A scuola si va come si deve e non come ci pare

di Raimondo Giunta A scuola, nei rapporti quotidiani, capita che sul modo in cui debbano vestirsi e parlare gli alunni ci possa scappare l’incidente. Per evitare umilianti controversie e penose campagne di stampa, considerando come si è diventati, credo che debbano essere dettate delle norme precise al riguardo. Una volta francamente non ce n’era bisogno. Però bisogna dirlo. A tanti sembra indebito che la scuola stabilisca un minimo di regole sul modo di comportarsi e anche sul modo di vestirsi. Per alcuni e forse per molti è importante solo che i giovani a scuola ci vadano e ci restino. Sinite parvulos venire ad me… E’ un’idea senz’altro accattivante, ma non credo che sia seria. La scuola è altro rispetto alla vita e lo deve essere proprio per preparare alla vita; una realtà che deve avere le proprie regole: quelle che sembrano essere le più efficaci per mantenere le promesse che fa a chiunque entri dal suo portone d’ingresso. Si dice in chiesa con i santi e in taverna con i briganti. Si potrebbe citare Machiavelli che cambiava abito, quando si metteva a leggere e a scrivere. Questa condiscendenza, ai limiti dell’irresponsabilità, non aiuta i giovani. Credo che se a scuola trovassero insegnanti capaci di fargli assaggiare giorno per giorno il sapore del sapere, i ragazzi a scuola ci andrebbero volentieri anche con giacca e cravatta. L’alterità delle regole della scuola rispetto a quelle della famiglia e del gruppo dei pari è condizione per collocarsi nel migliore dei modi rispetto alla responsabilità individuale di crescere e di imparare. Quand’ero in servizio, ma erano altri tempi, non dettavo regole sull’abbigliamento, anche perché pensavo e credevo che i genitori ci tenessero a insegnare le buone maniere ai propri figlioli e che li osservassero bene e come si deve prima di vederli uscire da casa per andare a scuola. Esercitavo, però, l’ironia su qualche eccesso degli alunni e anche degli/delle insegnanti. Si toglievano subito il piacere di stupire con le stranezze piuttosto che con l’impegno e con i risultati. Non so se oggi funzionerebbe e quando succedono fatti come quelli del liceo romano, ringrazio il Padreterno di essere in pensione. A distanza di tempo incontro spesso gli alunni che diventati, ormai, genitori mi ringraziano per le scelte che allora facevo da preside. Perché, prima o poi, anche gli studenti scapestrati diventano grandi e capiscono il senso di quello che prima non volevano accettare.]]>

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