Ad ogni cambio al vertice del Ministero dell’Istruzione si crea un’attesa quasi messianica rispetto a quanto è chiamato a fare il nuovo Ministro. Anche nei confronti del neo Ministro Patrizio Bianchi ci si aspetta che risolva, quasi magicamente, problemi antichi, ulteriormente appesantiti dalla pandemia. Lo stesso Ministro, che nel 2020 ha coordinato il Comitato degli esperti del Ministero per la ripartenza della scuola, ha elencato, in un agile volumetto edito lo scorso anno [1], i mali che affliggono la scuola italiana.
Tenendo comunque conto dell’orizzonte temporale entro cui potrà agire l’attuale compagine governativa (due anni), è alquanto illusorio pensare che il nuovo inquilino di viale Trastevere possa affrontare una lista di problemi che nel tempo si è ampliata in modo preoccupante. Basterebbe, dal nostro punto di vista, mettere mano, in tempi stretti, ad almeno tre importanti situazioni critiche per dare un po’ di fiducia al mondo della scuola e per dare il segno tangibile che si vuole cambiare rotta.
Il primo riguarda la necessità di avere tutti i docenti in cattedra (di ruolo o non di ruolo) dal 1° settembre o comunque all’inizio delle lezioni, come peraltro ha dichiarato lo stesso premier Draghi nel corso delle consultazioni per la formazione del nuovo Governo. Finora non vi è stato Ministro che non abbia promesso ciò, ma la realtà è sotto gli occhi di tutti. Questa sarebbe una vera riforma epocale per la scuola, peraltro a costo zero; anzi, per alcuni versi sarebbe l’esaltazione della banalità dell’ordinaria amministrazione; è come affermare che per far andare i treni ci vogliono i macchinisti. A ben considerare, il D.Lgs 297/1994 all’art. 455 comma 12 già prevede che ”è fatto divieto di spostare personale titolare nelle dotazioni organiche aggiuntive, dopo il ventesimo giorno dall’inizio delle lezioni, dalla sede cui è stato assegnato”.
Questa esigenza di continuità viene ribadita anche dalla CM n. 220 del 27/09/2000. Per la verità queste norme si riferiscono al solo personale di ruolo: occorrerebbe estenderle anche al personale a tempo determinato e anticipare il divieto di spostamento all’inizio delle lezioni. Ovviamente una decisione di questo tenore potrebbero incontrare le resistenze dell’establishment amministrativo costretto a rivedere tutta la tempistica riguardante i trasferimenti, le assegnazioni provvisorie e gli altri ammennicoli che contraddistinguono la burocrazia scolastica italiana. Anche le organizzazioni sindacali potrebbero avere da ridire per il timore che vengano compromessi i diritti connessi alle graduatorie, alle nomine e via discorrendo. Per quanto riguarda invece gli studenti si sa che non hanno voce in capitolo e quindi ci possono essere anche due-tre cambi di docenti nei primi mesi di scuola.
Un secondo intervento, da realizzare possibilmente in tempi non biblici, è quello provvedere a vaccinare tutti gli studenti (ovviamente coloro che sono vaccinabili) e i docenti prima dell’avvio del prossimo anno scolastico in modo da garantire un regolare inizio delle lezioni e scongiurare la chiusura delle scuole a causa del virus. Sarebbe, peraltro, una misura riparativa verso le scuole stesse che hanno dovuto pagare le disfunzioni di un mancato coordinamento e potenziamento dei servizi di supporto a quello scolastico, primo fra tutti il sistema dei trasporti. La situazione pandemica ha portato alla luce un dato che già si percepiva all’interno della società italiana: la marginalità in cui si trova l’istruzione, la formazione e la cultura. Non è un caso che scuole, cinema e teatri siano i luoghi rimasti più a lungo chiusi. Nella hit parade dei valori quotidiani degli italiani l’aperitivo (o apericena) è di gran lunga più importante della lettura di un libro o della visione di uno spettacolo teatrale. E infatti negli ultimi vent’anni quando c’è stato bisogno di fare cassa per far quadrare i conti pubblici questi settori sono stati i più attenzionati, per dirla col gergo burocratico.
Il terzo aspetto, non meno importante, riguarda i finanziamenti che vengono assegnati alle scuole. È alquanto vergognoso che le istituzioni scolastiche debbano affidarsi alle entrate derivanti dai “contributi volontari” richiesti alle famiglie non tanto per ampliare la loro offerta formativa, ma addirittura per garantire l’ordinaria amministrazione della scuola. Il neo Ministro è un economista e non gli sarà difficile stabilire qual è l’entità della somma standard per assicurare un funzionamento ottimale di una scuola in relazione al grado scolastico, agli indirizzi di studio e alla complessità ambientale. Eventuali richieste di contributi alle famiglie dovrebbero costituire forme del tutto residuali per realizzare particolari progetti non attivabili con i finanziamenti ordinari. Per conseguire questo obiettivo basterebbe allineare la spesa per l’istruzione a quella della media UE, ossia destinare un punto di PIL in più (corrispondente a circa 12-15 miliardi di euro annui). Ma queste cose il neo Ministro le conosce molto bene avendone anche scritto in merito.
I problemi sul tappeto sono ovviamente tanti, ma già dare segnali chiari su questi tre sarebbe una prova tangibile che si vuole veramente cambiare qualcosa e che alla scuola viene riconosciuto quel ruolo cruciale che gli spetta in una società civile e democratica. La scuola merita più rispetto.
[1] P. Bianchi (2020), Nello specchio della scuola, Il Mulino, Bologna