Elogio della teocrazia della privacy
I primi ad adeguarsi furono i ristoratori: agli avventori non veniva consegnato il menu in forma cartacea con l’elenco dei piatti disponibili, ma un foglio con su riportato un codice QR a barre bidimensionale da leggere con il telefonino, tramite un’apposita app. L’elenco dei piatti (ognuno dei quali veniva identificato con un numero) appariva sul display; il cliente comunicava i numeri dei piatti prescelti al cameriere. “In questo modo è garantita la privacy dei clienti rispetto a quello che mangiano.” “Ah, sì, certo”.
Le Università si adeguarono subito dopo: nei test di accesso ogni studente veniva associato ad un codice alfanumerico (es. ay127bx), codice che lo avrebbe seguito per il tutto il corso di studi. Sia nel corso delle lezioni che durante lo svolgimento degli esami i prof non potevano chiamare gli studenti per nome e cognome, ma utilizzando tale codice personale alfanumerico. Fin da subito emerse che il sistema non era molto agevole e faceva perdere molto tempo, ma d’altro canto le direttive del Garante della Privacy erano chiare: l’uso del nome e cognome era consentito solo nelle situazioni private, mentre in tutte le situazioni pubbliche andava utilizzato il codice alfanumerico per non ledere la privacy dei cittadini.
Alcune Università ovviarono comunque a questo inconveniente stampando il codice alfanumerico direttamente sul braccio destro degli studenti. Qualche osservatore fece notare che ciò ricordava esecrabili pratiche della storia passata, ma nessuno lo ascoltò, anche perché pochi conoscevano questo aspetto della storia.
Le scuole aderirono con grande entusiasmo alle indicazioni del Garante (d’altro canto non avevano scelta: le norme andavano rispettate). Seguendo l’esempio delle Università, anche nelle scuole di ogni ordine e grado gli alunni venivano identificati e chiamati con un codice alfanumerico. Ovviamente non era possibile redarguire gli studenti durante le lezioni, per questioni di privacy. La correzione collettiva dei compiti era severamente vietata in quanto poteva mettere in evidenza gli errori commessi dai diversi allievi, calpestando in tal modo il diritto alla privacy. Gli stessi docenti venivano identificati attraverso un codice alfanumerico. Per la verità le scuole non avevano fatto fatica a implementare il nuovo modo di vivere introdotto dalla Teocrazia della Privacy, avendo fatto esperienza durante il periodo di pandemia causato dal Codid-19. All’epoca, infatti, i docenti dovevano esibire ogni giorno il cosiddetto green pass per non ledere la privacy di chi non voleva vaccinarsi.
Certo, qualcosa non funzionava del tutto. Anche se tutta l’organizzazione sociale aveva come principio di base il sacrale rispetto della privacy dei cittadini, erano frequentissime e sempre più aggressive le telefonate pubblicitarie provenienti da call center, soprattutto durante l’ora di cena, tra un bastoncino di pesce e una minestra di riso. Il cosiddetto Registro Pubblico delle Opposizioni, che doveva servire a bloccare le telefonate indesiderate, non aveva mai preso piede. E d’altro canto, tra bancomat, telepass, tessera sanitaria, videosorveglianza stradale e altri marchingegni simili, del cittadino si poteva sapere non solo dove era stato, ma cosa aveva comperato, quali programmi TV aveva visto, quali medicine aveva acquistato e cosa aveva mangiato al ristorante. A discolpa del Garante va detto che la mole di lavoro richiesta per tutelare la privacy dei cittadini era talmente grande che poteva certo preoccuparsi di tutelare la riservatezza di ognuno!
In ogni caso, ogni sei mesi erano previsti riti riparatori verso il dio Privacy, durante i quali venivano immolati decine di animali (per fortuna in forma virtuale). Tutti rigorosamente elencati con un codice alfanumerico.