Questo venerdì di Pasqua mi ricorda stati d’animo della mia infanzia in un paese cattolico. Non c’era la pubblicità in tv, si parlava sottovoce, alle 3 del pomeriggio si ricordava la croce, si mangiava di magro. L’effetto nella mia piccola testa era di straniamento, di essere cioè ”strano” (straniante, straniero) quel giorno, tra gli adulti che giravano tra i vari sepolcri delle chiese.
Lo straniamento mi pare la parola giusta per definire oggi lo stato d’animo di milioni di bambini e ragazzi che frequentano un anno scolastico tormentato. Straniamento che sfiora la tristezza, l’inquietudine, l’incertezza.
Almeno io da piccolo sapevo per certo che poi arrivava la Pasqua.
Pur essendo uno psicologo di formazione, non utilizzo le parole di quel gergo quali depressione, stress e ansia. Temo la clinicizzazione di questi straniamenti e il comodo scarico dei ragazzi al lettino del terapeuta o dal farmacista.
E’ già tanta la medicalizzazione che temo nasca una nuova sintomatologia: il DSC, disturbo da scuola chiusa, con mirabolanti soluzioni terapeutiche.
Penso invece che per la grandissima parte dei nostri figli e nipoti si tratti di una condizione esistenziale che una buona educazione può alleviare, valorizzando anche la naturale resilienza. Buona educazione secondo l’I CARE di don Milani, naturalmente, non quella del TO CURE dei moderni strizzacervelli.
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