Sulle povertà educative

di Stefano Stefanel

La pandemia e l’avvento totalizzante delle tecnologie digitali hanno reso agevole per tutti la comprensione di un concetto che prima dell’emergenza era appena entrato nel lessico scolastico e sociale e cioè quello di povertà educativa. Fino a qualche tempo fa si parlava di analfabetismo di ritorno o di analfabetismo funzionale e dentro queste distinzioni sociologiche era nata tutta la problematica relativa ai Bes (Bisogni Educativi Speciali), vissuti da una parte del sistema scolastico nazionale come l’ennesimo tentativo di sdoganare i fannulloni, da un’altra parte come una vera emergenza con potenzialità distruttive, da un’altra parte ancora come un elemento da catalogare senza avere bene chiaro in mente poi di cosa farsene di questa catalogazione.

Dietro il concetto di povertà educativa ci sono due macro categorie: quella di isolamento e quella di deprivazione. I vari loockdown e un anno e mezzo di grandi incertezze delle classi politiche e di quelle educanti hanno reso macroscopico il problema. La novità è che la povertà educativa è diventata una categoria non difficile da individuare e che va al di là della volontà del singolo. E’ indifferente, dentro questa categoria, se un ragazzo si chiude in camera e dialoga solo con lo smartphone perché sta male, perché è depresso o perché è un fannullone o perché sta deviando: comunque siamo dentro ad un problema e ad una vera povertà educativa e solo questo è il dato da cui partire. Le famiglie non sono tutte attrezzate allo stesso modo e una stessa povertà educativa può dare esiti diversi: un figlio ci sta dentro fino al collo, un altro figlio invece riesce, pur vivendo nello stesso ambiente, ad affrancarsi dalla povertà educativa familiare e a salire sul famoso, anche se acciaccato, ascensore sociale.

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Per una nuova scuola che guarda al futuro. Un documento da sottoscrivere

StefanelNel dibattito culturale e politico sul nostro sistema formativo ritorna periodicamente la nostalgia della scuola passata di quando cioè “gli studenti studiavano davvero” e “gli insegnanti facevano belle lezioni seduti alla cattedra”.

Talora i nostalgici fanno analisi del tutto ragionevoli. Negli ultimi decenni il nostro sistema ha conosciuto una deriva “produttivistica” indulgendo eccessivamente ad alcune parole chiave non ben esplicitate o volutamente fraintese (competenze e valutazione, per esempio).
Tuttavia, secondo noi, i “nostalgici” sbagliano (e anche tanto) se pensano che il problema si possa risolvere con il ritorno a lezioni trasmissive fatte da docenti ben preparati nel loro ambito disciplinare.

Il problema principale della scuola, a nostro parere, non è l’insegnamento, ma l’apprendimento e pertanto il punto cruciale della questione cambia radicalmente. Si tratta di riappropriarsi – da parte della scuola – del proprio specifico ambito che è quello della pedagogia.

Ambito che non si riduce alla semplice trasmissione di contenuti, per quanto importanti, o alle procedure didattiche ma che in primo luogo storicizza e demistifica una “forma scolastica” che si ritiene immutata e immutabile perché “naturale” mentre è invece solo espressione del ritorno alla logica gentiliana cui vengono aggiunte corpose venature di taylorismo.
Noi riteniamo che la logica “gentiliana” possa e debba essere contrastata proponendo un modello scolastico che faccia riferimento alla migliore tradizione pedagogica attivistica del secolo scorso.
Il tema è complesso e viene esplicitato nel documento allegato nel quale, non a caso, si ricorda che nel 2021 ricorre il centesimo anniversario della nascita della Lega  dell’Educazione Nuova, che – per impulso di Adolphe Ferrière e altri educatori dell’epoca, si riunì a Congresso per la prima volta a Calais, in Francia.

Il documento che proponiamo verrà presentato e discusso ufficialmente nel corso di un incontro on line che si terrà il prossimo 16 giugno alle 17.30.
Chi lo desidera può sottoscriverlo fin da ora compilando il form disponibile nel sito; nello stesso form è possibile anche prenotarsi per l’incontro del giorno 16.

ALLE ORE 11 DEL GIORNO 16 ABBIAMO INVIATO A TUTTI GLI ISCRITTI ALL’INCONTRO IL LINK DA UTILIZZARE.

TUTTI GLI ISCRITTI DOPO QUESTO ORARIO RICEVERANNO IL LINK VERSO LE ORE 16.30

Primi firmatari del documento
Bellino Roberta
Bottero Enrico
Iosa Raffaele
Lancellotti Maria Grazia
Maviglia Mario
Nutini Massimo
Palermo Reginaldo
Stefanel Stefano
Tosolini Aluisi

Tra gli altri hanno firmato anche: FEDERICO BATINI – DANIELE BRUZZONE – ANDREA CANEVARO – GIANCARLO CAVINATO – CRISTIANO CORSINI  – FRANCESCO DEBARTOLOMEIS – VANNA GHIRARDI – GIANNI GIARDIELLO – DARIO IANES – NICOLETTA LANCIANO – ROBERTO MARAGLIANO – DARIO MISSAGLIA – ELISABETTA NIGRIS – STEFANO PENGE – RINALDO RIZZI – ANTONIO VIGILANTE – PAOLO VITTORIA

Il Manifesto per la Nuova Scuola al quale facciamo riferimento e che critichiamo nel nostro documento è disponibile qui.

Un’idea di scuola: appunti per una riflessione

di Raimondo Giunta

1) Un’idea di scuola bisogna averla per poterne immaginare il suo futuro; privo di una propria prospettiva il mondo della scuola difficilmente potrà svolgere bene il proprio compito nel tempo in cui i cambiamenti trasformano i tratti della società e modificano consuetudini, comportamenti e orientamenti di tutti e in modo particolare quelli delle nuove generazioni, alle quali dovrebbero andare le cure del sistema di istruzione e formazione.
C’è bisogno di una narrazione mobilizzatrice .
”Chi siamo?” ”Cosa diverremo?” ”Quali valori accettare?” ”Come vivere meglio?”
Non bastano le assicurazioni sulla loro occupabilità.

2) Di fronte a fatti di turbolenza giovanile si parla con qualche eccesso di mutamento antropologico; in qualche modo, però, è vero che le trasformazioni delle consuetudini e degli stili di vita, alle quali va aggiunta l’invasività dei mass-media e di internet, abbiano contribuito a costituire una visione della vita che ha reso gli studenti estranei, incomprensibili a parte del corpo docente. Le innovazioni del sistema di istruzione finora sono state concentrate soprattutto sull’enciclopedia dei saperi da trasmettere o sulla trasformazione degli ambenti di apprendimento; ma queste oggi rischiano di non dare frutti, se non si procede a modifiche profonde e radicali nelle relazioni pedagogiche e nelle attività didattiche.
Le procedure didattiche sono di importanza pari a quella dei contenuti, perché tocca ad esse il compito di rendere i giovani coautori del proprio processo di crescita, capaci di riflessività e di autonomia, dotati degli strumenti per affrontare i problemi che incontreranno in una società, dominata dall’incertezza .

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Nuovo anno scolastico, la ricerca di aule certifica lo status quo

di Gianfranco Scialpi

Nuovo anno scolastico si cercano aule alternative. L’operazione conferma che il contesto di riferimento è quello tracciato dal duo Gelmini/Tremonti. Quindi tutto come prima

Nuovo anno scolastico, si cercano aule

Nuovo anno scolastico. Sembra lontano. In realtà le operazioni da attuare sono diverse e complesse. Quindi il tempo potrebbe essere insufficiente.
E’ notizia di oggi che qualcosa si sta muovendo per reperire spazi e ambienti anche esterni alle scuole.
Si legge su ItaliaOggi:
”A.A.A. Cercasi aule per il prossimo anno scolastico in sicurezza anti Covid. I soldi li ha appena messi il governo: 70 milioni di euro per il 2021 da trasferire agli enti locali. Il decreto Sostegni bis stanzia risorse aggiuntive per l’edilizia scolastica affinché comuni e province prendano in affitto spazi aggiuntivi per le scuole da destinare all’attività didattica nell’anno scolastico che sta concludendosi e ‘fino al 31 dicembre 2021’. Locali in affitto, ma anche l’acquisto, il leasing o il noleggio di strutture temporanee, oltre alle spese che derivano dalla conduzione di questi nuovi spazi e del loro adattamento alle esigenze didattiche…Un aiuto potrebbe arrivare dagli istituti tecnici e professionali dove si registra un calo delle iscrizioni e le aule restano vuote, quindi, potrebbero prestarle alle scuole che rimangono senza spazi. E si potrebbero confermare la disponibilità delle parrocchie che già in questo anno scolastico hanno ospitato centinai di alunni.”

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Cambiamo slogan: “A scuola come ti pare purché tu ci vada per imparare”

di Giovanni Fioravanti

 La fine della pandemia prometteva che l’aria sarebbe cambiata, meno viziata dai miasmi del passato. Invece tira aria di restaurazione. Sembra che i giovani siano minori, non perché più piccoli, ma perché “minus”, cioè meno dotati, meno dotati di noi adulti. Dove inizi e dove finisca la minore dotazione è tutto da stabilire. Intanto Frida Bollani Magoni a soli sedici anni suona la sua interpretazione dell’inno d’Italia alla presenza del Presidente della Repubblica e il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, rivendica il voto ai sedicenni.

Eppure c’è sempre qualche adulto che sente il bisogno di dare una qualche lezione ai giovani, perché i loro modi di essere non combaciano con la sua cultura, con i modelli comportamentali introiettati.
Così Chiara Saraceno concorda con la dirigente dell’Istituto Comprensivo Leonardo da Vinci di Milano che con circolare interna ha dettato il dress code a cui si devono attenere le sue studentesse e i suoi studenti.

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La scuola a tempo pieno, formidabili quegli anni

di Nicola Puttilli

Ho incominciato a insegnare in una classe a tempo pieno nel settembre del 1973 in una scuola elementare di Mirafiori Sud, quartiere popolare di Torino cresciuto in fretta, a fianco della Fiat, sull’onda dell’ultima ondata immigratoria. Erano due le classi a tempo pieno di nuova istituzione e cinque gli insegnanti ad esse assegnati dalla direttrice didattica, tutti pressoché ventenni vincitori dell’ultimo concorso, fortemente motivati e ancor più ideologizzati.
Metodo di insegnamento rigorosamente MCE: tutto partiva dalla relazione e dagli interessi dei bambini. La mattinata iniziava inevitabilmente con la conversazione che si faceva comunque, anche se i bambini avevano poco da dire, cosa che comunque accadeva raramente.
Da lì si partiva per le attività: per lingua soprattutto testi, in gran parte liberi, che poi confluivano nel giornalino di classe. Anche per matematica si cercava di partire dai problemi reali e poi grandi esercitazioni sui “quaderni MCE”. Non ci siamo fatti mancare nulla, dal complessino tipografico originale “Freinet” per la composizione dei primi testi, ai laboratori di teatro e di falegnameria e perfino un laboratorio di storia per la costruzione di ciottoli e bifacciali.
Nella fase aulica riuscimmo anche ad attrezzare un orto nel giardino della scuola, convertendo alla causa parte dei bidelli da cui ne dipendeva l’esistenza durante la stagione estiva (in compenso mi ero personalmente impegnato a difenderne le inesauribili vertenze nella mia recente veste di delegato sindacale e poi di eletto nel neonato consiglio di circolo). Per qualche tempo abbiamo anche tenuto un’oca, non ricordo chi la portò, i bambini l’avevano chiamata Giannina.

Il ministero non lesinava i finanziamenti, 150.000 lire a classe se non ricordo male, una cifra allora più che rispettabile, per l’acquisto di materiale didattico, per i laboratori e per la biblioteca di classe, alla quale si provvedeva anche con la sostituzione del libro di testo. Eravamo  cinque insegnanti distribuiti su due classi “aperte”, considerando anche le ore di compresenza era possibile alternare i momenti collettivi con le attività di gruppo in laboratorio e anche con attività individualizzate per gli alunni con maggiori difficoltà.

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Io, disciplina e carisma: la “nuova scuola” che sognano i nostri intellettuali

di Giovanni Fioravanti

Non conosco gli estensori del “Manifesto per la nuova scuola” sottoscritto  da uno stuolo di intellettuali che vanno da Alessandro Barbero a Chiara Frugoni, da Vito Mancuso a Massimo Recalcati, da Tomaso Montanari a Gustavo Zagrebelsky che, ovviamente, non potevano mancare.
“Nuova scuola” sta a significare che questa che abbiamo è la “vecchia scuola”, diversamente non si comprenderebbe la necessità di un manifesto.
Le “buone scuole”, “le offerte formative” tutto tempo sprecato, inquinamenti nell’esercizio principe della trasmissione del sapere, come nel lontano 1994 il Testo Unico aveva decretato consistere la funzione docente.

Nuova scuola e non “scuola nuova”, forse perché agli estensori risuonava un po’ come le “scuole nuove”, il movimento di rinnovamento scolastico dei primi del novecento sorto per rispondere ai bisogni di una mondo in rapida trasformazione.
Le trasformazioni del mondo non sono cura di cui prendersi per i promotori del nostro manifesto, perché la nuova scuola in esso disegnata è atemporale, fuori dallo spazio e dal tempo, un’entità dello spirito, un tabernacolo del sapere dispensato dai suoi sacerdoti. Un ritorno allo spirito di Hegel e di Croce tanto bistrattati dal materialismo dei tempi della scienza e della tecnica.

Una scuola senza storia, senza prima e senza dopo, senza ricerca, senza un propria cultura accumulata nel tempo, senza conflitti, anzi una scuola dall’identità violata, sfregiata dalle riforme e dagli interventi legislativi che si sono succeduti negli anni, che ne hanno deturpato la sua vera natura di otia studiorum.
Se qualcuno mai avesse pensato che fosse finalmente giunto il tempo di porre fine alla pratica dell’insegnamento ex cathedra, dell’insegnamento trasmissivo, di un sistema scolastico cattedracentrico, per gli estensori del manifesto è bene che si metta il cuore in pace.

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