col rischio di morire. Pura didattica della vicinanza.
18 Marzo 2022.
Nel sito del Ministero istruzione ucraino trovo un settore specifico da leggere: “UA, education in wartime: international support”.
Materiali didattici via via in costruzione. In un’ ADN Kronos, ripresa su facebook da Tecnica della scuola, c’è un’intervista al ministro Istruzione Serhiv Schkarlet, che precisa la possibile collaborazione con i paesi europei per aiutare i ragazzi a non perdere la scuola, a mantenere il più possibile il loro curricolo, a preparare il ritorno.
Esattamente la continuità di cui parlo e scrivo da una decina di giorni.
Il ministro Bianchi in un comunicato racconta che il 16 marzo in una riunione del Consiglio d’Europa dei ministri istruzione assieme al collega ucraino Skharlet si è concordata una collaborazione intensa per la scolarizzazione dei ragazzi, con tutte le modalità possibili a partire da quelle online, e l’aiuto sociale e psicologico necessario. Dunque, si stanno muovendo molte cose.
E non rivelo nulla di segreto a pensare che la prossima nota del Ministero sull’ accoglienza dei ragazzi ucraini ne parlerà.
E’ per noi, quindi, il momento di darci alcuni sfondi pedagogici di riferimento per una buona accoglienza.
Penso ad una originale scuola binaria, di cui cerco di tracciare qui i principali sfondi su cui riflettere:
1. Il più possibile, fin che è possibile
Naturalmente, per quanto si possa fare, non sarà possibile offrire sempre a tutti i ragazzi ucraini accolti nelle nostre scuole ore online con le loro insegnanti in Ucraina. Dipende dalle loro condizioni di guerra, perfino dalla loro sopravvivenza. Da quello che capisco sarà più facile fare didattica della vicinanza dalla classe 5.a in poi. Ma tutte le ore online che si realizzeranno dovranno essere valorizzate, senza paturnie burocratiche su assenza/presenza dell’alunno a scuola. Nel momento online sono a scuola, eccome! Piuttosto sarebbe opportuno connettere a questo impegno il nostro parallelo impegno didattico (il binario) sul quale scorrere vicine le nostre attività. Sarà un’impresa molto interessante, anche se frastagliata.
Importante sarà comunque conoscere i curricoli e l’organizzazione della scuola ucraina, cercando le molte analogie con noi e le differenze. Forse anche imparare reciprocamente dalle differenze, bambini italiani e ucraini che si imparano vicendevolmente. Importante far notare che la presenza online delle colleghe ucraine allevia anche la questione dei mediatori linguistici se si debbano o meno utilizzare come insegnanti. Meglio forse utilizzare le madri rifugiate con i figli in Italia, se di professione e studi insegnanti.
2. Curricolo del doppio binario
Dunque, sulla base dell’online che sarà possibile realizzare, e dei materiali virtuali che i ragazzi ucraini troveranno nei siti a loro dedicati, sarà possibile costruire un curricolo breve in forma di binario. Suggerisco di pensare solo ai prossimi tre mesi, fino a giugno, inutile per adesso andare oltre. Dunque la parte italiana delle attività potrebbe essere di diversi tipi: complementari, di approfondimento, sostitutive, alternative. Banale è l’esempio dell’educazione fisica, che online non è possibile, ma anche delle discipline artistiche e creative. Importante è approfondire la lingua straniera, che può essere utile come veicolo comunicativo universale. Ovviamente il curricolo dovrà essere personalizzato secondo le diverse condizioni di ogni bambino e ragazzo.
3. Sbirciarsi dallo schermo e condividere tutto il possibile
Eppure c’è una questione relazionale e pedagogica che sarebbe utile realizzare. Mi piacerebbe pensare che in un incontro online con il suo ragazzo ucraino, la loro Svetlana e la nostra Maria potessero almeno sbirciarsi e salutarsi. Mi piace pensare che se Maria e Svetlana non hanno una lingua da condividere, la prima faccia dei gesti per far capire alla collega che verso quel bambino noi siamo qui ad aiutarlo e che non lo molleremo mai alla tristezza o alla solitudine. Siamo loro sostituti, ci crediamo. Ma se le due potessero capirsi (es. inglese, ma molte ucraine sanno un po’ di italiano) potrebbe crearsi quel binario pedagogico di scambio e collaborazione con effetti pratici molto interessanti. Una pedagogia dello scambio mutualistico, pieno di umanità.
4. Il binario per i più piccoli
Per i bambini più piccoli, quelli della scuola infanzia e forse anche dei quattro anni di primaria, è possibile che siano meno le occasioni di connessione online. In questo caso sarà importante avere un buon rapporto con le madri per capire i loro figli e conoscere il meglio possibile i curricoli ucraini per realizzare un binario armonico e coerente anche se basato su una sola lingua. In questo caso, importante ancora di più sarà la relazione con i compagni coetanei italiani.
5. Cominciare a pensare l’estate
E poi, forse bisogna pensare presto a come organizzare la loro estate. I ”patti territoriali di comunità” con gli enti locali e le molte esperienze estive presenti nelle nostre città sono esperienze che vanno favorite e sviluppate a partire dalla scuola. Giugno arriva tra poco. Guai a lasciarli soli.
Suggerirei, infine, a non pensare per ora all’ anno scolastico prossimo. Conviene un intervento caldo e positivo per questi mesi, i più difficili. Ma meglio non anticipare troppo decisioni che potrebbero, anche involontariamente, essere premature. Si rischia altrimenti, in buona fede, di relegarli alla psicologia dell’esilio.