“Gli insegnanti sono rimandati solo al loro carisma personale. Lavorano senza rete di protezione e senza chiaro mandato istituzionale. La società non sta più dietro di loro a cominciare dalla loro amministrazione. E’ questo che scatena la crisi dell’autorità nella scuola: gli insegnanti sono là a nome di una collettività che non riconosce il ruolo che esercitano” (Marcel Guachet).
Nemmeno nei lunghi e non ancora terminati mesi della pandemia, pur essendosi constatato quanto siano importanti per gli equilibri sociali della nazione la presenza e il lavoro degli insegnanti, si è riusciti a saldare la frattura tra loro e la società e motivi per arrivarci ce ne sarebbero, a cominciare dall’impegno che ci hanno messo per tenere in piedi uno straccio di continuità del rapporto educativo. Impegno e lavoro che non possono essere scalfiti da episodi come quello della studentessa bendata in una verifica orale a distanza.
Quello che gli insegnanti hanno fatto e stanno facendo nei tanti giorni difficili della pandemia dovrebbe restare nella memoria degli alunni e in quella delle loro famiglie.
La considerazione pubblica degli insegnanti e della scuola se in giro ci fosse un po’ di serietà, dovrebbe tenere conto solo di tutto questo.
Tutti dovrebbero ricordare quanta passione, quanta intelligenza e quanta fatica ci sono volute per tenere in piedi un’istituzione fondamentale per l’intera comunità.
Gli insegnanti insieme al personale sanitario hanno risposto al compito di rendere in momenti difficili umano il volto delle istituzioni. Non perché sono kamikaze votati al sacrificio, ma perché sono professionisti che fanno il proprio dovere e che meritano di essere protetti per svolgere in qualsiasi condizione nel modo migliore il proprio lavoro.
E’ da considerare come ragionevole l’ipotesi che nel peggioramento della considerazione sociale degli insegnanti abbia contribuito la svestizione istituzionale della scuola e che questo fenomeno sociale possa essere considerato una delle cause più incisive della proletarizzazione della figura dell’insegnante.
In questo processo di caduta verso gli inferi i compiti degli insegnanti sono cresciuti di molto.
La responsabilità della funzione professionale ,di quella conoscitiva e di quella educativa del sistema di istruzione e formazione ricadono sempre sulle loro spalle, ma devono affrontare il peso di doversi difendere dal sospetto alimentato artificiosamente di una loro inadeguatezza e quello dei vincoli di un’organizzazione che non vuole la loro l’autonomia e non esalta l’impegno profuso nel lavoro e il sapere che posseggono e trasmettono.
Una società aperta e democratica si batterebbe per la dignità e l’autonomia professionale degli insegnanti, perché solo in condizioni siffatte possono svolgere il loro compito educativo.
E nessuno si meraviglierebbe se il risultato del loro lavoro fosse quello di avere fatto crescere in autonomia gli alunni e non quello di averli resi docili alla società così com’è, di non averli addomesticati. Una società aperta e democratica, che ama vedere crescere bene i propri giovani, dovrebbe fare ponti d’oro a chi a scuola tra programmi, regolamenti e valutazione riesce a dare spazio e voce all’esistenza dell’alunno e lavora per la sua crescita umana.
Questo tipo di insegnante è l’educatore di cui l’alunno ha bisogno, di cui ha bisogno la società.
Questo tipo di insegnante non si cura solo di trasmettere i saperi, ma per renderne il significato puntualmente si preoccupa di interrogarli nella loro storia, nella loro costituzione epistemologica, nella loro dimensione sociale e valoriale per farli diventare dote e consapevolezza personale.
L’INSEGNANTE COME SI DEVE e che la società dovrebbe difendere e amare è l’uomo dell’incontro e del confronto.
Si trova nella giuntura tra passato e presente.
Serve alla causa della tradizione per quello che insegna e la causa del cambiamento per coloro che forma. (Michel de Certeau).