Valutazione nella scuola primaria: non c’è formazione senza sperimentazione (e viceversa)

di Stefano Stefanel

Quest’anno ho avuto una prima grande fortuna, cioè quella di essere chiamato dalla dirigente scolastica Daniela Venturi dall’Ambito 13 della Toscana (Provincia di Lucca) a tenere un corso di formazione sulla valutazione nella scuola primaria, cui hanno partecipato docenti di scuola primaria degli Istituti comprensivi di Porcari, “Piaggia” di Capannori e di Lucca (IC 3 e IC 4): questo corso si è tenuto tra fine maggio e fine giugno a cavallo degli scrutini ed ha permesso di valutare il processo di valutazione prima e dopo la redazione della scheda sperimentale.
Ho avuto poi una seconda grande fortuna, cioè quella di essere chiamato dalla dirigente scolastica Martina Guiducci e dalla maestra Alessandra Galvani a tenere un corso di formazione per l’Istituto comprensivo di Montefiorino (Modena), cui hanno partecipato docenti di scuola primaria e una docente di scuola dell’infanzia.
La terza grande fortuna di quest’anno è stata l’assegnazione della reggenza presso l’Istituto comprensivo di Pasian di Prato (Udine), dove – grazie alla grande collaborazione di tutte le docenti della scuola primaria coinvolte dalle coordinatrici didattiche di sede Elisa Fain, Luisa Del Torre, Anna Barbetti e Valentina Moretti – abbiamo avviato in brevissimo tempo una importante sperimentazione dividendo l’anno scolastico in due periodi disomogenei (dal 16 settembre al 31 ottobre e dal 2 novembre all’11 giugno) e quindi redigendo una sintetica scheda diagnostica che verrà trasmessa ai genitori ai primi di novembre.

Da questo privilegiato punto di vista ho potuto affrontare in modo disteso e approfondito tutte le tematiche connesse alla valutazione per obiettivi, tenendo comunque sempre di vista le Linee guida ministeriali del 4 dicembre 2020 e l’ultimo numero della Rivista dell’Istruzione (2/2021) curato dall’amico Giancarlo Cerini poco prima di lasciarci. I due corsi di formazione e l’attività sperimentale hanno messo in luce alcuni elementi di questa sperimentazione, che non mi pare inutile affrontare in questo intervento di metà autunno.

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Errori a scuola e valutazione formativa

di Raimondo Giunta

“Gli errori sono le porte della scoperta”(J.Joyce)
“Pensare è andare da un errore all’altro”(Alain)
“Lo Spirito scientifico si costruisce su un insieme di errori rettificati”(G.Bachelard)
“Se gli uomini sono i soli a poter fare gli errori, sono anche i soli a poterli correggere”(G.Le Boterf).

Di simili citazioni se ne possono raccogliere tante altre, ma a scuola non si è riusciti a correggere il convincimento che l’errore sia una colpa di cui si deve rendere conto e di cui si deve pagare la pena, anche se come ci ricorda A.Giordan sono cinque secoli che l’errore è considerato come inevitabile nell’atto di apprendere, come inerente ai suoi processi.
Gli errori non sono colpe da condannare, nè imperfezioni da disprezzare.
Sono sintomi interessanti degli ostacoli con i quali si confronta il pensiero degli alunni.
Si collocano dentro il processo di apprendimento e indicano il progresso concettuale che bisogna ottenere (J.P.Astolfi).

L’ostacolo incontrato e non superato ha lo statuto di indicatore e di analizzatore dei processi intellettuali in giuoco.
L’errore segnala a volte un’incomprensione delle consegne da parte degli alunni o il loro disinteresse per l’argomento trattato o ancora la loro lontananza dalla cultura della scuola.
Può essere l’affiorare di concezioni proprie dell’ambiente umano e sociale di provenienza degli alunni; è prova del loro modo di ragionare.

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Signora mia, non c’è più la scuola di una volta: la ragione astuta del sociologo illustre (…e famiglia)

di Franco De Anna

C’è una intuizione di fondo nelle argomentazioni utilizzate da Luca Ricolfi in una intervista rilasciata al Giornale sul libro da lui scritto insieme alla prof.ssa Paola Mastrocola (consorte).
Nella sua formulazione “la scuola progressista” (quella del “tutti a scuola” … quella “promozionale” donmilaniana) è generatrice e di disuguaglianza sociale e di deterioramento culturale generale.

Sollecitato dall’intervistatore enumera tutti di diversi tentativi di riforma scolastica, a partire dalla Media Unica con la scomparsa del Latino, come fonte del progressivo degrado
Si tratta di affermazioni, sgradevoli per alcuni, ma che contengono una base di verità.
Non scoperta da Ricolfi certamente, ma ben prima e da un molto autorevole protagonista.

Ricordo un episodio primi anni ’70 (cruciali nella analisi “scientifica” di Ricolfi)
Parlavo di scuola con un operaio siderurgico (allora facevo un altro mestiere), ed egli con anticipato acume rocolfmastrocoliano, battendo con forza il dorso di una mano sul palmo dell’altra, quasi a voler rappresentare fisicamente il concetto, mi diceva (mi scuso per il suo dialetto lombardo…) “pu sè slarga, pu sè sbasa” (più si allarga, più si abbassa).
Intendeva dire (aveva fatto la vecchia scuola) che secondo lui vi era il rischio, con la scuola di massa, che accadesse ciò che accade su una incudine battendo il martello su un pezzo di ferro incandescente.
Sotto le martellate si allarga certo il perimetro del pezzo. Ma se ne abbassa lo spessore.

Insomma, Ricolfi ha copiato il concetto.
Allora, per completare il ricordo di quella discussione di scuola con e tra operai metalmeccanici (i chimici, si sa, erano più “raffinati”), potrei ripetere a Ricolfi ciò che dissi a loro.
Che avevano assolutamente ragione: il problema era non pensare sempre allo stesso “pezzo” che per allargarlo bisogna abbassarlo…e non pensare sempre allo stesso mezzo (incudine e martello).

Una “vera riforma” avrebbe dovuto cambiare sia “mettendoci più materiale” sia cambiando gli attrezzi.
La parte che Ricolfi tace è invece proprio questa: gli effetti che lui descrive sono dovuti al fatto che si siano voluti dare compiti e significati di crescita, promozione, emancipazione sociale, mantenendo in sostanza la struttura e lo strumento e il contenitore, semplicemente “forzandone” l’ingresso, l’uso e il perimetro, non con “riforme strutturali” ma con “manutenzione” più o meno adeguata (responsabilità anche di parte della cultura progressista).
Naturalmente all’occhio “sociologico” ricolfmastrocoliano, è di scarsa rilevanza che il “compagno” siderurgico che affermava la sua stessa osservazione (…pu sè slarga….) abbia acquisito anche “la terza media” approfittando di una delle poche ipotesi di (potenziale) innovazione strutturale come le 150 ore.

Perché è difficile (o forse impossibile) “convincere” i no vax. Il ruolo della scuola

di Pietro Calascibetta

Parlare di no vax a scuola può essere un argomento spinoso in questo momento perché può sembrare divisivo, ma mi domando se è più divisivo parlarne o non parlarne e lasciare che sia il convitato di pietra della relazione educativa. Nelle superiori ci saranno sicuramente studenti no vax e in tutti i cicli genitori no vax.

Il non parlare con gli studenti di un problema che li coinvolge come persone e come cittadini non è mai una buona soluzione a tutte le età. Proprio per questo è necessario a mio avviso trattare comunque la questione, ovviamente con i dovuti modi nei diversi cicli.
Chi, se non la scuola può affrontare l’argomento in modo formativo al di fuori dalle strumentalizzazioni, abituando i ragazzi ad argomentare piuttosto che ad affermare certezze recuperate con il taglia e incolla dai social. Vogliamo lasciare questo compito ai talk show?
Un approccio orientato alla ricerca su questo tema è quello che meglio può permettere di costruire un percorso di riflessione in grado di favorire un confronto democratico senza correre il rischio di rinfocolare le divisioni. Provo allora a toccare quelli che possono essere gli snodi strategici di un percorso.

I MOTIVI DELL’ALTA TENSIONE

Per prima cosa penso sia importante partire dalla presa d’atto della tensione che si è creata nel Paese in questi mesi, cercando di capire se e come gli studenti la percepiscono è successivamente perché si è creata.
L’opposizione di molti alla somministrazione dei vaccini era ben presente da tempo in Italia, soprattutto l’opposizione all’obbligo vaccinale per i bambini, come il mondo della scuola sa bene poiché ha dovuto far fronte al problema delle famiglie che non volevano sottoporre i propri figli alle vaccinazioni obbligatorie, tanto che la Ministra Lorenzin ha dovuto predisporre il decreto n. 73/17 per ribadirne l’obbligatorietà e fissare le modalità di controllo e sanzione per i non adempienti.
Avverso il decreto è stato addirittura presentato un ricorso alla Corte Costituzionale dalla Regione Veneto, non da un cittadino qualunque, ma da un’istituzione.

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Le 25 ore di formazione sull’inclusione: come farle fallire nell’indifferenza generale

L’amico e collega Mario Maviglia, in un recentissimo articolo su Nuovo Pavone Risorse dal titolo “Come uccidere la formazione senza essere scoperti” descrive criticamente le 25 ore di formazione “obbligatoria” sulla disabilità previste dalla Legge finanziaria 2021 (10 milioni di euro) che sta insabbiandosi per i niet sindacali sul “contratto dovere-diritto”, cioè il nulla e per una organizzazione arruffata e frettolosa che dovrebbe concludersi….da oggi entro metà novembre, perché i ragionieri del MIUR devono rendicontare.
Riprendo il tema con grande tristezza.

Ad un anno dalla finanziaria, dopo discussioni infinite esce un corso militarizzato e generico offerto ai docenti curricolari che nulla sanno di disabilità. Lo scopo sarebbe quanto mai nobile: sensibilizzare anche i curricolari su un tema inclusivo delicatissimo perché troppo spesso “delegano” ai poveri “sostegni” l’inclusione facendo finta di nulla. Nel suo piccolo, sarebbe stata un’occasione d’oro, se pensata bene, di un primo dovere deontologico da espletare ampliando la conoscenza per tutti di un tema molto delicato. Mi sarei atteso dai sindacati (almeno quelli confederali, quelli dei soi disant “diritti”) un’attenzione diversa dei niet a priori, ma invece un’attenzione maggiore alla qualità formativa, visto la delicatezza “sociale” del tema.
Il Ministero è così “strano” che nell’ ultima circolare “invita” gli insegnanti curricolari a partecipare e con questo verbo crea confusione massima se si deve o si può. Insomma il rischio è di corsi in fretta e furia (la sveltina pedagogica) e realizzata nel caos gestionale sul diritto/dovere.

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