di Raffaele Iosa e Massimo Nutini
Indicazioni metodologiche, operative e amministrative sull’ampliamento dell’offerta formativa, sulla progettazione, la coprogettazione e la gestione, per la prossima estate educativa.
1. La progettazione della scuola per il ristoro educativo
1.1. Progettare in libertà
Lo sanno bene gli insegnanti saggi: un progetto educativo segue sempre un’idea e un fine. C’è la scuola, il mondo attorno, uno spazio, un tempo… e dentro ci sono loro: le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi.
Un progetto educativo mette in gioco tutto e tutti, non si rivolge a un pezzetto. Ecco perché i modelli predeterminati, i moduli prestabiliti o i progetti acquistati chiavi in mano ci stanno sempre stretti.
La schematizzazione non si adatta all’educazione. La grande intelligenza abbraccia, la piccola discrimina (Chuang-tzu in Zhuang-zi). Ecco perché l’insegnamento ha il dovere deontologico di essere libero (al pari dell’arte e della scienza).
Per la prossima estate e per il rientro a scuola a settembre progettiamo dunque in libertà e rifiutiamoci di progettare su carta millimetrata.
1.2. Rientro alla vita della scuola e del sé
Tocca prima di tutti agli insegnanti il dovere professionale di svolgere una seria riflessione pedagogica, sociale, curricolare, esistenziale sulla condizione dei loro bambini e ragazzi dopo 18 mesi del tutto eccezionali, inediti e drammatici.
Tocca loro ri-pensarli dopo un periodo che li ha resi altri dal passato e ideare, desiderare, costruire una matassa di idee che sappia produrre un tessuto di azioni positive per un “rientro alla vita della scuola e del sé”, capace di ristorare le ferite educative del periodo Covid ed anzi, il più possibile trar frutto da un’esperienza complicata sia per i giovani che per gli adulti per migliorare la qualità dell’istruzione.
Dunque è dentro questa matassa composta da tanti fili da tirare uno ad uno che si può trarre una trama per svolgere attività didattiche ed educative a partire dalla vicinissima estate. Non un tassello casuale chiuso in sé, fatto tanto per fare, né un risarcimento emotivo, ma qualcosa di più profondo e utile.
La prossima estate potrà avere una scuola attiva come mai accaduto in passato. Attiva e non solo aperta, perché non sarà tanto l’uso fisico delle aule per imitare la solita scuola a darne il senso e il valore, ma l’attivazione di esperienze in ogni luogo possibile dove sia utile fare comunità, apprendimento in situazione, esperienza di vita e di relazioni. Recuperare cioè la vita e ridarle slancio come la giovinezza chiede naturalmente.
Ovviamente ogni scuola avrà una sua lettura specifica della condizione degli allievi. Ben diversa sarà la riflessione sulla condizione tra i bambini di un istituto comprensivo periferico e quella di un istituto tecnico di città. Ma vorremmo tutte legate da un’idea e un fine che risponda ai bisogni effettivi e diversi con risposte originali e proprie di ogni realtà.
1.3. Puntare alla qualità
Per il collegio dei docenti e per il consiglio d’istituto, va bene (deve andar bene!), all’inizio, un progetto di massima, che sappia individuare e selezionare le idee più importanti e i fini primari da realizzare attraverso una diversa estate.
Per la scuola un progetto iniziale che già intraveda anche cosa potrebbe essere l’anno scolastico prossimo nella loro comunità educante, di cui l’estate in arrivo è il primo tassello.
Il progetto educativo non può essere stabile come un progetto edilizio. In edilizia è un caso raro che le caratteristiche del terreno si modifichino sensibilmente durante la costruzione di un fabbricato.
In educazione è normale invece che tutto cambi, cresca o regredisca, durante l’esperienza formativa: è un effetto desiderato. Certe volte si deve lavorare molto sull’ambiente, sul contenitore, sul contesto, che necessariamente si fonde con i contenuti.
Nel progetto educativo “quel che sarà” non si può sapere prima perché si lavora allo sviluppo di un qualcosa che non conosciamo mai fino in fondo e che non può e non deve essere manipolato: la persona.
Progettiamo con questo spirito anche le attività di recupero delle competenze di base, di consolidamento delle discipline e di ritrovamento della socialità, della proattività, della vita di gruppo, durante dopo il terribile periodo della pandemia.
Lavoriamo con la qualità che siamo abituati a conoscere e spendiamo meno tempo possibile a riempire moduli.
1.3. La regia deve rimanere alla scuola
I governanti, locali, nazionali ed europei, prima o poi, dovranno imparare che la standardizzazione nella scuola equivale alla sua negazione (solo per dirne una: anche la modalità di rendicontazione europea adottata dai PON non va bene per la scuola e deve essere cambiata).
Anche per questa estate pensiamo a progetti dinamici, flessibili, personalizzabili, modulari e modulabili in relazione a tutti i variabili fattori che incideranno sui processi educativi che potranno essere messi in atto, dalla quantità di risorse che avremo a disposizione alle persone tutte, piccole e grandi, che concretamente faranno parte dei gruppi con i quali potremo trovarci a operare.
Ecco che la scuola, in un progetto come quello di cui stiamo parlando, può fare un pezzo e non il tutto ma dovrebbe tenere per sé la regia metodologica orientando le diverse attività a realizzare percorsi di sviluppo cognitivo, formativo ed esperienziale.
Infatti, nella produzione di idee e azioni per la prossima estate, la scuola ha da subito la necessità di confrontarsi con ciò che già c’è o è in cantiere nel proprio territorio. Questo per iniziare da subito a pensarsi come comunità dialogante, evitare doppioni, saper calibrare i tempi delle diverse possibili esperienze di vita e socialità dei nostri ragazzi.
Se il periodo è dal 15 giugno al 15 settembre, la scuola può gestire una piccola parte del tempo estivo, distribuita nei modi più diversi, ma può anche partecipare ad una cabina di regia pedagogica di supervisione e condivisione di tutte le attività, comprese quelle gestite da altri.
E poi, non è detto che da questi altri non possa anche arrivare qualche insegnamento per la scuola stessa. D’altra parte nessuno è più capace di noi nell’essere ricettivo.
1.3. L’analisi del contesto e le situazioni di partenza
In questa primissima e decisiva fase di riflessione e ideazione, è anche utile realisticamente svolgere un’analisi onesta dei potenziali effettivi che la scuola si sente in grado di realizzare.
Conterà, ad esempio, molto quali e quanti insegnanti saranno disponibili volontariamente a dare corpo pedagogico a queste esperienze. Inutile negarlo, questa variabile condizionerà la quantità e la tipologia di moduli di esperienze possibili.
Conterà, inoltre, a quanti e quali bambini e ragazzi si intenderà rivolgere la proposta educativa, se a tutti o no, a partire naturalmente da chi ha più pagato il confinamento di questi 18 mesi.
Conterà anche l’adesione delle famiglie, e certamente sarebbe quanto mai prezioso se le “idee” e le iniziative in cantiere fossero condivise e magari (nel limite dell’età) co-progettate con i bambini e i ragazzi stessi. Non persone-pacchetti da spostare di qua e di là, ma persone (qualsiasi sia l’età) con desideri e pensieri da rispettare e coltivare.
Conterà, naturalmente, l’appetibilità sociale, il significato umano e di comunità che l’idea pedagogica di base diffonderà come finalità e pratica delle esperienze estive.
E a questo punto, definito in linea di massima il progetto pedagogico, conterà il dialogo interistituzionale che questa progettazione–base aprirà con l’ente locale, il territorio, la società civile, l’associazionismo per trovare le alleanze giuste, in un quadro il più armonico e unitario (la trama del tessuto di cui sopra) con tutte le iniziative locali del periodo.
2. La coprogettazione nella più recente normativa
2.1. La coprogrammazione e coprogettazione con i soggetti del terzo settore
Per quanto attiene al significato pedagogico e metodologico vale, per la coprogettazione quanto appena detto per la progettazione educativa.
Dal punto di vista amministrativo, invece, la coprogettazione apre ad un futuro che permetterà di realizzare una progettazione integrata con gli altri soggetti del territorio, anche permettendo facilitazioni importanti dal punto di vista procedurale.
Al momento non è un procedimento semplice da utilizzare perché non sempre sono presenti le normative regionali e i documenti di coprogrammazione quadro che dovrebbero essere adottati a livello di zona. Non si esclude però che sia possibile, anche in assenza di tali provvedimenti, effettuare, per chi volesse intraprendere questa strada, delle prime esperienze.
2.2. La coprogettazione nel Codice del Terzo settore
La norma di riferimento è il Codice del Terzo settore (decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, artt. 55 e 56) il quale stabilisce che “In attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni […] assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di coprogrammazione e coprogettazione e accreditamento”, specificando che “La coprogettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti”.
A tal fine “l’individuazione degli enti del Terzo settore con cui attivare il partenariato avviene anche mediante forme di accreditamento nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell’intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l’individuazione degli enti partner”.
2.3. L’espressione della Corte Costituzionale
Vale la pena di ricordare anche una recente espressione della Corte costituzionale (sentenza 26 giugno 2020, n. 131) nella quale è stata affermata l’aderenza al dettato costituzionale della previsione del codice del Terzo settore, rilevando che la coprogettazione, “rappresenta una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118, quarto comma, Cost.” in quanto “valorizzando l’originaria socialità dell’uomo […], si è voluto superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini”.
Il rapporto fra Codice del Terzo settore e Codice dei contratti pubblici è stato oggetto di un’ampia discussione negli ultimi anni. In particolare, si è dibattuto circa l’utilizzo di istituti quali la co-progettazione e la convenzione, con i quali la pubblica amministrazione può coinvolgere i soggetti del privato sociale nella gestione di servizi che avrebbero altresì potuto essere affidati con procedure contrattuali.
2.4. I riferimenti alla coprogettazione inseriti nel Codice dei Contratti
Su questo è intervenuto il decreto legge Semplificazioni (decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, come convertito con legge 11 settembre 2020, n. 120, art. 8, comma 5) ha inserito alcuni riferimenti al Titolo VII del Codice del Terzo settore – quello appunto che disciplina i rapporti con gli enti pubblici – nel corpo del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50).
In particolare: il comma 8 dell’art. 30, che reca i “principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni” precisa oggi che, per quanto non espressamente previsto dal Codice stesso, “alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici nonché di forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241”; il comma 1, dell’art. 59, che disciplina le procedure di scelta del contraente, il quale afferma che “nell’aggiudicazione di appalti pubblici, le stazioni appaltanti utilizzano le procedure aperte o ristrette”, ha adesso un inciso iniziale di questo tenore “Fermo restando quanto previsto dal titolo VII del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117”; La stessa clausola viene inserita al comma 1 dell’art. 140, che disciplina gli appalti dei servizi sociali.
2.5. Una nuova modalità da utilizzare, in particolare per il futuro
Si apre ora una nuova possibilità per l’utilizzo della coprogettazione, che permetterà il coinvolgimento di numerosi soggetti operanti sul territorio e che permetterà di confrontarsi con la sfida della misurabilità del valore apportato da tali soggetti.
La coprogettazione, quindi, non deve essere intesa unicamente come una scorciatoia per evitare l’evidenza pubblica nella scelta del concessionario di un servizio, bensì come un istituto teso a valorizzare l’esperienza e la vocazione della sussidiarietà nella progettazione e realizzazione degli interventi, nell’ambito di una procedura che dovrà comunque essere caratterizzata di principi di trasparenza, pubblicità e non discriminazione, anche nel momento della scelta del soggetto o dei soggetti con i quali avviare un’esperienza di partenariato.
3. I patti comunità
3.1. Tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa
Il “Documento per la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione – Piano scuola 2020-2021” (decreto ministeriale 26 giugno 2020), contiene la seguente indicazione: “Tra sussidiarietà e corresponsabilità educativa. […] Per la più ampia realizzazione del servizio scolastico nelle condizioni del presente scenario, gli Enti locali, le istituzioni pubbliche e private variamente operanti sul territorio, le realtà del Terzo settore e le scuole possono sottoscrivere specifici accordi, quali «Patti educativi di comunità»… Dando così attuazione a quei principi e valori costituzionali, per i quali tutte le componenti della Repubblica sono impegnate nell’assicurare la realizzazione dell’istruzione e dell’educazione, e fortificando l’alleanza educativa, civile e sociale di cui le istituzioni scolastiche sono interpreti necessari, ma non unici…”.
I Patti educativi di comunità trovano il loro fondamento nei principi costituzionali di solidarietà (articolo 2), comunanza di interessi (articolo 43) e sussidiarietà orizzontale (articolo 118, comma 4), per irrobustire alleanze educative, civili e sociali di cui la scuola è il perno ma non l’unico attore. Mediante i Patti educativi di comunità, le scuole “possono avvalersi del capitale sociale espresso da realtà differenziate presenti sul territorio – culturali, educative, artistiche, ricreative, sportive, parti sociali, produttive, terzo settore – arricchendosi in tal modo dal punto di vista formativo ed educativo” (Idee e proposte per una scuola che guarda al futuro, 13 luglio 2020, rapporto finale del comitato di esperti istituito con decreto ministeriale 21 aprile 2020, n. 203),
3.2 Natura e contenuti dei Patti
I Patti di comunità sono libere intese che possono essere sottoscritte fra cittadini (singoli o associati) e amministrazioni pubbliche per la realizzazione di collaborazioni volte alla promozione dell’interesse generale, mediante la tutela e la promozione di beni e servizi funzionali allo svolgimento della vita sociale delle comunità, permettendo di coinvolgere i membri della comunità stessa nelle decisioni e nelle azioni che li riguardano. La scuola è uno dei principali beni di comunità e, pertanto, costituisce ambito privilegiato per possibili collaborazioni fra cittadini e Amministrazioni comunali.
I Patti educativi di comunità: “1) favoriscono l’esercizio del principio di sussidiarietà; 2) sono fonti del diritto pubblico (tipicamente regolamenti comunali); 3) costituiscono occasioni di costruzione di comunità fra i cittadini; 4) realizzano un potente fattore di innovazione sociale, culturale e anche amministrativa. Ovviamente, i Patti di comunità (per loro natura stipulati fra soggetti pubblici e privati) differiscono dalle intese fra pubbliche Amministrazioni miranti a stabilire fra loro, mediante conferenze dei servizi, forme di cooperazione volte a snellire l’azione amministrativa. Differiscono pure dalle intese che le istituzioni scolastiche possono siglare in ragione del DPR 275/1999”. (Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna, 19 agosto 2020, nota n. 12.920)
Il “Piano scuola 2020-2021” suggerisce la stipula di patti per favorire la messa a disposizione di strutture o spazi (parchi, teatri, biblioteche, archivi, cinema, musei, etc) al fine di potervi svolgere attività didattiche complementari a quelle tradizionali e, più i generale, per sostenere la costruzione di collaborazioni con i soggetti territoriali che possono concorrere all’arricchimento dell’offerta educativa.
Il livello territoriale può essere molteplice: dal patto della singola scuola con il singolo Comune ai patti di quartiere, di reti di scuole e altri enti pubblici e privati, per ambiti tematici o territoriali, anche sovracomunali.
3.3 Le condizioni per la stipula di un Patto efficace
Come suggerisce un’importate documento predisposto e diffuso dalla rete EducAzioni, i Patti, per essere efficaci, dovrebbero essere preceduti da un lavoro preliminare relativo a:
“- ricognizione delle risorse sociali, civiche, culturali presenti nel territorio e disponibili a contribuire alla costruzione della «comunità educante», dalle organizzazioni del terzo settore e dell’associazionismo civico alle parrocchie, ai centri sportivi, fino ai vigili urbani e ai negozi di prossimità, senza limitarsi ai soggetti di rappresentanza istituzionale e sociale;
– analisi dei bisogni e delle specifiche necessità del territorio sotto il profilo dei diritti delle bambine, dei bambini e degli adolescenti, e del contrasto alle diseguaglianze educative, con una chiara definizione degli obiettivi da raggiungere, attraverso una integrazione tra i percorsi educativi curriculari ed extracurriculari; piena condivisione tra gli attori coinvolti, a partire dalle scuole – che hanno un ruolo guida nel processo – gli enti locali, le aziende sanitarie, gli studenti, le famiglie, il terzo settore, i soggetti attivi sul territorio in campo culturale, sportivo, ricreativo e soggetti del mondo produttivo interessati;
– condizioni organizzative che rendano concretamente possibile l’operatività del Patto, favorendo la flessibilità nell’utilizzo degli spazi e degli orari del personale a diverso titolo coinvolto, e la chiara definizione del quadro delle responsabilità di ciascun soggetto;
– quantificazione delle risorse finanziarie che consentano l’ampliamento non solo del tempo scuola, ma anche del tempo educativo, a cui ciascun bambino o adolescente ha diritto”
(Reti di associazioni che convergono sul documento EducAzioni, Condizioni per un buon patto educativo di comunità, 27 luglio 2020)
3.4. La centralità della scuola
Le attività che potranno essere organizzate in quest’estate, nel periodo di interruzione del calendario scolastico, potranno essere gestite collettivamente, nel loro insieme, da tutti i soggetti, oppure gestite in parte dalla scuola e in altra parte da altri partecipanti al Patto.
Qualsiasi modalità organizzativa sia adottata è necessario che il ruolo della scuola sia rafforzato e valorizzato per la sua professionalità nel programmare e gestire progetti con valenza educativa e di ampliamento dell’offerta formativa.
Le scuole come luogo fisico, inoltre, potranno rappresentare un prezioso punto di riferimento, già conosciute dai/dalle bimbini/e e dai/dalle ragazzi/e, e dai loro genitori, per essere base logistica di tutte le attività, comprese quelle che poi potranno comportare uscite sul territorio.
3.5. L’estate inclusiva
E tuttavia, i Patti educativi di comunità contengono due valori di grande valenza civile e politica, che vanno bel oltre la prossima estate, cui dobbiamo necessariamente soffermarci.
Fortunatamente, e se ci si crede, questa estate strana, con le scuole attive nel territorio, potrebbe creare condizioni sociali ed educative tali che le diverse azioni che si realizzeranno potrebbero risvegliare e valorizzare un pensiero fecondo che il tempo ha logorato, ma molto vivo nella pedagogia degli anni ’60 e ’70: il sistema formativo integrato.
I Patti educativi di comunità potrebbero essere il prologo non solo per una buona estate collaborativa ma anche di un sistema di relazioni e collaborazioni stabile tra le scuole e il loro territorio. Significa considerare tutto il territorio, nelle sue diverse forme e pratiche, come spazio educativo comune e la scuola come attore del e nel territorio per la costruzione del civismo, della relazione tra generazioni, della cultura diffusa. Una scuola che sa trarre dal territorio ispirazione, spazi e opportunità per uscire dalla aule mentali delle didattiche frontali e isolate dal contesto e farsi invece soggetto attivo di produzione culturale orizzontale.
I Patti educativi di comunità sono inoltre una spinta obiettiva a “fare squadra” a fronte delle tante e diversificate condizioni di difficoltà ed emarginazione già presenti nel territorio e accentuate dall’epidemia. Un territorio che in diverse forme, cioè, si prende in carico e in comune (avverbio, sostantivo, aggettivo) tutte le situazioni di maggiore fragilità individuali e familiari (disabilità, alunni stranieri, povertà educativa, ecc..).
L’occasione, insomma, per ristabilire, o rafforzare, una migliore alleanza per non lasciare indietro nessuno neppure i più dotati anche perché le doti richieste nell’estate potrebbero non essere le stesse di quelle dell’inverno…
Dunque, la presa in carico delle tante eterogeneità che diventa sfida culturale e civica che la scuola da sola o il territorio da solo mai potrebbero garantire.
4. Il percorso amministrativo
4.1. Le delibere necessarie
Le segreterie degli istituti scolastici dovranno mettere in atto le procedure amministrative affinché le attività si possano realizzare al meglio, anche dal punto di vista formale.
Sia il POF annuale sia il PTOF triennale dovranno essere variati e quindi il primo atto sarà una delibera del Collegio dei Docenti. Nella delibera del Consiglio d’Istituto, infatti, quando si approverà il progetto, si inizierà con “vista la delibera del collegio dei docenti del etc etc”.
4.2. L’impiego del personale della scuola e la contrattazione d’istituto
L’approvazione da parte del Collegio, in questo specifico contesto come in generale quando si tratta di ampliamento anche quantitativo dell’offerta formativa, non significa assolutamente un vincolo per i docenti di partecipare all’attività che rimangono, per loro, facoltative. È peraltro evidente che, con molta probabilità, una buona parte delle attività saranno affidate a soggetti esterni all’amministrazione scolastica.
Ciò, naturalmente, non esclude che il dirigente scolastico abbia gli strumenti per garantire che alcuni spazi (orari? giornalieri? settimanali? un solo periodo in tutta l’estate?) siano riservati ad attività gestite dai docenti, o anche dai docenti, la cui prestazione aggiuntiva dovrà essere retribuita secondo le modalità e i termini del contratto di lavoro.
Diversa, invece, la modalità di impiego del personale ATA. Una volta definita, e approvata, la progettazione di massima, si dovrà svolgere una contrattazione con le RSU di istituto per definire le modalità di organizzazione e distribuzione delle attività extra mansionario e delle intensificazioni di lavoro richieste al personale amministrativo, tecnico e ausiliario, ed il salario accessorio che ne consegue.
Ci sarà molto lavoro per i collaboratori scolastici ma, in particolare in quest’anno, è molto probabile che la proposta trovi la loro favorevole adesione perché (tra presenza di organico Covid e sospensioni delle attività in presenza) non hanno accumulato quel numero di ore di straordinario che permettevano loro di recuperare qualche giorno di riposo in più da aggiungere alle ferie estive. Loro non potranno sottrarsi, dovranno lavorare, ma potranno ottenere qualche compenso aggiuntivo.
La gestione logistica dovrebbe in ogni caso rimanere alla scuola che potrà effettuare l’accoglienza, con i collaboratori scolastici, e non delegare il tutto (concedendo unicamente l’edificio) altrimenti non sarebbe un reale ampliamento dell’offerta formativa della scuola.
4.3. Protocolli di sicurezza
In relazione all’andamento epidemico dei prossimi mesi, potrà essere necessario anche rivedere il DVR aggiuntivo Covid-19 che gli istituti hanno già elaborato.
Per le attività estive, sempre in relazione alla situazione in cui saremo nel periodo interessato, saranno necessarie precise indicazioni nazionali, supportate da un parere tecnico del Comitato Tecnico Scientifico, affinché siano chiare le modalità da adottare per contrastare la diffusione del contagio.
In particolare, sarà necessaria massima chiarezza in relazione ai protocolli da adottare ovvero se le misure raccomandate rimangono quelle specifiche per la attività scolastiche ovvero se devono essere adottate quelle elaborate per i centri estivi ovvero, infine, se sarà predisposto un documento dedicato.
4.4. Il Patto e la progettazione esecutiva
Una volta definiti i progetti e gli accordi sindacali, che sono condizioni preliminari di fattibilità, se è previsto il coinvolgimento degli enti locali, in relazione agli obblighi loro spettanti per legge oppure in relazione alla definizione condivisa di modalità e contenuti del progetto, sarà necessario relazionarsi con l’ente locale di riferimento e definire gli opportuni accordi nelle forme che saranno ritenute, congiuntamente, utili o necessarie. Se vi sono altre realtà operanti nel territorio, si potranno definire protocolli e accordi di massima anche con questi.
Quando saranno noti i finanziamenti di cui si potrà disporre e le altre risorse a disposizione, anche assegnate dagli altri soggetti partecipanti all’iniziativa, si disporrà di un quadro ben definito delle finalità (collegio dei docenti), degli indirizzi generali (Consiglio d’Istituto), dei vincoli sindacali (Accordo con RSU), delle risorse interne (Personale disponibile e risorse economiche ottenute) ed esterne (accordi con enti locali e terzo settore) e si potrà procedere alla progettazione esecutiva dell’iniziativa.
Una volta definito il progetto nel dettaglio si potrà passare al reperimento di quanto necessario per la realizzazione dell’iniziativa. A parte gli approvvigionamenti di beni, di consumo e non, che tutti gli uffici amministrativi sono in grado di effettuare con relativa semplicità, c’è il reperimento di risorse umane, specifiche professionalità o servizi.
Se vi sarà necessità di un esperto, non è necessario utilizzare il codice dei contratti perché sarà sufficiente utilizzare l’art. 7 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il quale prevede che “per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione” che impartisce unicamente questa indicazione: “Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione”.
Si tratta di procedure molto semplificate.
Se il progetto, o una parte di esso, dovrà essere realizzato da altri soggetti si potrà tentare il percorso della coprogettazione e corealizzazione (si veda la parte di questo scritto a ciò espressamente dedicata) oppure potrà essere affidato a enti del terzo settore e imprese sociali, svolgendo una procedura aperta con un avviso pubblico nel quale l’istituto renda note quali sono le necessità e informi dell’intenzione di attribuire un punteggio alla qualità (es: sviluppo della progettazione, esperienza dell’impresa, degli operatori, certificazioni possedute, etc.) ed un punteggio, di molto inferiore, al prezzo. Anche questa è una procedura semplice. Ove necessario, non è escluso che, già nell’avviso, si informi il soggetto cui sarà affidato il servizio che dovrà lasciare degli spazi per l’inserimento di attività che saranno svolte e gestite da docenti che si rendono disponibili.
4.5. Modulistica amministrativa
Per quanto riguarda i modelli di atti, il Ministero ha già fornito modelli di deliberazioni, di determinazioni, etc., che potranno essere adattate anche alle attività di cui stiamo parlando.
Recentemente, con nota 10 marzo 2021, n. 5465, l’Amministrazione ha informato di aver avviato un percorso per supportare le Istituzioni scolastiche nell’espletamento delle attività amministrative di maggiore complessità e ha reso disponibile il nuovo applicativo SGA (Sistema di Gestione degli Acquisti) che supporta le scuole per le fasi di Programmazione, Avvio delle procedure, Aggiudicazione, Stipula del contratto, Esecuzione del contratto, consentendo di predisporre una documentazione automatizzata, con riferimento a: Determina di acquisto per affidamento diretto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a), del D.L. 76/2020, mediante richiesta di preventivi); Determina di acquisto per affidamento diretto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a), del D.L. 76/2020, mediante trattativa diretta MEPA; Verbale di regolare esecuzione per approvvigionamento di beni, acquisizione di servizi e esecuzione di lavori.
4.6. Rendicontazione
Una volta conclusa l’attività ci sarà da fare la rendicontazione qui viene un nodo dolente. Se sono soldi del Ministero si dovrebbero poter evitare le infernali modalità di rendicontazione cui gli istituti scolastici sono obbligati dai PON.
Per la rendicontazione di tutte le risorse stanziate per le iniziative di ampliamento dell’offerta formativa, quindi, sarebbe importante che fossero adottate le stesse procedure semplificate che sono state disposte per i 150 milioni che sono andati ad incrementare il fondo per il funzionamento e che prevedono l’utilizzo della piattaforma PNSD (piano nazionale scuola digitale), già utilizzata per le rendicontazioni dei diversi finanziamenti Covid-19, confermando anche la previsione secondo la quale i Revisori dei Conti accedano informaticamente alle documentazioni e appongano il visto con la stessa metodologia senza la produzione di alcun documento cartaceo.
Non sarebbe male, inoltre, che una semplificazione del genere fosse realizzata anche per i fondi PON in quanto la complessità di rendicontazione di tali fondi produce, alla fine, minore attenzione alla qualità e, qualche volta, anche rinunce a realizzare iniziative.