Ho fatto l’insegnante di sostegno negli Anni ’80, quindi prima della 104, e posso assicurare che con questa Legge i passi in avanti sono stati enormi rispetto all’organizzazione, al coinvolgimento delle ASL e dei territori, alla dotazione di risorse e altro. Ma poi tutto è rimasto uguale.
È vero che la 104 è stata spesso aggiornata, ma per quel che riguarda la scuola di fatto è sempre la stessa. Si è intervenuti più sull’università ma rispetto all’inclusione scolastica c’è stato solo il DL 66 del 2017, di fatto mai entrato realmente in vigore.
L’unico decreto attuativo approvato, dei tanti previsti, è stato il DM 182, quello sul nuovo PEI, annullato dal TAR. Varie novità introdotte che hanno modificato la L. 104, come le nuove procedure di certificazione, il Profilo di Funzionamento, i GIT, sono ancora inapplicate e inapplicabili, mentre è formalmente abrogato, creando di fatto un pesante vuoto normativo, l’atto di indirizzo del 1994 (DPR del 24 febbraio) che era alla base di molte procedure della nostra inclusione.
La 104 ha trent’anni e per quel che riguarda la scuola è quindi sempre la stessa, anche se la realtà della nostra inclusione (o “integrazione”, come si diceva allora) è profondamente cambiata.
Cominciamo dai numeri: nel 1992 nelle scuole statali c’erano circa 100.000 alunni con disabilità, 112.000 con le private, che rappresentavano poco più dell’1% della popolazione scolastica complessiva. Adesso sono oltre 300.000 (report ISTAT 2022), quindi triplicati in valore assoluto, ma, considerando che la popolazione scolastica nel frattempo è nettamente diminuita, si arriva ora in percentuale al 3,6%, con un incremento quindi assai più marcato.
Nel 1992 gli insegnanti di sostegno erano circa 50.000, adesso sono 180.000. Anche in questo caso è interessante analizzare il dato percentuale (insegnanti di sostegno sul totale degli insegnanti) e si scopre che, essendo diminuito il corpo docente complessivo, la percentuale di quelli di sostegno è aumentata di oltre 4 volte: erano circa il 6% nel 1992 (50.000 su 800.000) mentre adesso sono il 26% (180.000 su 684.000).
Ma non è solo questione di numeri.
Gli insegnanti di sostegno specializzati di cui parlava la L. 104 nel 1992 erano assai diversi da quelli di adesso. Non si vuole ovviamente colpevolizzare nessuno di loro, ma era evidente che quando il legislatore di allora diceva che “Nelle scuole di ogni ordine e grado […] sono garantite attività di sostegno mediante l’assegnazione di docenti specializzati (art. 13 c. 3)” intendeva che ci dovesse essere qualcuno che sa come si fa a insegnare ad alunni con esigenze diverse, e deve quindi leggere e conoscere il braille se c’è un cieco, comunicare efficacemente con un sordo, rapportarsi in modo adeguato con un alunno con autismo ecc.
Nel 1992 gli insegnanti di sostegno si formavano seguendo sostanzialmente gli stessi percorsi dei docenti delle vecchie scuole speciali, i corsi erano ancora biennali anche se da poco erano diventati “polivalenti”, ossia validi per tutte le minorazioni.
Poi, visto che ciechi e sordi erano pochi e la maggior parte dei docenti specializzati non avrebbe mai insegnato a nessuno di loro, si è pensato bene di eliminare tutti gli insegnamenti specifici rinviando ad altre modalità formative, di fatto mai attivate, le formazioni sulle esigenze particolari.
La 104 del 1992 dava enorme importanza al ruolo delle ASL, chiamate non solo a “certificare” gli alunni con disabilità ma a gestire assieme alla scuola (“congiuntamente” diceva il vecchio comma 5 dell’art 12, abrogato nel 2019) tutto il processo di inclusione, dalla progettazione alla verifica degli esiti.
La reale applicazione negli anni successivi è stata molto diversa, con differenze territoriali enormi per cui in certe regioni d’Italia le ASL, spesso sostituite in toto da soggetti privati in convenzione, nelle scuole non hanno mai messo piede fisicamente e di verifiche neppure a parlarne. Il legislatore nel 2017, con il DL 66 confermato nel 2019, ha pensato bene di adeguarsi a questa situazione eliminando la gestione congiunta, lasciando tutta la responsabilità alle scuole e assegnando all’ASL un generico ruolo di supporto. Di fatto mettendo in crisi il servizio anche nelle regioni dove, nonostante tutto, un supporto effettivo, a base di reali incontri, funzionava ancora.
Le differenze territoriali rappresentano oggi una delle maggiori criticità della nostra inclusione, rivelando quanto sia inattuato l’impegno ad assicurare ovunque i diritti fondamentali. Nei cinque articoli della 104 dedicati all’inclusione scolastica, dal n. 12 al n. 16, il termine “garantito”, o espressioni analoghe, è usato una decina di volte ma la realtà è totalmente diversa: oggi il nostro sistema scolastico non riesce per nulla a “garantire” un servizio adeguato di istruzione e educazione per gli alunni con disabilità, ossia a far sì che in qualsiasi situazione, in ogni scuola l’Italia, il livello delle prestazioni risponda a livelli minimi di erogazione. Ne risulta un quadro molto diversificato, anche nello stesso territorio, con scuole distanti tra loro solo pochi chilometri che possono offrire servizi radicalmente diversi, dall’eccellenza educativa e inclusiva, a forme sistematiche di ghettizzazione dell’alunno disabile e del suo insegnante di sostegno.
Dal 2014 gestisco, con alcuni collaboratori, un gruppo Facebook[1] di consulenza sulla normativa che regola la nostra inclusione scolastica, destinato a insegnanti e genitori, e mi arrivano ogni giorno tante testimonianze allarmanti, con storie di disservizi e di esclusione.
Ne riporto solo una, di pochi giorni fa:
Mio figlio rientra nello spettro autistico, asperger alto funzionamento. Doveva avere 5 ore e mezza di sostegno ma per tutta una serie di circostanze il maestro è stato presente solo il primo mese, poi sospeso ufficialmente a gennaio.
Le maestre non hanno mai seguito le indicazioni della terapista, rendendo il clima pesante… Il bambino è in continuo sovraccarico e si sono manifestati diversi comportamenti “problema” che hanno gestito con note disciplinari.
Di fronte all’ennesima giornata no, ieri all’uscita mi è stato chiesto dalle insegnanti di tenerlo a casa, in quanto la sua presenza a scuola richiede solo una sorveglianza, visto che non vuol più lavorare.
Premetto che a casa o a terapia, a parte la tensione che deriva da questo vissuto scolastico traumatico, è un bambino assolutamente diverso.
È giusta questa richiesta delle insegnanti, di non farlo frequentare? Se non lo vogliono a scuola posso chiedere almeno la DAD?
In sintesi: ci sono genitori che raccontano di un figlio con disabilità, lasciato senza sostegno ma allontanato da scuola perché nessuno lo sa tenere, che chiedono se è possibile avere almeno la DAD.
Cosa è cambiato dal 1992? Vuoi mettere: adesso abbiamo la DAD!
[1] “Normativa inclusione” https://www.facebook.com/groups/1500673850185239