La scuola è una pubblica amministrazione da riformare?

di Stefano Stefanel

La scuola è una pubblica amministrazione da riformare?  Da un punto di vista teorico la risposta dovrebbe essere positiva, visto che nel complesso, tra dipendenti di ruolo e dipendenti precari, la scuola ha una pianta organica di circa 1.200.000 dipendenti. La sua composizione mista la porta ad erogare servizi di tipo non commisurabile, come sono quelli dell’educazione, della formazione e dell’apprendimento, collegati a quelli di carattere economico e fiscale, più simili alle altre pubbliche amministrazioni dello stato. Permangono però nel mondo della scuola alcune evidenti anomalie come quella di 8.000 dirigenti scolastici inseriti in una fantasmagorica Area V della dirigenza pubblica, ben lontana da quelle Aree I e II che contengono i dirigenti di altri segmenti della pubblica amministrazione. Ci sono, poi, molte alte incongruenze, che spesso fanno ritenere che la scuola non sia una vera e propria pubblica amministrazione. E infatti i dirigenti scolastici posti in capo alla scuola subiscono i carichi negativi delle pubbliche amministrazioni (responsabilità patrimoniali, qualifica di datore di lavoro al fine della sicurezza, responsabilità nella privacy, nella ricostruzione delle carriere a fini pensionistici, ecc.), senza beneficiare di quelli positivi (stipendi, mobilità tra pubbliche amministrazioni, middle management a loro disposizione con chiari compiti e responsabilità, ecc.).

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Una idea di giustizia

di Raimondo Giunta

    • Le sofferenze, i disagi e le preoccupazioni che la pandemia sta seminando in ogni angolo della terra rende nelle coscienze più avvertite necessaria una riflessione sulle condizioni di debolezza delle istituzioni democratiche, mostrate nell’affrontare una sciagura che ha sconvolto la vita di moltissime nazioni ed ha allargato il fossato delle disuguaglianze . Una riflessione che per forza di cose ci conduce ai problemi della giustizia  sociale, dopo qualche decennio di abbandono sistematico . I partiti e i sindacati, nati nel suo segno, dovrebbero essere i primi a farla e dovrebbero aver preso coscienza che è stato alto il prezzo pagato  per avere allentato e diluito i rapporti  con le proprie tradizioni; i primi col ridimensionamento del peso politico, i secondi con  la perdita di consensi e di iscritti.  Pagano, soprattutto i partiti, per essersi fatti testimoni e garanti della promessa di buone occasioni per tutti, proclamata ad alta voce dall’imperante neo-liberismo.  Non è bastato, però, suonare la fanfara per i nuovi diritti civili conquistati, per occultare la miseria dei risultati ottenuti.  E’ stato un grave errore, perchè i diritti civili non possono e non devono essere messi in rotta di collisione con quelli sociali.

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La pandemia pedagogica

di Raffaele Iosa

In questi ultimi tre giorni ho ricevuto molte telefonate e mail da dirigenti scolastici, insegnanti e genitori su cosa (di brutto) sta accadendo in molte classi a seguito del “ritorno a casa” di molti bambini e ragazzi del primo ciclo per via delle zone neo-rosse e la diffusione della “variante inglese”.
In un clima d’ansia collettiva e di forte incertezza, assisto ad una “frenesia curricolare” nelle Dad in corso ben diversa dall’epoca di primavera 2020 che ho chiamato della “didattica della vicinanza” con una generosa azione dei docenti più legata alla relazione educativa che al completare il “programma”. Oggi invece mi raccontano di una specie di una “pandemia pedagogica” di iper curricularismo online di dubbio valore.
Per esempio in una 2ª primaria a tempo pieno 8 ore di lezione online tendenzialmente frontale, con 15 minuti di pausa tra un’ora e l’altra. Sconcertante.

Provo in breve a spiegarmi il perchè di tutto questo.

1. Un’insufficiente fase di riflessione pedagogica sugli eventi scolastici febbraio-giugno 2020 ha prodotto una ripresa delle lezioni a settembre con l’ansia del “recupero del programma” e l’ansia della sicurezza limitante. Da qui in forte aumento di lezioni frontali e di compiti per casa, favoriti anche dal fatto che le regole sanitarie strette in classe riducevano di molto la flessibilità didattica e la progettualità (es. progetti interdisciplinari, uscite, ecc…). Ci vedo perfino una buona fede nei docenti, anche perché i “messaggi” sul recupero o l’allungamento dei giorni di scuola pareva implicitamente criticare gli insegnanti. Si è quindi fatto troppo di jn curricolo tornato duro e lineare.

2. Questa pandemia pedagogica sembra continuare anche adesso in questa seconda peste che inizia questa settimana ma rischia di durare a lungo. Quindi molte ore di Dad, lezioni frontali online, relazione educativa addio. Con effetti depressivi per tutti, anche dei genitori. È evidente che questa seconda primavera di Covid è più dura e pessimista della precedente, ma proprio per questo merita riflettere e rallentare, flessibilizzare e addolcire questa pandemia dell’online direttivo.

3. Lo stato d’animo, lo stress, le depressioni e le tristezze nei nostri bambini e ragazzi sono in aumento. Servirebbe anche nell’online una vicinanza dialogante e rassicurante senza l’ansia nevrotica dei programmi.
Per questo il mio messaggio è di riflettere bene su una fase più drammatica della precedente. Più relazione educativa attivistica, più I CARE donmilaniano che tabelline, capitoli di storia, compiti per casa.

Scuola e varianti, “lo scudo Azzolina” funziona ancora?

di Gianfranco Scialpi

Scuola e varianti. La situazione sembra cambiata. Le protezioni messe in atte dall’ex Ministra Azzolina funzionano ancora? La risposta sembra negativa. Resta, però il dubbio.

Scuola e varianti, siamo di fronte a un “cambio di passo” del virus

Scuola e varianti. Stiamo assistendo a un “cambio di passo” del virus. Intendiamoci non è il risultato di un soggetto pensante.
E’ nella natura di qualunque virus, e non solo, di adattarsi alle situazioni, modificando la propria strategia d’attacco.
“Il cambio di passo” del virus sta preoccupando i virologi e il Cts.
In entrambi i casi mi riferisco alle componenti che erano più scettiche fino a un mese fa sui contagi generati internamente dalla scuola. Il virus ha appreso come contagiare maggiormente le persone molto giovani (bambini e adolescenti). Quest’ultimo aspetto è confermato dai dati: “I dati dell’Istituto superiore di sanità sono emblematici: il 17,5 per cento dei nuovi casi positivi, nell’ultimo mese, è rappresentato da under 18, dunque da studenti. Questa percentuale, nei primi mesi della pandemia, era attorno al 2-3 per cento. Oggi un positivo su 5 è un giovanissimo a conferma che la variante inglese corre più facilmente tra i banchi. ” (Il Messaggero, 24 febbraio).
Considerato il cambio di scenario il Cts si è riunito ieri.
Queste le conclusioni: “Si stringe il cerchio intorno alle scuole e, questa volta, alle scuole dei più piccoli, materne ed elementari che fino ad ora, a parte per le quarantene, erano rimaste sempre aperte. Ora l’indicazione è di alzare ulteriormente la guardia e di adottare misure più drastiche nelle zone – anche soltanto Comuni o province – dove la situazione dei contagi, con le nuove varianti, rischia di andare fuori controllo. Sono queste le conclusioni alle quali è arrivato ieri il Cts, che si è riunito per affrontare il tema su richiesta del governo in vista del nuovo Dpcm che sarà in vigore sabato prossimo” (Il Corriere della Sera, 28 febbraio).

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Rai Scuola: di tutto, (ma) di meno

di Marco Guastavigna

La sindemia ha fatto un’altra vittima.

La Rai ha compiuto una scelta davvero molto discutibile, disattivando completamente la sezione fino a qualche mese fa dedicata alla produzione e alla raccolta di contenuti interattivi prodotti da singoli utenti della sua piattaforma per la costruzione di lezioni multimediali, di cui troviamo ancora una pallida ed ectoplasmatica testimonianza grazie a Wayback Machine.

Utilizzando i vecchi indirizzi, si viene ora proiettati all’interno dell’insieme dei materiali per la scuola prodotta direttamente da Rai Play.
Davvero un vulnus alla didattica.

Non solo perché non aver nemmeno avvisato della decisione le centinaia di insegnanti—tra cui il sottoscritto e numerosi colleghi, a diverso titolo corsisti di TFA, Prefit, Specializzazione per il sostegno — dimostra quale sia l’effettiva considerazione da parte dell’ente radiotelevisivo a proposito di chi non è un professionista della comunicazione.
Ma anche e soprattutto perché il meccanismo sacrificato testimoniava un approccio davvero utile e lucido: la mediazione didattica come autorialità indiretta.

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Caro Ministro, dica qualcosa di scuola 

di Mario Maviglia

 

Ad ogni cambio al vertice del Ministero dell’Istruzione si crea un’attesa quasi messianica rispetto a quanto è chiamato a fare il nuovo Ministro. Anche nei confronti del neo Ministro Patrizio Bianchi ci si aspetta che risolva, quasi magicamente, problemi antichi, ulteriormente appesantiti dalla pandemia. Lo stesso Ministro, che nel 2020 ha coordinato il Comitato degli esperti del Ministero per la ripartenza della scuola, ha elencato, in un agile volumetto edito lo scorso anno [1], i mali che affliggono la scuola italiana.

Tenendo comunque conto dell’orizzonte temporale entro cui potrà agire l’attuale compagine governativa (due anni), è alquanto illusorio pensare che il nuovo inquilino di viale Trastevere possa affrontare una lista di problemi che nel tempo si è ampliata in modo preoccupante. Basterebbe, dal nostro punto di vista, mettere mano, in tempi stretti, ad almeno tre importanti situazioni critiche per dare un po’ di fiducia al mondo della scuola e per dare il segno tangibile che si vuole cambiare rotta.

Il primo riguarda la necessità di avere tutti i docenti in cattedra (di ruolo o non di ruolo) dal 1° settembre o comunque all’inizio delle lezioni, come peraltro ha dichiarato lo stesso premier Draghi nel corso delle consultazioni per la formazione del nuovo Governo. Finora non vi è stato Ministro che non abbia promesso ciò, ma la realtà è sotto gli occhi di tutti. Questa sarebbe una vera riforma epocale per la scuola, peraltro a costo zero; anzi, per alcuni versi sarebbe l’esaltazione della banalità dell’ordinaria amministrazione; è come affermare che per far andare i treni ci vogliono i macchinisti. A ben considerare, il D.Lgs 297/1994 all’art. 455 comma 12 già prevede che ”è fatto divieto di spostare personale titolare nelle dotazioni organiche aggiuntive, dopo il ventesimo giorno dall’inizio delle lezioni, dalla sede cui è stato assegnato”.
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Lucia Borgonzoni al Ministero della Cultura è un’ottima scelta: vi spiego perché

di Mario Maviglia

Gentile Presidente del Consiglio,

molti connazionali hanno avuto da ridire sulla nomina della senatrice Lucia Borgonzoni della Lega a Sottosegretaria alla Cultura.
Sì, certo, la signora in questione, nella puntata del 28/06/2018 della trasmissione radiofonica Un giorno da pecora, aveva candidamente affermato che non leggeva un libro da tre anni (per la cronaca, ultimo libro letto Il Castello di Kafka)[1], ma nessuno dei connazionali ha colto la sottile e quasi machiavellica mossa che ha portato alla decisione della nomina della senatrice a quel prestigioso incarico e che lei, Gentile Presidente, ha avallato.
Cerchiamo di spiegare ai lettori cosa c’è dietro. Sicuramente non le sarà sfuggito, Gentile Presidente, che in Italia si legge poco, come peraltro è facile verificare raccogliendo dati in rete[2].
Ma chi può contrastare questa tendenza così deleteria per il progresso civile e culturale del Paese se non una persona che legge poco a sua volta! Qui sta la trovata geniale della nomina della senatrice Borgonzoni a Sottosegretaria.
Infatti solo la senatrice può comprendere empaticamente dall’interno i meccanismi di difesa che vengono messi in atto nei confronti della lettura; può decodificare gli stati psico-cognitivi che spingono tanti italiani a non leggere; può fornire un repertorio fattuale ed empirico delle ragioni del disamore verso la lettura.

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