Ma cosa misurano davvero le prove Invalsi?

di Cristiano Corsini

Resto regolarmente sorpreso dalla tendenza di certi commenti, articoli e titoli a usare i dati Invalsi per confermare i soliti luoghi comuni sulla scuola.
Ogni volta che esce il rapporto, la quasi totalità dei commenti si riferisce a un abbassamento del livello di competenze della nostra popolazione studentesca e a un peggioramento della qualità della didattica.

La cosa è buffa per tre motivi.

In primo luogo, non sempre le prove attestano un peggioramento. Quest’anno, per esempio, rispetto a due anni fa il peggioramento è riscontrato per le secondarie in matematica e italiano ma non inglese, mentre la primaria mostra più o meno gli stessi livelli di rendimento rispetto al 2019. Rimane il problema della comparabilità dei risultati di somministrazioni avvenute in condizioni molto diverse, ma ha ovviamente senso chiedersi il perché del peggioramento riscontrato, e su questo torno in seguito.


In secondo luogo, chi ha un minimo di familiarità con le questioni educative dovrebbe essere al corrente del fatto che le competenze sono un costrutto plurale con dimensioni cognitive, attive, sociali, situate, metacognitive, emotive, dinamiche. Le prove Invalsi rappresentano uno strumento utile per ottenere alcune informazioni sulle prime due dimensioni. Ma non rappresentano una “misura delle competenze”, perché le competenze non sono la somma di qualche abilità e qualche conoscenza: senza prove di diversa natura, autentiche, complesse, dinamiche, coinvolgenti e situate non possiamo “valutare le competenze” in maniera valida e affidabile. Non esiste “una” prova di competenza, servono prove diverse. Tuttavia, le prove Invalsi sono importanti: forniscono informazioni utili su aspetti rilevanti, come le abilità e le conoscenze impiegate per rispondere alle domande. Ma definire “inadatto” uno studente che non raggiunge un determinato livello a una prova Invalsi è profondamente sbagliato. Perché quello studente può mostrare una buona capacità di impiegare conoscenze e abilità se messo di fronte a un compito più coinvolgente rispetto a una prova oggettiva. Le prove Invalsi ci danno indicazioni sulle conoscenze e abilità richiamate dalle domande che pongono. Si tratta di conoscenze e abilità rilevanti, ma non sono le uniche né le più importanti. Sono solo quelle più facilmente rilevabili con una prova oggettiva somministrata a centinaia di migliaia di persone.

In terzo luogo, le prove Invalsi non danno informazioni sulla qualità della didattica a distanza o in presenza. Per ottenere queste informazioni dobbiamo descrivere i contesti e ascoltare docenti, studentesse e studenti. Se vogliamo capire perché studentesse e studenti ottengono certi esiti, dobbiamo abbandonare l’idea di una causalità sequenziale, che tende ad addossare l’intera responsabilità del risultato ai pochi fattori antecedenti che riesce a individuare (tipicamente: scuola e docenti) e orientarci verso una causalità genetica, che analizza come i soggetti interpretano il cambiamento (chi lavora in campo educativo tende a occuparsi di cambiamenti) e accetta il fatto che, nei sistemi complessi, diversi fattori incidono sui risultati.

Per ottenere informazioni sulla qualità della didattica dovremmo provare a rispondere a domande come quelle che seguono.
Quali scelte didattiche, in presenza e a distanza, sono associabili a cambiamenti negativi? Quali scelte didattiche, in presenza e a distanza, sono associabili a cambiamenti positivi? E per quali gruppi di individui? Per quali contesti? Perché certe scelte in determinati contesti e con determinati soggetti “funzionano” e in altri contesti e con altri soggetti no?
Le prove Invalsi sono uno strumento utile, ma non forniscono risposte a queste domande.
Ma la responsabilità non è delle prove Invalsi, la responsabilità è di chi sceglie di usare i dati a vanvera, assecondando la tendenza ad addossare alla sola scuola (in presenza o a distanza) la responsabilità di peggioramenti veri o presunti: non è un caso che, mentre fioriscono ipotesi di riforma della scuola, dell’università e della didattica, non si vede all’orizzonte uno straccio di idea di cambiamento del sistema sociale ed economico. Eppure, la correlazione tra rendimento alle prove e stato socioeconomico è sempre elevata.