di Antonio Valentino Tra dati di fatto e percezioni fondate Sulla questione ‘nuova emergenza Covid’, considererei soprattutto i seguenti aspetti:
- Il dato di fatto con cui anche la scuola è costretta a confrontarsi in queste settimane – con la variante ‘Omicron’ che impazza – è che l’uscita dal Covid non ci è ancora dato di vederla all’orizzonte, come si pensava fino ad alcune settimane fa grazie alla vaccinazione di massa in atto da mesi.
- Comunque la crescita percentuale del contagio nelle ultime due settimane (10-16 e 17-22 gennaio) ha continuato a scendere: vi sono ormai “evidenze certe di una decelerazione della curva epidemica, in linea con quanto osservato in altri Paesi” (Franco Locatelli, Coordinatore del CTS)
- È percezione fondata che il contagio con l’ultima variante non sembra comportare i rischi gravissimi (persone in terapia intensiva e esiti letali) delle prime ondate, a seguito delle misure adottate.
- Le consapevolezze dell’attuale situazione – a. la convivenza obbligata col virus però depotenziato nei suoi esiti più dolorosi (il riferimento è alla variante ultima, la più contagiosa); b. gli strumenti di difesa dal Covid sempre più disponibili e mirati – è condizione di un diverso sguardo anche sul futuro prossimo del mondo scolastico.
- alla necessità di superare, nella professione docente, comportamenti autoreferenziali e individualistici, sempre molto diffusi, e di rendere abituali pratiche cooperative e interazioni e, insieme, cura del contesto (i suoi spazi e loro dotazioni), come condizioni per migliorare la partecipazione degli studenti alla vita della scuola e qualificarne la formazione culturale e sociale;
- ad una idea di scuola in grado di coltivare – attraverso misure e riconoscimenti opportuni – la sua autonomia non solo didattica e organizzativa, ma anche ‘di ricerca sperimentazione e sviluppo’ (recupero pieno di quanto prevede l’art 6 del Regolamento del DPR 297/99); e di liberarsi dalla vocazione impiegatizia ancora persistente tra i suoi operatori;
- ad una filosofia progettuale, per quanto riguarda il ricorso al digitale, che evidenziasse la necessità di un approccio metodologico volto sia a sviluppare la “capacità di imparare a valutare le potenzialità d’uso, le implicazioni etiche, economiche e sociali delle nuove tecnologie”, sia a favorire “la contaminazione fra strumenti nuovi e vecchi, tra digitale e analogico, senza contrapposizioni ideologiche e con un approccio pragmatico” [3].
- la prevalenza della lezione fatta di spiegazione-compiti-interrogazione-voti (oggi un po’ in crisi, ma mica poi tanto) e quindi
- la poca diffusione della diversificazione delle strategie di insegnamento e apprendimento e la scarsa attenzione alla relazione di reciprocità (per quanto necessariamente asimmetrica) nella gestione degli studenti;
- la non generalizzata attenzione al principio di cura, almeno nei termini in cui andrebbe più efficacemente coltivato;
- la insufficiente attitudine a diffondere e valorizzare le esperienze più significative che pure nelle scuole si realizzano, senza però (quasi) mai farle diventare patrimonio comune e pratiche diffuse.
- la dimensione collettiva e sociale del lavoro – e dell’apprendere attraverso il lavoro e le esperienze sul lavoro – ai diversi livelli (si pensi soprattutto alle articolazioni funzionali del collegio: dai consigli di classe/interclasse ai dipartimenti e ai gruppi di progetti o di coordinamento -; ma anche al lavoro d’aula),
- l’attitudine al diffondersi, anche solo a titolo sperimentale, delle pratiche più efficaci.
Concludendo
A questo punto – se non si vuol dare per scontato che le parole d’ordine della ‘ripartenza’ qui spesso richiamate abbiano definitivamente perso valore e senso, e non debbano quindi trovar posto neanche in seguito, nell’agenda delle scuole, iniziative volte a tenerne viva l’attenzione – c’è da chiedersi in qual modo e con quali prospettive recuperare, sulle tematiche che le considerazioni svolte ripropongono, almeno dentro l’orizzonte dei ‘memoranda’ (dalla relazione all’apprendimento organizzativo, dalle strategie plurali dell’insegnamento alla ricerca-azione …), filoni di ricerca e teorie, più o meno recenti, in grado di offrire stimoli e strumenti per fronteggiarle – tali tematiche – con maggiori cognizioni di causa. Riguardo specificamente ad esse, si vogliono qui richiamare, in aggiunta alle segnalazioni precedenti e in prima battuta, gli studi e le sperimentazioni, nell’ambito delle teorie sociologiche della conoscenza, sviluppati soprattutto negli Stati Uniti[5] – a partire indicativamente dagli anni 70 del secolo scorso e proseguiti anche nel nuovo millennio. Studi e ricerche che hanno coinvolto accademici e ricercatori/studiosi di altri paesi e anche di alcune nostre università[6]. Da sottolineare qui in modo particolare, oltre alle loro innovative elaborazioni sulle problematiche sopra richiamate, i loro contributi sul fronte della formazione nella dimensione ‘situata’, sul campo, in quanto condizione particolarmente stimolante per una cultura professionale degli insegnanti attenta ai bisogni formativi e alle attese di studenti e territorio. Annotazioni, queste ultime, volte a sottolineare – concludendo – che nessuna eventuale ‘ripartenza’ può’ avere sviluppi importanti e innovativi con la semplice logica del fai da te; senza cioè recuperi e ri-appropriazioni di studi, ricerche, esperienze, che siano promettenti quanto a stimoli, allargamento d’orizzonti e proposte operative. NOTE [1] “Ricerche condotte in tutto il mondo e con dovizia di dati e numeri anche in Europa (…), ci dicono che il prolungarsi di questa fase di pandemia, con il suo carico di ansie, paure, limitazioni, riaperture e nuove chiusure, ulteriori richiami di vaccino, incertezza sul futuro, sta producendo ferite gravi e profonde nel mondo dell’infanzia e dell’adolescenza” (D. Missaglia, Allarme rosso, in www.proteofaresarere.itnewsnotizie 13.1.2022). In questo contributo il Presidente nazionale di Proteo Fare Sapere esplicita il concetto di pandemia secondaria che “indica la vasta gamma di conseguenze psicologiche, relazionali, emotive, cognitive che risultano compromesse dal prolungarsi della pandemia. Secondaria (…) non per importanza minore rispetto alla pandemia che produce ricoveri in terapia intensiva e decessi quotidiani…”. [3] Sulle proposte al riguardo ho condiviso soprattutto l’elaborazione del cap. 3 (Il Digitale “Senza se e senza ma, pp. 50-55) del Rapporto finale del 13 luglio 2020: “Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro rapporto finale”, del Comitato di esperti D.M. 21 aprile 2020. Coordinamento: Prof. Patrizio Bianchi. Le parti virgolettate sono state stralciate integralmente dal Rapporto. [4] Non sono ovviamente le nostre scuole le prime indiziate, perché soprattutto altrove vanno individuate le maggiori responsabilità al riguardo. [5] I nomi d’obbligo per quanto riguarda questo filone di ricerca sono – come si ricorderà – quelli di Donald Schön e di Chris Argyris, da noi noti non solo in ambito universitario. Ai quali vanno affiancati Jean Lave e Etienne Wenger, i cui contributi di ricerche e studi, nei decenni soprattutto a cavallo del 2000, sono confluiti nella elaborazione del concetto di Comunità di pratica. Nel quale è fondamentale il fattore solidarietà organizzativa tra soggetti che operano nello stesso ambito e si aggregano perché motivati/sollecitati a migliorare la propria pratica professionale. Le pubblicazioni più citate: C. Argyris, D. Schon, Apprendimento organizzativo, Guerini e Associati, Milano, 1998; A.D. Schön, (1999) Il professionista riflessivo: per una nuova epistemologia della pratica, Bari, Dedalo; Lave, J & Wenger, L’apprendimento situato. Dall’osservazione alla partecipazione attiva nei contesti di apprendimento. Erickson, 2006 (prima pubblicazione: Cambridge University Press, 1991); E. Wenger, R. McDermott, & W. M. Snyder, Cultivating Communities of Practice, Coltivare Comunità di Pratica. Prospettive ed esperienze di gestione della conoscenza, guerinNext editore, 2007 (prima pubblicazione: HBS Press 2002). [6] In campo universitario mi piace ricordare – ma sarebbero ben più numerosi i nomi da citare – soprattutto Francesco De Bartolomeis e Piero Romei; il primo in modo particolare per ‘La Didattica come antipedagogia’ e per la sue pubblicazioni sul lavorare in gruppo; il secondo, per ‘La scuola come Organizzazione’ in cui si sviluppa la nozione di Unità operativa, avvicinabile, con qualche approssimazione, al concetto di ‘Comunità di Pratica’ di Wenger e Lave. Su autonomia e organizzazione della scuola nella prospettiva di comunità di pratica, pubblicazione ancora stimolante: L. Benadusi, R Serpieri, (a cura di), Organizzare la scuola dell’autonomia, Carocci 2000, con contributi, oltre che dei curatori, di M. Tomassini, A.M. Ajello, V. Ghione, ….. Di quegli anni anche, P.G. Ellerani, La costruzione della comunità di apprendimento sostenuta dal Cooperative Learning. Progetto avviato dalla Provincia di Torino – A.s 97-98, proseguito nel 2003-2005.]]>