Un recente articolo dell’amico e collega Franco De Anna, apparso su queste pagine (Signora mia, non c’è più la scuola di una volta: la ragione astuta del sociologo illustre …e famiglia), mi offre l’occasione per tornare sull’argomento e sottolineare alcuni aspetti che mi stanno a cuore.
Comincio sottoponendo i lettori ad un piccolo test parascientifico (in Italia di scientifica c’è sicuramente l’evasione fiscale…): alzi la mano chi non ha mai sentito i seguenti mantra: “i guai della scuola sono iniziati con il ‘68”; “la scuola progressista è un disastro”; “la scuola media unica ha abbassato il livello di istruzione e favorito l’analfabetismo”.
Vedo che nessuno ha alzato la mano, come volevasi dimostrare. In effetti, periodicamente e in modo ciclico, i soloni nostrani lanciano i loro strali contro la scuola di massa, rimpiangendo un passato irrimediabilmente perduto dove la scuola era seria, i ragazzi apprendevano (e i treni arrivavano in orario, ma questo è un altro mantra…) e insomma lo spirito assoluto spargeva il suo sapere sulle vergini menti dei giovani (quelli delle classi abbienti, beninteso) preparandoli adeguatamente alla pugna e alla direzione del Paese.
Questa idilliaca, funzionale e rassicurante situazione (rassicurante per le classi abbienti, beninteso) è stata spazzata via dalla scuola di massa, ossia dalla innaturale pretesa delle classi subalterne di accedere al sapere e di occupare posti di potere prima riservati esclusivamente alle élite. Il punto di non ritorno di questo imbarbarimento etico-culturale è individuabile nell’istituzione della scuola media unificata che, aderendo a una deplorevole istanza democratica, ha messo insieme il figlio del villano con quello dell’imprenditore, Gianni con Pierino, quello col conto in banca e quello col conto con la giustizia.
Ma l’errore ancor più grave della nuova scuola è stato quello di aver tolto il latino dalle materie di studio: un lutto mai elaborato dai nostri reazionar-chic. Ma come si fa a formare un cittadino colto, preparato e responsabile se non si studia il latino?
Il colpo di grazia è comunque arrivato con il ’68, con le sue pretese egualitarie e le sue visioni oniriche (“L’immaginazione al potere”). La cultura data in pasto alle masse è come una perla data in pasto ai porci: è una metafora, ovviamente, ma rende bene l’idea di come tanti intellettuali inorganici leggono quel periodo storico.
La cosa interessante di tutto ciò è che il vero fallimento a cui abbiamo assistito in campo pedagogico è stato quello del modello gentiliano di scuola, incapace e disinteressato a garantire un’istruzione di qualità a tutti i cittadini. Quel modello, che già funzionava male nel Ventennio, è esploso con l’avvento della scuola di massa in quanto ha continuato a perpetuarsi in un contesto storico-educativo del tutto diverso. Puntare il dito contro la cosiddetta “pedagogia progressista” indica l’ignoranza degli accusatori verso la storia della pedagogia e della scuola.
Infatti, se si vanno ad analizzare e studiare le esperienze educative dei pedagogisti progressisti si scoprirà (incredibile!) che sono tutte accomunate da un grande rigore, impegno e attenzione ai risultati. Ma forse fare i nomi di Dewey, Decroly, Freinet, Visalberghi, Bertoni Jovine, Lodi, Ciari, Malaguzzi e altri ancora e pensare che siano conosciuti dai nostri socio-pedagoghi è pretendere troppo.
Dire che da queste esperienze nasce l’antinozionismo progressista in Italia (come afferma una professoressa-scrittrice che forse si è ritrovata nel ritratto della prof della Lettera di Barbiana) denota, nella migliore delle ipotesi, una profonda ignoranza verso la storia della pedagogia. Di fronte a simili sciocchezze in sede di esame all’Università il prof direbbe: “Vedo che ha le idee confuse o forse non ha studiato a sufficienza. Torni al prossimo appello”.
A proposito di Barbiana, Don Milani è spesso fatto oggetto di attacchi da parte dei nostri Nobel in Pedagogia, dimenticando che proprio Don Milani è stato uno dei più strenui difensori di una scuola “seria”: a Barbiana non esisteva la ricreazione e si andava a scuola anche nei giorni festivi. Il priore teneva continuamente i ragazzi impegnati nel compito (e questo dovrebbe piacere moltissimo ai nostri soloni). Il problema è che quei ragazzi venivano sollecitati a usare la loro testa, ad utilizzare i dati per discutere della realtà, a capire le ragioni per cui durante la seconda guerra mondiale ci siano state tante vittime tra i civili piuttosto che tra i soldati. Questo è insopportabile per i nostri socio-pedagoghi: la storia è già scritta nei libri di testo, non abbisogna di essere ulteriormente investigata, basta spiegarla. Si fa una bella lezione e tutto si chiude lì, senza tanti fronzoli che fanno perdere tempo e non offrono ai bambini le nozioni necessarie per la loro crescita intellettuale.
Anche la malsana idea di Mario Lodi di introdurre i bambini al metodo scientifico facendo fare loro esperienze adatte alla loro età è pura perdita di tempo in quanto i concetti scientifici debbono essere appresi per come si sono storicamente sedimentati. E per fare questo basta e avanza il libro di testo. Insomma, se si vanno ad investigare le esperienze di scuola progressista (per quel che è dato capire con questo termine), senza utilizzare il paraocchi dei nostri soloni, si scopre che dietro c’è un’idea di scuola sicuramente ambiziosa, seria, operosa, attenta ai risultati e ai processi, fortemente inclusiva. (Ecco: inclusiva è veramente troppo per i nostri studiosi. Come i cani di Pavlov, quando sentono questo termine hanno eruzioni cutanee di carattere sociologico…). Certo, non necessariamente in quelle scuole si studiava il latino, e magari si faceva meno grammatica di quel che servirebbe. E questo non è tollerabile per i socio-pedagoghi last minute.
Un’ultima annotazione: dal ’68 in poi si sono succeduti in Italia 46 Governi (https://www.senato.it/leg/ElencoMembriGoverno/Governi.html); non tutti erano di marca “progressista” (per quel che è dato capire con questo termine), anzi alcuni erano di marca decisamente non progressista. Eppure, malgrado ciò, i nostri soloni addebitano la colpa dei mali della scuola alla cultura progressista. Evidentemente c’è stata una forte connivenza tra non progressisti e progressisti, altrimenti i primi avrebbero potuto, con la loro saggia opera riformatrice e restauratrice, deviare il corso della storia e salvare la scuola italiana dai tanti problemi che oggi la affliggono. Così non è stato, anche se i nostri soloni non sembrano rendersi conto di ciò, troppo presi a prestare la loro grande disattenzione allo studio delle opere di storia della pedagogia, tutte scritte rigorosamente in latino, obviously.