di Mario Maviglia e Laura Bertocchi La scenografia nella didattica a distanza (M. Maviglia) Uno dei tanti effetti che la pandemia ha avuto in campo scolastico è stato quello di aver prodotto un radicale cambiamento nell’allestimento del setting educativo, intendendo con questo termine “l’insieme delle variabili che definiscono il contesto entro cui si svolge la relazione formativa”[1] (M. Castoldi, 2016) . Tra queste variabili generalmente vengono ricomprese il tempo, lo spazio, le regole, gli attori, i canali comunicativi, ma anche le forme relazionali. La didattica a distanza ha cambiato le caratteristiche di tali variabili, anche se finora non si è molto approfondito e discusso questo aspetto che pure influenza in modo non secondario l’impresa educativa. Se ad esempio consideriamo le coordinate spazio-temporali si può facilmente constatare che un conto è fare scuola avendo come riferimento un setting strutturato con spazi ben identificabili (aule, laboratori, atelier, palestre ecc.) e dove il “controllo” del docente è ben delineato, un altro è gestire la lezione in spazi virtuali, come nella DaD, dove l’”aula” si scompone in tanti spazi individuali (l’immagine sullo schermo di ogni singolo studente) e la tradizionale scenografia scolastica (fatta di banchi, cattedra, lavagna o LIM, pareti più o meno addobbati, angoli, attrezzature ecc.) risulta completamente trasformata. Peraltro, va sottolineato che mentre nei tradizionali setting d’aula sono i docenti a definire – consapevolmente o meno – l’allestimento della scenografia in modo che sia funzionale al tipo di attività che vi si svolge e agli obiettivi che si vogliono conseguire, nella scenografia dettata dalle contingenze della DaD il “controllo” dei docenti risulta molto più labile e indefinito e comunque fortemente influenzato alla tecnologia. Un altro aspetto da considerare è che nella “scenografia DaD” entra prepotentemente in campo il contesto familiare dei singoli studenti, sebbene attraverso il particolare e limitato occhio della webcamera. Di fatto si entra nelle case degli studenti (e gli studenti entrano in quella dell’insegnante, se il collegamento avviene dalla casa di costui), si spia dentro. Questa deformazione dei confini del setting educativo determina problemi del tutto nuovi rispetto alla tradizionale gestione delle attività didattiche. La variabile tempo, ad esempio, va incontro ad una serie di alterazioni: in situazione di DaD può succedere che non tutti gli studenti riescano a collegarsi alla rete e dunque si va incontro a inevitabili perdite di tempo o comunque a tempi morti. (Ricordiamo che “Il rapporto DESI (Indice di Digitalizzazione dell’Economia e della Società) 2020 della Commissione Europea (…) ci vede posizionati al 25° posto globale nel ranking della digitalizzazione dei paesi dell’Unione Europea (i dati sono riferiti al 2019, perciò ancora 28 paesi)” (Rapporto sulla trasformazione digitale dell’Italia, CENSIS e TIM, 2020[2]). Non è che nelle situazioni normali non vi siano perdite di tempo, ma mentre in quest’ultime il docente può intervenire direttamente per risolvere eventuali problemi, nella DaD le possibilità di intervento da parte dell’insegnante sono molto più limitate. A ciò va aggiunta la diversa strumentazione tecnologica di cui gli studenti possono usufruire a casa e dunque le differenti possibilità di avere collegamenti ottimali oppure problematici. Non tutti gli studenti utilizzano la banda larga o la fibra per il processo dei dati. Questi aspetti, se non adeguatamente considerati, rischiano di creare difformità nelle possibilità di accesso al servizio scolastico. In fondo in classe la strumentazione didattica è a disposizione di tutti gli alunni; nella situazione di DaD è invece fortemente correlata alla dotazione tecnologica delle famiglie. Va pure detto che la didattica a distanza, se non adeguatamente gestita, tende ad enfatizzare gli aspetti più trasmissivi dell’insegnamento con un inevitabile scivolamento verso un approccio nozionistico alla didattica. La didattica in presenza non è scevra da questi rischi, ovviamente, ma le specifiche coordinate spazio-temporali della DaD accentuano ancor più questi elementi unidirezionali della comunicazione magistrale. Ci sono ovviamente degli “accorgimenti” che possono attenuare questi aspetti; uno di questi, ad esempio, consiste nell’attivare gli studenti nei giorni precedenti la lezione o l’attività didattica, in modo che possano consultare materiale on line che lo stesso docente fornisce loro o che possono reperire direttamente sulla base delle indicazioni date dall’insegnante (ovviamente in relazione all’età degli alunni). In questo caso la lezione viene “costruita” insieme agli studenti sulla base di quanto hanno capito/trovato sull’argomento. Ancora troppo spesso gli studenti vengono considerati meri destinatari dell’attività didattica, più che protagonisti, e la DaD rischia di relegarli in una dimensione di maggiore passività. Un ulteriore aspetto va tenuto presente nella scenografia della DaD, sempre in relazione alla gestione dei tempi. Proprio perché gli elementi trasmissivi rischiano di farla da padrone, i tempi di attenzione potrebbero conoscere livelli ancor più bassi di quanto non succeda nelle situazioni scolastiche ordinarie. È pur vero che i ragazzi oggi sono abituati a stare anche molte ore davanti a un computer, ma le forme di utilizzo sono molto diverse di quanto avviene durante la DaD in quanto le loro possibilità di intervento sul palinsesto sono decisamente molto limitate.
Gli aspetti comunicativi (L. Bertocchi)
Possiamo allora chiederci quali strumenti ha il docente in DaD per cercare di coinvolgere gli studenti. Alcuni non sono poi così diversi da quelli utilizzati in presenza. Partiamo da una constatazione: ogni insegnante è guardato ed ascoltato (si spera!), anche in DaD. Spetta a lui decidere di “operare una messa in scena attiva del proprio corpo”[3] e della propria voce, anziché “essere passivamente esposto agli sguardi”[4] degli studenti. Spetta a lui scegliere di utilizzare consapevolmente gli strumenti che ha a disposizione, cosciente delle reazioni che atteggiamenti e comportamenti possono suscitare. La voce innanzitutto. È lo strumento professionale per eccellenza, fondamentale per ogni docente, anche quando la didattica si realizza a distanza. Cerchiamo di analizzare in che misura e con quali differenze rispetto alle lezioni che tradizionalmente si tengono in presenza. L’insegnamento “è essenzialmente fatto di parole”[5]. Il docente comunica in modi diversi e con diversi scopi:[6]- Di controllo: ordina, comanda, tronca i conflitti.
- Di imposizione: regola, dispone, moralizza, giudica, informa.
- Di facilitazione: chiarisce, mette in evidenza, dimostra, insegna.
- Di svolgimento del contenuto: stimola, apprezza, offre aiuto.
- Di risposte personali: risponde alle domande, accetta le esperienze personali, interpreta, riconosce i propri errori.
- Affettivi positivi: loda, mostra sollecitudine, incoraggia.
- Affettivi negativi: ammonisce, rimprovera, accusa, rinvia.
- L’altezza: riguarda la frequenza del suono e permette di distinguere una voce acuta da una grave, un tenore da un baritono per esempio.
- Il timbro: deriva dall’ampiezza di vibrazioni e permette di riconoscere suoni che hanno la stessa altezza, come una medesima nota suonata da un oboe e da una chitarra rock.
- La velocità di eloquio: riguarda il numero di sillabe pronunciate in un determinato lasso di tempo.
- Il ritmo: e cioè l’alternanza delle velocità in un discorso.
- L’intensità: ci permette di distinguere i suoni deboli da quelli forti.
- Olofrastici: con una sola parola trasmettono un messaggio, come per esempio il gesto “vai via!”
- Articolati: indicano un nome o un oggetto, come quando ad esempio puntiamo il dito per indicare una persona.
- Iconici: rappresentano immagini.
- Arbitrari: che appartengono ad uno specifico linguaggio, come quello dei segni per i sordi.
- Codificati: ai quali attribuiamo precisi significati condivisi.
- Testa: scuotere la testa dall’alto verso il basso indica approvazione, assenso; muoverla invece da destra verso sinistra mostra disaccordo, dinego; inclinarla da un lato, magari guardando negli occhi l’interlocutore, trasmette attenzione, empatia, propensione all’ascolto.
- Occhi: aggrottare le sopracciglia mostra contrarietà, disapprovazione; alzare gli occhi al cielo, magari sbuffando, rivela stizza e irritazione; sollevare un solo sopracciglio indica scetticismo e incredulità; spalancare gli occhi mostra sorpresa o terrore (ma speriamo non sia questo il caso!).
- Bocca: abbiamo un sorriso sardonico, beffardo, persino sprezzante quando gli angoli della bocca sono rivolti verso l’alto mentre lo sguardo rimane serio; un sorriso sincero invece mostra approvazione e incoraggiamento; serrare le labbra, magari mordicchiarsele, rivela disagio.
NOTE
[1]https://www.iccocchilicciananardi.edu.it/attachments/article/591/Oltre%20la%20metodologia-setting%20organizzativo%20e%20clima%20relazionale.pdf [2] https://www.operazionerisorgimentodigitale.it/sites/default/files/pdf/20201130%20Rapporto%20sulla%20Trasformazione%20digitale%20dell’Italia%20-%20esteso.pdf [3] C. Pujade-Renaud (1983), Le corps de l’enseignant dans la classe, ESF, Paris, p. 74 [4] Ibidem [5] G. Ballanti (1979), Analisi e modificazione del comportamento insegnante, Lisciani e Giunti Editori, Teramo, p. 7 [6] M. Maviglia, L. Bertocchi (2021), L’insegnante e la sua maschera. Teatralità e comunicazione nell’insegnamento, Mondadori, Milano, pp. 58-59 [7] G. De Landsheere, A. Delchambre (1981), I comportamenti non verbali dell’insegnante, Lisciani & Giunti Editori, Teramo, p. 37 [8] I. Poggi (1987), Le parole nella testa. Guida a un’educazione linguistica cognitivista, Il Mulino, Bologna, p. 51]]>