Figure di sistema: questa volta partiamo dal problema

di Pietro Calascibetta

 

Perché uno   status specifico per le  figure di sistema?

L’articolo di Antonio Valentino Figure di sistema e questione organizzativa. Farci i
conti”
, del 17 maggio scorso è un utilissimo contributo per il dibattito che per fortuna, anche se con fatica, si fa strada rispetto all’opportunità o meno di assegnare un vero e proprio status giuridico e una tutela contrattuale ad alcune figure già presenti nell’organigramma delle scuole e variamente definite (di sistema, obiettivo, strumentali, referenti ecc.) che   svolgono negli istituti oltre all’insegnamento un lavoro di coordinamento o di organizzazione.

L’articolo è una sintesi delle proposte, dei punti vista e delle questioni sul tappeto e può ben definire il perimetro entro cui aprire una discussione.
Perché non rimanga però solo un dibattito o uno scontro astratto tra opinioni è bene a mio parere entrare un po’ più nel merito della questione per capire se ciò di cui stiamo parlando riguarda solo il personale scolastico ed è quindi una questione sindacale, un interesse di categoria come tanti, seppur legittimo, o riguarda anche e soprattutto la qualità del servizio scolastico e il futuro degli studenti in presenza di un evidente problema di funzionamento della scuola testimoniato dall’alto tasso di dispersione ed è quindi anche un interesse collettivo che impone di superare certe rigidità.

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I Bimbisvegli di Serravalle d’Asti raccontano la loro storia

di Giampiero Monaca

Siamo la comunità educante della Scuola Primaria Statale di Serravalle d’Asti.
Scriviamo per raccontarvi una piccola storia felice chiedendovi di unirvi a noi per trovare una soluzione agli inevitabili inciampi che si presentano sul sentiero di chi ama camminare e si mette in cammino senza aver paura delle salite.

Fiduciosi, chiediamo che questa modalità didattica possa essere accolta nella sua sostanza e riconosciuta per il suo valore, da organi istituzionali di ricerca o di valorizzazione delle avanguardie educative, in modo tale da tutelarne l’impianto pedagogico e le sue specificità didattiche e metodologiche.
Chiediamo che a settembre 2021 si possa tornare a far scuola serenamente, vedendo pienamente riconosciuto Bimbisvegli come progetto praticabile, senza dover costantemente temere nuove avvilenti limitazioni, affinché non vada perduta questa opportunità di didattica che ha come unico scopo il benessere delle generazioni future ed un contributo allo sviluppo di una società cooperativa e solidale
Siamo seriamente preoccupati per la sopravvivenza del progetto Bimbisvegli all’interno di questa Piccola Scuola di frazione che amiamo, ritenendo la scuola un bene comune prezioso e prioritario.
Vi aspettiamo fiduciosi

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L’impresa difficile dell’interdisciplinarità

di Raimondo Giunta

Il ministro Bianchi spinge vigorosamente perché nelle scuole secondarie di primo e secondo grado vengano abbattute le frontiere esistenti tra le discipline e si cominci a praticare convintamente l’interdisciplinarità per mettersi finalmente dietro le spalle l’ultimo baluardo del fordismo a scuola, costituito dai curricoli fondati sulla separazione e diversità delle discipline.
L’aveva detto in Parlamento e lo ha ripetuto il 28 maggio ad un seminario INPS sul tema “Una valutazione efficace come condizione per una efficace coesione sociale”.
Di interdisciplinarità a scuola si parla da tempo e da tempo si pratica con relativo giudizio, ma a nessuno è venuto in mente, se non sbaglio, che questo è un modo certo per regolare i conti col fordismo, se non altro perché i curricoli con discipline distinte e separate esistono da tempo immemorabile, da quando ancora non si sapeva e non si sperava che ci si sarebbe spostati da un posto all’altro con le automobili. Il ministro parla di interdisciplinarità come di un’impresa facile da mettere in cantiere.
E’ proprio così?
Credo, purtroppo, che non sia così e soprattutto che non si possa imporre per decreto. Non può essere messa in atto casualmente, senza predisposizione di mezzi, temi, tempi e senza la convinta collaborazione dei docenti.

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L’ora di lezione, tra mito e idealismo

di Mario Maviglia

Nel recente Manifesto per la nuova Scuola (sottoscritto da noti intellettuali quali, tra gli altri, Chiara Frugoni, Carlo Ginzburg, Vito Mancuso, Dacia Maraini, Massimo Recalcati, Salvatore Settis, Gustavo Zagrebelsky), tra gli otto punti elencati per rilanciare il ruolo della scuola compare anche la centralità dell’ora di lezione a cui viene dedicata una particolare enfasi.
Vi si legge infatti: “Dopo vent’anni di devastanti riforme, occorrerebbero interventi precisi e profondi, per rilanciare la funzione della scuola, e cioè, prima di tutto, restituire centralità all’ora di lezione disciplinare, un’ora squalificata e messa ai margini da una serie di attività che ne snaturano la funzione e la rendono un’attività residuale”.
Sarebbe facile fare dell’ironia sottolineando che i promotori del Manifesto hanno dimenticato di aggiungere che per restituire centralità all’ora di lezione “disciplinare” è indispensabile disporre di una cattedra posta sopra una pedana, come avveniva qualche decennio fa, perché in questa modo viene esaltata ancor più la sacralità della lezione, ancorché in un contesto laico. Ci si potrebbe spingere oltre dicendo che in quest’idea sacrale di lezione si intravede lo Spirito che diventa atto, ossia un agire dello Spirito, per usare termini cari a Gentile.

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Dare di più a chi ha di meno

di Raimondo Giunta

I lunghi mesi della pandemia hanno accentuato le disuguaglianze nella società e di conseguenza anche nella scuola, dove già erano  forti per la diversità di non pochi fattori contestuali, per le diverse condizioni di  ogni singola scuola, non derivanti soltanto da carenze materiali e strumentali, per la diversità delle condizioni familiari di ogni singolo alunno.
L’impegno straordinario delle scuole, non adeguatamente apprezzato come sarebbe stato giusto, ha impedito che ci si trovasse oggi di fronte ad un vero disastro educativo; ci si trova, comunque, davanti a seri problemi, perché solo in parte si sono potuti arginare i danni provocati dalla chiusura delle scuole.
Con le antiche fratture e con quelle nuove, però, col miglioramento della situazione epidemiologica bisogna fare i conti; tra quest’ultime e che bisogna curare si colloca la lacerazione dei rapporti sociali tra gli stessi studenti, tra gli studenti e la scuola, messi in crisi dai necessari provvedimenti per tutelare la loro salute e quella del personale della scuola.
In quest’opera necessaria di ricomposizione di ogni singola comunità scolastica non si può dimenticare che diverso è stato il peso che ha dovuto sostenere ogni alunno o per mancanza di strumenti e di spazio o per la presenza  in famiglia  di morti e di malati o per familiari allontanati dal lavoro o impediti nelle proprie attività.

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Classi pollaio, il tortuoso percorso per arrivare all’abrogazione

di Gianfranco Scialpi

Classi pollaio, saranno confermate anche il prossimo anno. Nel Piano Nazionale della Ripresa e della Resilienza si parla di superamento. Cosa accadrà? Difficile ipotizzare qualunque scenario.

Classi pollaio, ulteriore conferma per il prossimo anno

Classi pollaio, saranno confermate anche il prossimo anno.
Il quotidiano ItaliaOggi (27 aprile) conferma lo scenario. “Anche nel prossimo anno scolastico le classi saranno formate secondo le vecchie regole. E cioè secondo i parametri dettati dal decreto del presidente della repubblica 81/2009: da un minimo di 18 alunni fino a un massimo di 26 alunni nella scuola dell’infanzia; da 15 a 26 alunni nella primaria; da 18 a 27 alle medie; da 25 a 30 alle superiori. Resta ferma anche la possibilità di derogare il numero massimo fino a un 10% in più. È quanto si evince dalla nuova circolare sugli organici predisposta dal ministero dell’istruzione, che dovrebbe essere emanata nei prossimi giorni”.

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