Signora mia, non c’è più la scuola di una volta: la ragione astuta del sociologo illustre (…e famiglia)

di Franco De Anna

C’è una intuizione di fondo nelle argomentazioni utilizzate da Luca Ricolfi in una intervista rilasciata al Giornale sul libro da lui scritto insieme alla prof.ssa Paola Mastrocola (consorte).
Nella sua formulazione “la scuola progressista” (quella del “tutti a scuola” … quella “promozionale” donmilaniana) è generatrice e di disuguaglianza sociale e di deterioramento culturale generale.

Sollecitato dall’intervistatore enumera tutti di diversi tentativi di riforma scolastica, a partire dalla Media Unica con la scomparsa del Latino, come fonte del progressivo degrado
Si tratta di affermazioni, sgradevoli per alcuni, ma che contengono una base di verità.
Non scoperta da Ricolfi certamente, ma ben prima e da un molto autorevole protagonista.

Ricordo un episodio primi anni ’70 (cruciali nella analisi “scientifica” di Ricolfi)
Parlavo di scuola con un operaio siderurgico (allora facevo un altro mestiere), ed egli con anticipato acume rocolfmastrocoliano, battendo con forza il dorso di una mano sul palmo dell’altra, quasi a voler rappresentare fisicamente il concetto, mi diceva (mi scuso per il suo dialetto lombardo…) “pu sè slarga, pu sè sbasa” (più si allarga, più si abbassa).
Intendeva dire (aveva fatto la vecchia scuola) che secondo lui vi era il rischio, con la scuola di massa, che accadesse ciò che accade su una incudine battendo il martello su un pezzo di ferro incandescente.
Sotto le martellate si allarga certo il perimetro del pezzo. Ma se ne abbassa lo spessore.

Insomma, Ricolfi ha copiato il concetto.
Allora, per completare il ricordo di quella discussione di scuola con e tra operai metalmeccanici (i chimici, si sa, erano più “raffinati”), potrei ripetere a Ricolfi ciò che dissi a loro.
Che avevano assolutamente ragione: il problema era non pensare sempre allo stesso “pezzo” che per allargarlo bisogna abbassarlo…e non pensare sempre allo stesso mezzo (incudine e martello).

Una “vera riforma” avrebbe dovuto cambiare sia “mettendoci più materiale” sia cambiando gli attrezzi.
La parte che Ricolfi tace è invece proprio questa: gli effetti che lui descrive sono dovuti al fatto che si siano voluti dare compiti e significati di crescita, promozione, emancipazione sociale, mantenendo in sostanza la struttura e lo strumento e il contenitore, semplicemente “forzandone” l’ingresso, l’uso e il perimetro, non con “riforme strutturali” ma con “manutenzione” più o meno adeguata (responsabilità anche di parte della cultura progressista).
Naturalmente all’occhio “sociologico” ricolfmastrocoliano, è di scarsa rilevanza che il “compagno” siderurgico che affermava la sua stessa osservazione (…pu sè slarga….) abbia acquisito anche “la terza media” approfittando di una delle poche ipotesi di (potenziale) innovazione strutturale come le 150 ore.