Dalle linee guida alla nota di accompagnamento: un’estate in attesa del miracolo
“Siamo già in ritardo per organizzare l’anno scolastico in presenza della Delta, quando lo stesso bambino infetto che l’ottobre scorso avrebbe contagiato in media un solo compagno di classe, ne infetterà due. Esplosioni più repentine, focolai più massicci. La preoccupazione principale, almeno fino a giovedì scorso, è stata invece quella di aggiustare i parametri ad hoc per tenere l’Italia in bianco ‘fino a Ferragosto’. Con il gioco di prestigio pericoloso per tutti, di spostare decisamente il baricentro verso le occupazioni ospedaliere, un parametro che sappiamo essere più tardivo, e per di più con soglie azzardate.”
E ancora “Quanti nuovi casi giornalieri possiamo tollerare? Con quanti vogliamo affacciarci all’inizio dell’anno scolastico? Vanno bene cinquantamila al giorno seguendo mollemente il pendio su cui stiamo rotolando adesso, oppure decideremo per la prima volta che non è accettabile? Come gestiremo le classi? Quali misure di mitigazione resteranno in atto accanto alla via maestra dei vaccini?” (Paolo Giordano -Corriere della Sera del 25 Luglio 2021).
Questa lunga citazione tratta da un quotidiano che ancora fa opinione ci fa capire come si faccia strada il convincimento che, nonostante un anno e mezzo di esperienza pandemica e nonostante il cambio al Ministero della PI, con molta probabilità si affronterà il nuovo anno scolastico come sempre: all’insegna dell’improvvisazione.
Oltre la fiducia nella vaccinazione di tutto il personale della scuola e degli alunni dai 13 anni in su, non penso che si sia fatto qualcosa di significativo per garantire la ripresa delle attività didattiche in presenza. Si sono trovate le 20mila aule che richiedeva l’hanno passato l’ANP per fare scuola in condizioni di sicurezza? Si sono per caso ritoccati i criteri per la formazione delle classi per impedire quei focolai di infezione che sono le classi pollaio? Che senso ha prevedere l’organico aggiuntivo Covid fino al 31 dicembre 2021? Gli enti locali sono stati in grado di dotare di sistemi di ricambio d’aria le aule degli istituti di loro pertinenza?
Le Regioni saranno in grado di assicurare trasporti pubblici con la capienza massima del 50%? In mancanza di provvedimenti seri e utili si è dato invece molto spazio alla campagna mediatica sui risultati INVALSI, nei fatti impostata con la ruvida consapevolezza di costringere a qualsiasi costo alla didattica in presenza. Cosa volete che siano i rischi della pandemia con il disastro educativo, socio-emotivo creatosi con la DAD?
Che non si sia andati oltre la miracolistica aspettativa di una universale protezione vaccinale lo dice anche il fatto che mentre l’anno passato si discuteva in ogni sede e appassionatamente sulle Linee Guida, quest’anno ci si accontenta di una semplice nota ministeriale di accompagnamento ai consigli del CTS.
E dire che con meno difficoltà rispetto all’anno passato si poteva licenziare almeno in tempo il PIANO SCUOLA 2021/2022, perché le scuole hanno fatto esperienza di gestione dell’emergenza sanitaria; perché i milioni di banchi, compresi quelli con le rotelle, sono arrivati e le graduatorie per supplenze sono in vigore dall’autunno scorso.
Nessuno può eccepire sul fatto che sia sentita come una improcrastinabile esigenza sociale ritornare alla normalità della vita scolastica ed è pienamente legittimo sperare che avvenga a partire dal primo di settembre. Una speranza ed una necessità, perché bisogna tornare tutti al lavoro. Si è detto fino alla stanchezza che si muore anche di crisi economica, ma se tutti tornano al lavoro, le scuole per forza devono riaprire i battenti e lavorare a pieno ritmo. Nessuna società moderna si può permettere di tenere le scuole chiuse. Questo è un dato di fatto insuperabile e non c’è idea di scuola e di educazione che lo possa ignorare. Il problema allora è il solito: oltre il vaccino si sono create le condizioni per riprendere in sicurezza le attività didattiche?
Avendo senza tante precauzioni sperato nel miracolo, ora si rischia di deludere le speranze che si sono alimentate e di ricadere nel gioco perverso di reciproco discarico di responsabilità, tra scuole, ministeri, regioni ed enti locali.
Si è ancora in tempo per rimediare e per rimettere nel giusto verso le cose. Dipende dalla buona volontà di tutti i soggetti che hanno competenze sulla soluzione dei problemi della scuola e dal loro impegno a trovare i rimedi possibili caso per caso nel dovuto spirito di servizio, perché è molto probabile che ci saranno soluzioni che di volta in volta, di luogo in luogo, di scuola in scuola si dovranno trovare e adottare, perché non sarà la stessa musica dappertutto.
Se si abbandona la maniacale pretesa di avere segnato chissà quali cambi di passo a scuola e si comincia a parlare il linguaggio della verità, anche i problemi di una certa dimensione si possono affrontare e risolvere. Sulla scuola, però, non si può ripetere l’inganno di dire che si può ritornare alla normalità, se prima non è stata riscontrata una netta vittoria sul coronavirus.
Fino a quel momento ognuno di quelli che vivono a scuola, dal dirigente agli alunni, deve fare la propria parte per impedire nuovi contagi e per lavorare in sicurezza.
Un’ultima riflessione. Le scuole vivono dentro le città, ne fanno parte integrante e ne condizionano la vita. Finora sono state le scuole ad adattarsi; ma con gli ingressi differenziati, perché non potranno essere evitati, e con l’alto tasso di pendolarismo alle superiori dovranno essere le città, i paesi e le regioni ad adattarsi alle scuole.
Non pare che si sia chiaramente consapevoli di questo problema e che ci sia la volontà di prenderne atto.
Diciamolo allora.
Il virus non è stato sconfitto e ora si diffonde tra i giovani e non è pacifico che sia facile poterci convivere. Non si può mentire sulla realtà, per non pagare i prezzi dovuti.
La scuola in presenza comporterà per tutti rinunce, limitazioni e qualche sacrificio. Non verrà gratis.