Caro Giancarlo,
Sto tentando disperatamente di uscire dal silenzio che da ieri sera mi blocca (la notizia me l’ha passata un comune amico poco dopo le 22.30), non solo per il dolore che sento, ma anche per la resistenza a cercare e trovare parole che lo descrivano sinceramente, capaci di disfarsi delle inevitabili funzioni “difensive” che la parola, come ogni altra “rappresentazione” finisce per assumere. Soprattutto nel lutto.
Ho sempre declinato un certo imbarazzo nei nostri rapporti.
Chi mi è più vicino sa che spesso quando mi descrivo in termini autoanalitici dico “io sono terroso”.
Ecco l’interazione con te, sempre dedicata al contesto professionale, sia pure con tutta l’umanità possibile, mi confermava tale giudizio su me stesso.
Ho sempre guardato, tra l’ammirazione e l’interrogazione stupita, alla tua capacità analitica, fino al particolare più dettagliato (qualcuno ha mai avuto l’occasione, seduto accanto al tavolo della medesima conferenza, di dare un’occhiata alle scalette dei suoi interventi, e ai suoi appunti?) mentre io ho sempre teso a “sgombrare il campo” e “potare”.
La tua dichiarata “mitezza” in realtà usava il bisturi. A me viene di scrollare l’accetta…
Di fronte alle difficoltà e alle contraddizioni andavi alla puntuale ricerca del nuovo possibile, indicando l’impegno, anche di orizzonte ridotto, ma comunque capace di cambiare la realtà… Io mi rotolo nella terrosa semplificazione dei “no”.
Contemporaneamente eri di una grande capacità di programmazione (senza la quale non avresti potuto fare le tantissime cose che ti impegnavano e che proponevi a tutti noi).
A ripercorrere i nostri rapporti professionali mi vien da dire che nulla era lasciato all’improvvisazione.
Avevamo formazione e interessi assai diversi: io nulla so di pedagogia, e tanto meno di istruzione primaria o dell’infanzia.
Ma avevamo anche opinioni a volte assai diverse sulle politiche dell’istruzione e sui caratteri dell’ordinamento da cambiare o sul funzionamento della Pubblica Amministrazione. Pure spesso mi hai sollecitato interventi e contributi sulle tue riviste proprio su quei temi. Scelte certamente generose, ma altrettanto certamente e comprovatamente “mirate” rispetto al comune orizzonte innovativo.
Non so (me lo sono sempre chiesto…), se nella mia sbrigativa “terrosità” sarei stato capace di altrettanto coinvolgimento.
Il dolore che da ieri sera mi zittisce e a cui sto stentatamente cercando di dare parole (e sempre nel dubbio che forse il silenzio sarebbe più opportuno) è dunque fortemente radicato: non solo con te scompare un protagonista essenziale del comune orizzonte operativo del mondo dell’istruzione, un segmento portante delle istanze di innovazione di quel mondo, ma anche una sorta di specchio che restituiva le deformazioni “terrose” del mio modo di viverci all’interno.
E dunque dava l’opportunità anche a me stesso di migliorarmi.
Non so come farò a non chiedermi, come mi accadeva spesso di fare, di fronte a tante questioni della scuola italiana, e a miei “terrosi” pensieri, “cosa ne penserà Giancarlo?”
Addio
Franco