Caro Giancarlo,
Sto tentando disperatamente di uscire dal silenzio che da ieri sera mi blocca (la notizia me l’ha passata un comune amico poco dopo le 22.30), non solo per il dolore che sento, ma anche per la resistenza a cercare e trovare parole che lo descrivano sinceramente, capaci di disfarsi delle inevitabili funzioni “difensive” che la parola, come ogni altra “rappresentazione” finisce per assumere. Soprattutto nel lutto.
Ho sempre declinato un certo imbarazzo nei nostri rapporti.
Chi mi è più vicino sa che spesso quando mi descrivo in termini autoanalitici dico “io sono terroso”.
Ecco l’interazione con te, sempre dedicata al contesto professionale, sia pure con tutta l’umanità possibile, mi confermava tale giudizio su me stesso.
Ho sempre guardato, tra l’ammirazione e l’interrogazione stupita, alla tua capacità analitica, fino al particolare più dettagliato (qualcuno ha mai avuto l’occasione, seduto accanto al tavolo della medesima conferenza, di dare un’occhiata alle scalette dei suoi interventi, e ai suoi appunti?) mentre io ho sempre teso a “sgombrare il campo” e “potare”.
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