Si sta molto discutendo in questo periodo del Piano Scuola Estate 2021.
Il punto di partenza è la nota 643 del 27 Aprile del capo dipartimento Stefano Versari. Si tratta di una nota scritta in un linguaggio decisamente non burocratico e che fa i conti con una situazione davvero molto difficile dopo due anni scolastici vissuti all’insegna della pandemia covid 2019.
In questo mio approfondimento non intendo commentare o analizzare compiutamente la nota Versari (per questo basti il rimando alla lettura integrale della nota 643 oltre che alla lettura delle molte prese di posizione sulla stessa). Intendo invece soffermarmi su una questione diversa, di fondo (di grund, direbbero i filosofi), e che ha a che fare con la collocazione o meno del Piano Estate entro una diversa visione di scuola e quindi su un percorso possibile di trasformazione del sistema di istruzione e formazione della nostra società.
- Una premessa
In premessa credo rilevante sottolineare la personale adesione all’impianto complessivo segnalato dalla nota ministeriale. Da anni molti dirigenti scolastici, assieme a realtà associative presenti sui territori, enti locali, terzi settori stanno lavorando per far uscire la scuola da una concezione fordista e tayloristica operando in particolare su due assi: l’asse del tempo e l’asse dello spazio.
L’idea che sta sotto il Piano Scuola Estate 2021 scardina esattamente questi due assi: la scuola non è più legata ad un calendario e ad un orario rigido e può aprirsi alla società e all’ambiente letti come spazi di apprendimento (che è poi l’idea di fondo dei patti educativi di comunità). Ho più volte definito negli anni questa prospettiva con la frase: la scuola come intellettuale sociale[1].
- Solo un piano emergenziale o l’avvio di un diverso modo di concepire la scuola?
Ma il problema nasce proprio qui: il piano estate è solo un piano emergenziale o è l’avvio di un nuovo modo di concepire la scuola e il suo servizio alla società? E’ ponte verso un anno uguale agli altri o è una testa di ponte verso territori inesplorati?
Se è solo un piano emergenziale, e che quindi finirà il giorno in cui si tornerà a far scuola come prima della pandemia, allora tutte le critiche che si sono lette in questi giorni hanno una loro significatività plausibilità e portano con decisione verso una sostanziale non adesione al piano (o ad una adesione molto limitata, insomma una sorta di facite ammuina).
Se invece si tratta dell’avvio di un diverso modo di concepire la scuola, le stesse critiche non sono altro che utili riflessioni per mettere al centro i cambiamenti necessari per dare davvero fiato e spazio ad un diverso modo di essere (e non solo di far) scuola. Per un nuovo inizio che sia anche un diverso inizio.
Qui di seguito provo a sviluppare alcune (solo alcune) riflessioni lungo questo filone di pensiero.
2a. L’asse del tempo
Covid 19 ha radicalmente mutato la concezione del tempo nelle attività umane, nella vita sociale, e anche nella scuola. La Didattica digitale integrata ha messo in crisi l’idea stessa di orario scolastico, ha obbligato a fare i conti con concetti quali lezioni sincrone e attività asincrone, palinsesto, attività a progetto, …
L’idea di Piano Estate mette in crisi e reinterroga il concetto di calendario scolastico.
La domanda cruciale è la seguente: le possibili attività “estive” sono scuola oppure no?
La mia risposta è si: sono scuola. E lo sono nella loro triplice declinazione indicata dalla stessa nota ministeriale
- Rinforzo e potenziamento delle competenze disciplinari e relazionali
- Rinforzo e potenziamento delle competenze disciplinari e della socialità
- Rinforzo e potenziamento delle competenze disciplinari e relazionali con intro al nuovo anno scolastico
Se infatti non fossero “scuola” sarebbero un campo estivo, un centro ricreativo dove certo si fanno esperienze interessanti, con altri tempi ed orari, ma il cui focus non è l’apprendimento, non è il rinforzo e il potenziamento di competenze disciplinari e relazioni.
Ma, se il piano Scuola Estate 2021 non è un mega centro estivo e queste attività sono scuola – ecco la seconda domanda – in che senso esse sono differenti dal resto delle attività scolastiche realizzate sino ad adesso?
La prima differenza sta nel fatto che si tratta di attività cui gli studenti aderiscono volontariamente[2].
La seconda è che queste attività avranno tempi decisamente diversi dai tipici orari scolastici. Tempi che obbediranno alle logiche delle esperienze proposte e che certo non ipotizzeranno (spero!) attività dalle 8 alle 16 per 5 giorni alla settimana (come un centro estivo o un centro vacanza dove “consegnare” il proprio figlio perché non si sa come altro “custodirlo”).
La domanda radicale, sottesa a queste sintetiche riflessioni, è la seguente: è impensabile una scuola sempre aperta? Che non chiude mai? Che è sempre attiva nel suo proporre attività e percorsi di insegnamento/apprendimento? E se la risposta fosse sì, che cosa implica ciò dal punto di vista della sua ri-organizzazione?
2b. L’asse spazio
Le attività del Piano estate dovrebbero privilegiare, e non solo per motivi pandemici e climatici, ambienti di apprendimento decisamente diversi rispetto alle aule (climaticamente bollenti) delle scuole: spazi aperti, luoghi naturali, luoghi d’arte, lo spazio urbano, lo spazio digitale. Il verde e il blu, direbbe Luciano Floridi[3].
E poi certo anche laboratori, atelier, spazi interni delle scuole. Spazi che non dovrebbero però obbedire alla logica delle aule disposte per le tipiche lezioni frontali.
E anche in questo caso vale la domanda di fondo: non è che la scuola dovrebbe essere sempre o prevalentemente così? E se la risposta è si: che conseguenze ha questa riflessione sul modo con cui si costruiscono le scuole? Sugli spazi deputati all’apprendimento?
Ma se così fosse come dovrebbero cambiare, ad esempio (ed è uno fra i tanti), le reti dei trasporti? Il piano Estate 2021 – almeno per le scuole superiori – rischia di essere appiedato dal fatto che i trasporti capillari che raccolgono gli studenti da tutti i territori chiudono con la chiusura delle lezioni alla fine dell’anno scolastico (anche le aziende dei trasporti loro adoperano infatti il classico orario scolastico applicandolo, appunto, ai trasporti). Così chi vive in zone periferiche e isolate non avrà spesso nessuna possibilità di frequentare le attività del Piano Estate 2021 con il conseguente rischio di aumento della povertà educativa a motivo della realizzazione dello stesso piano che vorrebbe combatterla !
Classico caso di effetto contro-intuitivo di una azione razionale che produce il proprio opposto.
2c. La didattica
Mutando gli assi spazio/tempo muta anche la didattica. E’, questa, l’idea di fondo del movimento Avanguardie educative[4] e le indicazioni / suggestioni presenti nella nota del Capo Dipartimento vanno esattamente in questa direzione: modalità didattiche laboratoriali, peer to peer, blendend, one to one, cooperative. Ma, ed ecco che torna la domanda: perché queste modalità dovrebbero essere catalogate come estive e non invece come la normalità quotidiana del fare scuola?
Se così non fosse significa ammettere che la scuola vera, quella si fa dalle 8.00 alle 13.00 durante l’anno scolastico (quello vero, da metà settembre a inizio giugno) è fatta di lezioni frontali.
Tutto il resto è per le altre occasioni: per i pomeriggi di ampliamento dell’offerta formativa e quindi anche il mega ampliamente estivo. Scuola di serie B contrapposta alla scuola di serie A.
Eppure, proprio questi due anni scolastici ci hanno mostrato che la scuola può – nel senso: è capace di – ripensarsi, rinnovarsi, cambiare, mettere in campo modalità inedite di creare e realizzare percorsi di insegnamento/apprendimento.
Perché dovremmo smettere adesso che abbiamo iniziato?
2d. I soggetti
Chi realizzerà il Piano Estate? Non credo lo faranno i docenti, stremati da due anni scolastici devastanti. Ma se è comprensibilissimo che per questa estate siano altri i soggetti che realizzano le attività che le scuole proporranno ed organizzeranno, non possiamo certo tacere sul fatto che la scuola, come luogo di costruzione della cultura, non può pensare di continuare a svolgere il proprio compito senza l’apporto delle competenze, esperienze, conoscenze delle miriadi di persone che con la scuola interagiscono e che portano nella scuola saperi e vissuti che devono essere valorizzati e messi in circolo.
In secondo luogo – andando ancora più a fondo – queste riflessioni toccano il nervo scopertissimo dell’organizzazione del lavoro nella scuola italiana. Organizzazione che andrebbe rivista a partire da un nuovo patto fondativo.
Se – e penso alle superiori – i tempi di presenza a scuola degli studenti fossero diversificati, se il gruppo classe costituisse solo uno dei molti tipi di aggregato con cui lavorare, se la scuola fosse lo spazio che organizza percorsi ed occasioni di apprendimento lungo tutto l’anno (solare, non scolastico !) perché un insegnante non potrebbe distribuire in modo diverso il proprio lavoro ? Le 594 ore di attività didattica con alunni (18 ore alla settimana x 33 settimane) che ogni docente deve realizzare secondo il contratto attuale? Perché non potrebbe lavorare in modo più flessibile? Saltando maggio e venendo a luglio, giusto per fare un esempio?
Oggi sarebbe impossibile: il contratto pone, ad esempio, il vincolo delle 18 ore in non meno di 5 giorni alla settimana (del calendario scolastico che prevede le lezioni). In sostanza quasi nessuna flessibilità. Come nessun incentivo
2e. la valutazione
La nota 643 ha generato uno (strano) dibattito sulla valutazione.
Qualcuno si è infatti chiesto se anche le attività del piano estate debbano essere valutate. La risposta logica dovrebbe essere: SI. Ma anche NO se per valutazione intendiamo dare voti a queste attività secondo la logica della valutazione sommativa.
Nel campo della valutazione il periodo pandemico ci ha costretti a ragionare su diversi paradigmi spingendo molte scuole a fare i conti con la logica della valutazione per competenze[5] applicata anche a quelle discipline in cui sino ad oggi tale logica non è in realtà mai stata davvero applicata. Dibattito attualissimo anche in vista di questa fine anno scolastico.
Il tema della valutazione è stato poi in questi giorni al centro di uno scontro durissimo sulle pagine del Corriere della Sera tra Enrico Galli della Loggia[6] e Giorgio Vittadini[7].
Ha iniziato Galli della Loggia accusando con forza il curriculum dello studente di promuovere una una doppia pratica odiosa. Odiosa perché certificherebbe una divisione di classe (marxianamente intesa: a volte ritornano?) tra chi può (fare corsi all’estero, studiare uno strumento, pagarsi certificazioni di lingue, ecc) e chi non può. Odiosa poi perché fa riferimento alla teoria dei character skills del premio Nobel James Heckman[8].
Vittadini ha risposto con convincente chiarezza rimandando anche al recentissimo volume curato da lui e da Chiosso e Poggi e pubblicato dalla Collana Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo[9].
Una prospettiva estremamente utile a rivedere la logica della valutazione aggiornandola ad una diversa concezione (e ad un diverso ruolo) della scuola nella società contemporanea.
- Criticità del Piano Scuola Estate 2021 come spie di criticità del sistema
In questa ultima sezione del mio intervento esaminerò due sole criticità del Piano Scuola Estate 2021 che a mio parere possono gettare luce su alcune criticità di sistema. Ovviamente ve ne sono molte altre ma qui mi interessa il ragionamento complessivo.
3a. la gabbia burocratica
La maggior parte dei finanziamenti del piano (320 milioni di euro) sono risorse PON.
Appartengo alla schiera (amplissima, devo dire) di dirigenti scolastici che appena sentono parlare di PON alzano gli occhi al cielo e, fossimo nell’antico west, metterebbero mano ad un’arma.
Gestire un Pon, per una scuola, è una impresa burocraticamente molto ardua e complessa. E fin qui amen. Ma occorre poi aggiungere che la rendicontazione ed il controllo rasentano lo stalking burocratico e fanno sentire spesso il dirigente come un truffatore che sicuramente ha distolto soldi pubblici e che quindi deve provare la sua innocenza producendo miriadi di documenti assurdi riferiti anche a cifre irrisorie, pubblicando e ripubblicando le stesse determine e delibere firmate in modi sempre diversi (con firma digitale, prima in formato CAdES e poi in formato PAdES, poi con firma autografa poi ancora con firma autografa più firma digitale…. ).
Insomma una follia che ha fatto giurare a molti dirigenti: “PON MAI PIU”. E ha costretto gli altri a chiedersi “ma chi me lo fa fare?”.
A tutto ciò si aggiunga che spessissimo gli uffici amministrativi delle scuole sono sguarniti di personale davvero esperto e anche quando questo esiste lo stesso deve dedicarsi anche ad altre decine di diverse incombenze senza mai potersi specializzare in un campo così da poter operare con sicurezza e padronanza. Cosa che accade in moltissime altre amministrazioni dove sono previsti uffici specializzati per settori ma che è ovviamente impossibile realizzare a scuola, soprattutto nelle piccole scuole dove gli uffici amministrativi possono sostanza essere costituiti da 3 persone più DSGA. Persone che devono seguire tutte le pratiche degli alunni, del personale (assunzioni, supplenze, pensioni stipendi…), della contabilità, degli acquisti, del bilancio…. e magari solo uno fra di loro è di ruolo e gli altri sono collaboratori scolastici trasformati ex lege in amministrativi. Per non dire che il Piano estate rischia di restare a piedi perché mancano i collaboratori scolastici: molti di essi hanno nomine al 30 giugno, i pochi altri devono pur far le ferie entro il 31 agosto ma, ad oggi, non è chiaro se sia possibile o meno contrattualizzare nuovi collaboratori per tenere aperte le scuole d’estate.
Insomma, una follia.
Nel caso tecnico dei PON va poi detto che pensare riuscire a rendere operativo al primo di luglio un PON che prevede la scadenza delle domande al 21 maggio significa non aver mai visto davvero una scuola e non conoscere le procedure.
E gli aiuti previsti dalla norma (quali ad esempio i due mitici quaderni sulle procedure per gestire contratti pubblici ed incarichi individuali) fanno venire alla mente più che altro la logica della “burocrazia difensiva” che, al pari della medicina difensiva, comporta la scelta da parte del dirigente di produrre in primo luogo carte su carte, pareri su pareri, sino a giungere alla scelta di non agire pur di non rischiare di avere problemi.
E’ assurdo ma oggi si rischia molto meno a far nulla (anzi, non si rischia nulla !) che ad impegnarsi a far funzionare la scuola che si dirige partecipando a bandi, acquisendo finanziamenti e gestendoli.
3b. il sogno mai realizzato del middle management
Organizzare la vita di una scuola e la sua operatività è azione molto complessa e dipende dalla capacità della organizzazione stessa di apprendere[10] , di definire con chiarezza la propria vision e la propria identità anche valoriale.
Un qualche supporto organizzativo tuttavia occorre: non può essere che una scuola con 1000 studenti, 150 insegnanti, 40 ATA non abbia uno stabile e riconosciuto staff che coordina e organizza. Eppure è questo che ancora oggi succede e sono moltissimi coloro che sono contrari alla creazione, anche flessibile e modificabile nel tempo, di un middle management nelle scuole.
- Un ponte
Il piano per l’estate è definito un ponte e la metafora serve a chiarire che si tratta di mettere in connessione la fine di questo anno scolastico e l’inizio del prossimo.
Lungo tutto questo intervento ho cercato di mostrare che forse (dico forse) potrebbe essere il caso di dare un senso più ampio alla metafora del ponte visto non solo come funzionale collegamento a settembre 2021 ma anche come ponte che permette l’avvio dello sbarco su un terreno in pare ignoto in cui confrontarci e confrontarsi con le sfide più profonde della scuola e della formazione nella società del XXI secolo.
Ecco, questo è un percorso sul quale vale la pena di provare ad incamminarsi.
7 maggio 2021
[1] Si veda ad esempio A. Tosolini, Service Learning e territorio: la scuola come intellettuale sociale, in L. Orlandini, S. Chipa, C. Giunti (a cura di) Il service learning per l’innovazione scolastica, Roma, Carocci, 2020 e, molto prima ancora, A. Tosolini, Autonomia scolastica e territorio, in M. Morettuzzo, A. Tosolini, D. Zoletto (a cura di), Acqua come cittadinanza attiva. Democrazia e educazione tra i nord e i sud del mondo, Bologna, Emi, 2003
[2] Non abbiamo qui tempo e spazio per riflettere sulla conseguenza di questa affermazione. Infatti, mi si passi il paradosso, perché anche le attività scolastiche classiche, quelle, per capirci, che si fanno dal 15 settembre al 5 giugno, non potrebbero avere la stessa logica? Ovvero essere occasioni di apprendimento cui gli studenti – almeno quelli delle superiori – partecipano in modo molto più libero, con tempi personalizzati ed in spazi personalizzati – in presenza/distanza – mettendo così in crisi l’irreggimentazione di intere classi d’età e generazioni secondo le logiche ben descritte dal sorvegliare e punire di Michel Focault? Certo, capisco lo sconcerto: una scuola a cui “si va” quando lo si ritiene utile o necessario può risultare decisamente eccessivo. Eppure, forse, non lo è se, a partire da un patto educativo personalizzato con task precisi per ogni studente, fossimo capaci di costruire una precisa profilatura del percorso di apprendimento per ogni studente.
[3] Mi permetto di inviare alla lectio magistralis tenuta a Parma da Luciano Floridi il 22 04 2021 (Lions Club Parma Host – Università degli Studi di Parma) dal titolo: Il Verde e il Blue – Il progetto dell’umanità per un futuro sostenibile e preferibile. La lectio è reperibile al link https://www.youtube.com/watch?v=jbO_Upz7ZPs
[4] http://innovazione.indire.it/avanguardieeducative/
[5] Mi permetto di rimandare al lavoro realizzato dalla collega Daniela Venturi (anche con la mia partecipazione) in ordine alla valutazione in tempo di DAD, https://www.isipertinilucca.edu.it/portal/valutazionedad
[6] E. Galli della Loggia, Maturità. Con il curriculum sarà un esame un po’ classista, Corriere della sera, 05.05.2021 pag. 26. Interessante (e curioso !) notare che la posizione di Galli della Loggia sul Curriculum dello studente in buona parte coincide con quella di Tomaso Montanari pubblicata sul Il Fatto Quotidiano il 16 aprile: “Con Bianchi alla scuola si premia chi è più ricco”. (https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/04/16/con-bianchi-alla-scuola-si-premia-chi-e-piu-ricco/6167654/ ).
[7] G. Vittadini, Le nuove vie dell’apprendimento, Corriere della sera, 7.05.2021 pag. 30
[8] Si veda J.j. Heckman – T. Kautz, Formazione e valutazione del capitale umano. L’importanza dei «character skills» nell’apprendimento scolastico, Bologna Il Mulino, 2017
[9] Vittadini, Chiosso, Poggi, Viaggio nelle character skils, Il Mulino 2021 (scaricabile gratis al sito:
https://www.researchgate.net/publication/350726347_Viaggio_nelle_character_skills_Persone_relazioni_valori/link/6077f4c42fb9097c0ce56e81/download
[10] faccio qui riferimento alle riflessioni e alle teorizzazioni sulla complessità di Alberto Felice De Toni. Si veda ad esempio A.F. De Toni – S. De Marchi, Scuole auto organizzate. Verso ambienti di apprendimento innovativi, Milano, Fabbri, 2018