C’era una volta il preside
Ho fatto sempre una grande fatica a immedesimarmi nel mestiere di preside e siccome non me l’ha prescritto il medico, ho cercato di farlo nel modo migliore possibile.
L’ho praticato con dedizione e sempre l’ho vissuto con un certo distacco. Il mio disagio è cresciuto in modo esponenziale con la dirigenza scolastica, che tra i pochi non desideravo per vari motivi che cercherò di esporre. In nessun modo, poi, avrei cambiato un nome così bello e pregnante di significato, come quello di preside (prae-sedes, prae-sidium=chi sta davanti, chi è presidio etc) per uno dei tanti participi presenti che pretendono di diventare sostantivi…
La dirigenza, peraltro, di tipo prevalentemente amministrativo, seppur colorata con tutte le forme di retorica aziendalistica, era l’espediente che si era trovato per sfuggire al contratto unico della scuola e dare ai presidi l’agognato, meritato e giustificato riconoscimento economico per le responsabilità che erano e sono in capo al ruolo di chi dirige e rappresenta una scuola.
C’erano altre vie? Se c’erano non si è tentato di trovarle. Nello stato giuridico del dirigente scolastico il ruolo è duraturo, ma l’incarico è temporaneo, soggetto a rotazione secondo criteri che, se non vengono ben definiti, potrebbero lasciare molta discrezionalità alle scelte del Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale.
In qualche modo ne ho fatto le spese e sono stato costretto alle dimissioni.
Il preside inamovibile (salvo incapacità o negligenza nella gestione), gli organi collegiali e la libertà di insegnamento hanno garantito decenni di civiltà dentro la scuola: il pluralismo, il confronto, la libertà di movimento.
Si è voluto sottovalutare questo evidente risultato della storia della scuola italiana, come un prodotto secondario di fronte ai problemi dell’efficienza, della rispondenza alle richieste immediate e pressanti della società e del mercato.
Se dovesse entrare a pieno regime e nel suo vero e costitutivo significato “la temporaneità” dell’incarico di dirigenza, alle singole scuole non verrebbe alcun beneficio. Potrebbe determinare nel dirigente scolastico un eccesso di interventismo, di zelo, di attivismo, a prescindere dalla ragionevolezza delle singole azioni, o innescare processi fittizi di adesione alle iniziative dell’amministrazione o del poter politico locale.
La scuola perderebbe di fatto la sua autonomia e il controllo e la gestione del curricolo. Sicuramente nessun dirigente potrebbe operare con il respiro e la serenità di cui poteva godere il preside che sceglieva volontariamente e definitivamente una sede di lavoro come luogo ideale per l’espletamento delle proprie responsabilità e per l’espressione della propria professionalità.
C’è qualcos’altro che va detto. Il preside era consunstanziale ad un preciso ordine e grado di istruzione nel quale aveva prestato servizio e per il quale doveva avere perlomeno l’abilitazione all’insegnamento, in caso di passaggio di presidenza.
Per alcuni istituti era necessaria addirittura la titolarità di un insegnamento delle discipline professionali. Principi organizzativi di elementare razionalità ed efficacia, che davano(..e darebbero ancora) per scontato il fatto che il preside debba avere la padronanza culturale del curriculum, della cui gestione deve essere il responsabile e che questa padronanza non possa venire se non dall’esperienza vissuta in rebus e da specifiche competenze professionali.
Si pensava, forse ingenuamente(?), che un istituto agrario con tanto di azienda agricola sarebbe stato governato bene da un agronomo; un tecnico industriale con tanto di reparto di lavorazione (non semplice laboratorio) da un ingegnere e che gli eventuali uffici tecnici non sarebbero sufficienti a surrogare le competenze che deve avere chi dev e dirigere quel tipo particolare di scuola.
Un dirigente che non sa di filosofia, di greco e di latino che ci fa in un liceo classico? Un laureato in pedagogia, ex-maestro, che ci fa in un istituto agrario o in un istituto industriale? E quando c’è da fare qualche grosso investimento “aziendale”, si affiderà ai responsi della Provvidenza?
Se il vecchio preside era legato ad una specifica tipologia di scuola, il dirigente scolastico è stato, invece, inventato universale; va bene per le elementari(primaria) e per i professionali; per i commerciali e per i classici: può non esserci mai entrato in quell’istituto, né da alunno, né da insegnante, ma sapendo di gestione, di management, di diritto scolastico, di comunicazione e soprattutto di reperimento di risorse finanziarie..sicuramente condurrà quella scuola verso traguardi inimmaginabili di profitto e di risultati educativi.
Si trascura, però, un fatto elementare; la scuola è una comunità di pratiche professionali che si costituiscono e si sviluppano nel tempo per l’intreccio di dialoghi, scambi, assimilazioni delle competenze ed esperienze in essa presenti, e se non si possiede la logica che le tiene in vita è molto facile portarle al dissolvimento. Se uno si fa un giro per le scuole si rende conto che i fatti non stiano dando ragione a chi ha voluto questo tipo di dirigenza scolastica.
Connessa a questa vicenda è la rideterminazione della rete scolastica.
C’è dirigenza se c’è autonomia e c’è autonomia se l’istituzione scolastica supera determinati parametri numerici.
Conseguenza: istituzioni scolastiche a volte con una decina di sedi.
Di fatto e per necessità lasciate al proprio destino. Saranno bravissimi i dirigenti scolastici, ma non ubiqui ..come i santi o il Padreterno. Sedi di diversa tipologia e di diverso grado di istruzione: un coacervo di curricoli, di collegi, di aspettative che nessuna logica può condurre ad unità.
E anche in questo caso si è fatto strame dell’esperienza del passato e in modo particolare di quella degli istituti professionali, che una volta erano costituiti da una pluralità di sedi territoriali, ma dello stesso indirizzo, affidate alle cure del Direttore della sede coordinata.
Oggi, al netto delle chiacchiere, per ridurre i costi di gestione si elemosinano gli esoneri o i semi-esonero al collaboratore vicario del dirigente o ai responsabili di una sede coordinata di un’istituzione scolastica con più di 1000 alunni.
Non ci vuole molta fantasia per immaginarne facilmente tutte le conseguenze .
Basta avere un’idea approssimativa di come si svolga una giornata scolastica: assenze, ritardi, giustificazioni, sostituzioni, permessi etc ,etc.
Credo che ci sia da ripensare tutta la questione della dirigenza scolastica e dell’autonomia per eliminare i guasti che sono davanti agli occhi di tutti e non è un problema solo di risorse.
E’ anche un problema di democrazia interna alle singole scuole, di stato giuridico e di carriera degli insegnanti.
Tornare al preside non ha senso anche perché fra qualche anno a scuola gli insegnanti non sapranno nemmeno che siano esistiti.
Ci sono diversi modi di intendere la direzione di una scuola, di renderla efficace; diversi modi di aggregare le istituzioni scolastiche e di farle funzionare.
Ma non con le regole, l’organizzazione e le risorse disponibili oggi.
Per più di un decennio si è fatto della dirigenza il problema principale tra i problemi della scuola. Ma non era e non è vero.
Il problema è quello di definire ruolo e funzione della scuola nella società, il suo rapporto con le nuove generazioni e con i saperi. Se non si viene a capo di queste vere emergenze, non ci sarà nessuna soluzione di tipo organizzativo e gestionale che possa trarre la scuola dalla sua condizione evidente di crisi.
E poi da sempre una scuola funziona, se quelli che la fanno funzionare in ogni singola classe sono messi in condizione di farlo serenamente.
Parlo degli insegnanti …